09 gennaio 2019

Forse è arrivata l' ora di abbandonare Facebook e tutti i social

Robert Habeck, leader dei Verdi tedeschi

Il capo dei Verdi dà l’addio a Twitter «Mi fa diventare troppo aggressivo»

La polemica: cosi rinuncia al dibattito. Habeck ha lasciato tutti i social anche dopo che sono stati resi pubblici dati personali sensibili


«Bye bye, Twitter und Facebook», ha scritto lunedì sulla sua homepage Robert Habeck, leader nazionale dei Verdi e nuova stella nel cielo della politica tedesca. Dopo una notte insonne, il filosofo ecologista ha deciso di chiudere i suoi account sui due social media, forti di circa 50 mila follower ciascuno. Una scelta che ha immediatamente scatenato un acceso dibattito nazionale intorno al tema: può un protagonista politico oggi evitare di non essere presente sui social media?
A precipitare la decisione di Habeck è stato lo scandalo dei dati trafugati e pubblicati online (a quanto pare opera di un ventenne) che lo ha colpito più di ogni altro politico tedesco, visto che perfino le sue conversazioni con la famiglia e il nome dei suoi bambini sono stati in pasto alla rete. Habeck ha citato esplicitamente la vicenda motivando la chiusura del suo account Facebook, dal quale il pirata ha rubato le informazioni più sensibili e private.

Ma il gran rifiuto, soprattutto quello di Twitter, ha radici anche più profonde. Habeck è stato infatti oggetto di insulti e critiche brucianti, per aver postato un video dove annunciava che, in vista delle prossime elezioni regionali, i Verdi «faranno di tutto perché la Turingia diventi uno Stato aperto, libero, liberale, democratico ed ecologico». Di sicuro una gaffe, poiché messa così sembra che oggi non lo sia. E non era la prima volta, visto che in settembre dopo il successo in Baviera, aveva twittato: «Finalmente è tornata la democrazia in questo Land». Habeck ha poi ammesso che si è trattato di una scelta delle parole sbagliata, ma questo non ha impedito la sua lapidazione via Twitter.
«Come si può essere così stupidi da commettere lo stesso errore due volte?», si è chiesto nella sua pubblica confessione il leader verde. La risposta: «Twitter mi disorienta e mi rende poco concentrato». L’analisi è spietata: «Nessun media digitale è così aggressivo come Twitter, in nessuno c’è tanto odio, cattiveria e diffamazione». L’ammissione finale clamorosa, per un politico reso celebre anche dalla sua capacità zen di non perdere mai le staffe: «Twitter mi fa scattare qualcosa: sono più aggressivo, polemico, stridulo ed estremo, il tutto con una velocità che non lascia spazio alla riflessione. Evidentemente non sono immunizzato contro questa deriva». L’addio alla piattaforma dei 280 caratteri è l’inevitabile conseguenza.
L’effetto è stato quello di una bomba. «Come può ambire a governare il Paese, se si sente sopraffatto già da Twitter?», si è chieso polemicamente il direttore di Die Welt, Ulrich Poschardt. Per il segretario generale della Spd, Lars Kingbeilt, «il posto dei politici è dove c’è il dibattito», anche se trova giusto «battersi perché le discussioni sulla rete siano democratiche ed equilibrate».
«Il meccanismo descritto da Habeck è ben noto –—spiega il filosofo Michael Seemann, esperto di etica del web —, è quello di un politico che si esercita, cercando di imparare a dominare la polemica via Twitter». Solo che lui non c’è riuscito. Chi padroneggia la comunicazione via Twitter, vedi Donald Trump e si parva licet Matteo Salvini, può plasmare dibattiti e poi far tracimare i suoi messaggi sui media tradizionali.
Diverso, secondo Malte Lehming, analista di Tagesspiegel, il caso di Facebook, medium pubblico e privato allo stesso tempo, «dove la comunicazione assomiglia più a una discussione in piazza che a una lettera». Per Lehming, Robert Habeck ha ogni diritto di chiamarsi fuori dalla società trasparente, ma non può dare la colpa ai social media se rifiuta di essere dentro il nuovo mondo, per plasmarlo.

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