Hyppolite
Delaroche, Ritratto di Gregorio XVI (1844)
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La
Roma del Belli. “Vogliono pane, dategli indulgenze!”
Daniela Pasti
La Roma raccontata dal Belli è la
Roma dei sei papi che regnarono ne settantadue anni in cui egli visse, anni di
enormi agitazioni, di movimenti politici, di va-e-vieni tra occupazioni
militari e restaurazioni, in una città sordida e spopolata, abitata da plebi
tra le più incolte e ciniche che ci fossero allora in Italia.
Belli ritrae questa città che si
lascia vivere con indolenza mentre si diffonde la consapevolezza che lo Stato
della Chiesa è diventato ormai un anacronismo. Già in un sonetto del 32 (Li punti
doro) Belli scrive: Cusì viengheno a dì li giacubini, / ar gran sommo
pontefice Grigorio: / che te fai de li stati papalini, / dove la vita tua pare
un mortorio?. Non fu così facile, comunque. Ancora nel 1862 trecento
vescovi reclamarono che il potere temporale era una necessità voluta
direttamente dalla provvidenza divina. Affermazioni impegnative, un anno dopo
la proclamazione dell'Unità dItalia.
Quando Giuseppe Gioachino nacque,
sul soglio di Pietro sedeva Pio VI papa Braschi, non malvagio ma certo
inadeguato ai cataclismi di quegli anni: prima la Rivoluzione, poi la folgore
di Napoleone. Nel 98 il Direttorio fa occupare Roma e deporre il papa. “Fatemi
morire a Roma”, implora il pontefice. “Può morire dove vuole”, gli rispondono.
Morirà in carcere nella fortezza di Valence. Anche il suo successore Pio VII
deve fare i conti con Napoleone, che lo fa deportare, mentre Roma conosce
l'occupazione francese (1808). Per i romani, umiliazione a parte, non è gran
male. La presenza degli occupanti dà una scossa a una città che
l'amministrazione pontificia ha conservato in condizioni quasi medievali:
obelischi e basiliche in un tessuto urbano ridotto a melmoso villaggio.
Dopo la sconfitta di Napoleone a
Lipsia, il papa può tornare a Roma dove rientra il 24 maggio 1814, accolto
trionfalmente. La furia restauratrice di alcuni cardinali che vogliono
cancellare ogni traccia degli occupanti, arriva al punto da chiedere
l'abolizione dell'illuminazione stradale introdotta dai francesi. Salva tutti
dal ridicolo il genio di Ercole Consalvi, segretario del papa, politico sommo.
Nato in una città meno degradata, sarebbe stato un Metternich. In un paese più
consapevole della sua storia sarebbe diventato comunque un mito, come
Talleyrand.
Pio VII regna per quasi un quarto di
secolo, il suo successore, Leone XII, solo sei anni. Bastano per darci
l'immagine dun papa terrorizzato dai tempi, ferocemente restauratore. È lui che
durante l'anno Santo del 25, fa impiccare in piazza i due carbonari Targhini e
Montanari. Quando papa Della Genga morì, apparve questo cartello: “Ora riposa
Della Genga, per la sua pace e per la nostra”. Eppure il Belli ne rievoca anni
dopo il mortorio, con uno dei suoi attacchi più teneri: Iersera er papa
morto c'è passato, / propi avanti al cantone de Pasquino.... Venti mesi
soltanto (tra il 29 e il 30) resta sul trono il suo successore che per
distinguersi da lui s'affretta a chiamarsi Pio VIII. In un sonetto del 1°
aprile 29, all'indomani dell'elezione, Belli ne dileggia la malferma salute: Ha
un erpeto pe tutto, nun tiè denti, / è guercio, je trascineno le gambe....
Gregorio XVI, papa Cappellari, bellunese, regnante dal 31 al 46, è il papa
centrale nella vita e nella poesia del Belli, il personaggio principale della
sua umana commedia. A papa Grigorio il poeta dedica ben 25 sonetti, tra i quali
alcuni dei più riusciti. Reazionario anche lui, ma forse proprio per questo gli
piaceva. Gregorio è il papa che nell'enciclica Mirari vos (1832)
definisce tra l'altro un vaneggiamento che ognuno debba avere libertà di
coscienza, a questo nefasto errore conduce quell'inutile libertà d'opinione che
imperversa ovunque...
Di Gregorio, il Belli celebra a modo
suo l'elezione. Il sonetto del 2 febbraio 31, appena chiuso il conclave,
attacca festoso: Senti, senti Castello come spara. / Senti Montecitorio come
sona. / E segno chè finita sta cagnara, / er papa novo già sbenediziona.
Stranamente invece, Belli non ne racconta la morte che avviene il 1° giugno 46.
In quel periodo il poeta non scrive e i ricordi di Gregorio arrivano più tardi,
in autunno, in un sonetto nel quale Belli deride l'ultimo papa della sua vita:
Mastai Ferretti, Pio IX, intanto arrivato sul trono di Pietro. Un papa
giudicato prima liberale poi traditore, destinato a patire la repubblica del 49
e la breccia di Porta Pia nel 70. E il Pio IX di fama liberale del primo
periodo che Belli racconta in un sonetto del gennaio 47, con un attacco
grandiosamente reazionario: No, sor Pio, pe smorzà le turbolenze, / questo
qui non è er modo e la magnera. / Voi, padre santo, nun n'avete cera, / da fa
er papa sarvanno le apparenze. / La sapeva Grigorio l'arte vera / de risponne
da Papa a l'insolenze: / Vonno pane? Mannateje indurgenze; / vonno posti?
Impiegateli in galera.
Questa era Roma.
“la Repubblica”, 9 febbraio 1991
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