08 dicembre 2014

NEL REGNO DELLA MAFIA


Il monumento a Napoleone Colajanni di Enna





    In questi tristi giorni tornano particolarmente attuali le parole scritte  da Napoleone Colajanni (1847-1921) più di un secolo fa:

“Si può restituire nei cittadini colla iniquità sistematica, colla illegalità fatta regola, la fede nelle giustizia e nella legge? No, mille volte no; perciò la mafia del governo ha rigenerato la mafia dei cittadini. [...] Per combattere e distruggere il regno della mafia è necessario, è indispensabile che il governo italiano cessi di essere il re della mafia! [...] Il regno della mafia non cessera se non il giorno in cui con una vera instauratio ab imis (radicale rivoluzione) i cittadini acquisteranno la libertà vera, il diritto e i mezzi di punire i prepotenti, di mettere alla gogna i ladri e di assicurare a tutti la giustizia giusta!"

N. Colajanni, Nel Regno della Mafia. La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi.

      Un  aggiornamento dell'analisi dello studioso e uomo politico ennese venne compiuta negli anni sessanta del 900 da Danilo Dolci (1924-1997). In uno dei suoi libri più dimenticati, infatti, scrisse:

" finchè i rappresentanti dello Stato cercano ad ogni costo di coprire […] ministri, sottosegretari più o meno inseriti nella struttura mafioso-clientelare; finchè si vuol far risultare ad ogni costo che sono i mafiosi a circuire il loro politico e non si critica il reciproco appoggio (...), lo sfruttamento reciproco; finchè non si fa chiaro fin dove arriva nel comportamento di certi 'politici' la loro responsabilità personale, e fin dove la corresponsabilità governativa;finchè ci capita di incontrare persone ad altissimo livello di responsabilità -ministri, sottosegretari, magistrati - le quali in privato ammettono di sapere che certi loro colleghi sono uomini della mafia (cioè appartenenti ad essa o ad essa disponibili), ma non osano assumere posizioni aperte; finchè funzionari e parlamentari continueranno a pretendere dalla povera gente indifesa quel coraggio che essi stessi, sebbene protetti dal proprio mandato, non hanno; (...)finchè ogni gruppo, ogni partito che si dice democratico, non osa sciogliere i suoi vincoli mafioso-clientelari; finchè la maggioranza delle persone si comporta come se questi problemi non li riguardassero affatto; finchè, ad ogni livello di responsabilità, non si sarà disposti a rischiare per la verità, osando opporsi in modo organizzato all'ingiustizia e alla violenza orga
nizzata ovunque essa sia - il corpo sociale non potrà che rimanere sostanzialmente fermo, infetto."

D. Dolci, Chi gioca solo, Einaudi 1966.

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