Il monumento a Napoleone Colajanni di Enna
In questi tristi giorni tornano particolarmente attuali le parole scritte da Napoleone Colajanni (1847-1921) più di un secolo fa:
“Si
può restituire nei cittadini colla iniquità sistematica, colla illegalità fatta
regola, la fede nelle giustizia e nella legge? No, mille volte no; perciò la
mafia del governo ha rigenerato la mafia dei cittadini. [...] Per combattere e distruggere il regno della mafia è necessario, è indispensabile che il governo italiano cessi di essere il re della mafia! [...] Il regno della mafia non cessera se non il giorno in cui con una vera instauratio ab imis (radicale rivoluzione) i cittadini acquisteranno la libertà vera, il diritto e i mezzi di punire i prepotenti, di mettere alla gogna i ladri e di assicurare a tutti la giustizia giusta!"
N. Colajanni, Nel Regno della Mafia. La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi.
Un aggiornamento dell'analisi dello studioso e uomo politico ennese venne compiuta negli anni sessanta del 900 da Danilo Dolci (1924-1997). In uno dei suoi libri più dimenticati, infatti, scrisse:
" finchè i rappresentanti dello Stato cercano ad ogni
costo di coprire […] ministri, sottosegretari più o meno inseriti nella
struttura mafioso-clientelare; finchè si vuol far risultare ad ogni costo che
sono i mafiosi a circuire il loro politico e non si critica il reciproco
appoggio (...), lo sfruttamento reciproco; finchè non si fa chiaro fin dove
arriva nel comportamento di certi 'politici' la loro responsabilità personale,
e fin dove la corresponsabilità governativa;finchè ci capita di incontrare
persone ad altissimo livello di responsabilità -ministri, sottosegretari,
magistrati - le quali in privato ammettono di sapere che certi loro colleghi
sono uomini della mafia (cioè appartenenti ad essa o ad essa disponibili), ma
non osano assumere posizioni aperte; finchè funzionari e parlamentari
continueranno a pretendere dalla povera gente indifesa quel coraggio che essi
stessi, sebbene protetti dal proprio mandato, non hanno; (...)finchè ogni
gruppo, ogni partito che si dice democratico, non osa sciogliere i suoi vincoli
mafioso-clientelari; finchè la maggioranza delle persone si comporta come se
questi problemi non li riguardassero affatto; finchè, ad ogni livello di responsabilità,
non si sarà disposti a rischiare per la verità, osando opporsi in modo
organizzato all'ingiustizia e alla violenza orga
nizzata ovunque essa sia - il
corpo sociale non potrà che rimanere sostanzialmente fermo, infetto."
D. Dolci, Chi gioca solo, Einaudi 1966.
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