09 dicembre 2014

UNA MOSTRA SU PASOLINI A MATERA








PASOLINI A MATERA

di LORENZO MADARO

Non aspettatevi il classico omaggio a Pasolini. Quello che si snoda nei tre piani di Palazzo Lanfranchi e al MUSMA di Matera è un percorso che restituisce narrazioni, testimonianze, documenti, video, fotografie, opere d'arte, ma soprattutto storie, con una forte impronta multimediale e interattiva che si dipana attorno a una sola opera, in occasione di un anniversario importante. 

È stata posticipata al prossimo 25 gennaio la
chiusura di Pasolini a Matera Il Vangelo secondo Matteo cinquant'anni dopo. Nuove tecniche di immagine: arte, cinema, fotografia (info: 0835.25.62.11), curata da Marta Ragozzino e Giuseppe Appella, con Ermanno Taviani e Paride Leporace. L'esposizione si avvia con una sezione al piano terra che introduce ai visitatori la figura di Pasolini,
analizzando la sua attività prima del Vangelo. Ci sono le sue opere provenienti dal Gabinetto Vieusseux di Firenze, tra cui le tre versioni del ritratto di Roberto Longhi, quasi delle caricature. L'ossessiva passione figurativa di Pasolini parte proprio dai corsi di storia dell'arte di Longhi all'università di Bologna, a cavallo tra la fine degli anni trenta e l'inizio dei Quaranta. «Ciò che Longhi diceva era carismatico», appunta Pasolini in
una recensione dedicata a Da Cimabue a Morandi, la raccolta di saggi dello studioso pubblicata nel 1974 a cura di Gianfranco Contini: 

«E Longhi che veniva, e parlava su quella cattedra, e poi se ne andava, ha l'irrealtà di un'apparizione. Era, infatti, un'apparizione. Non potevo credere che, prima e dopo aver parlato in quell'aula, egli avesse una vita privata, che ne garantisse la normale continuità». 
Come autore cinematografico Pasolini procede con un criterio concettualmente sincronico: la materia prima dei film è difatti quella dei suoi romanzi. Tra documenti manoscritti, foto di scena, frame e interviste – tra cui una a Alberto Moravia –, in questo percorso «prima del Vangelo» si approda a La ricotta e quindi
alle corrispondenze con la grande storia dell'arte, in un rimaneggiamento di nuance cromatiche e forme, gestualità e iconografie, ritmate in scene paradossali che scrutano a fondo le Deposizioni di Rosso Fiorentino e
Pontormo. Non a caso Pasolini sostenne, convinto, che il suo gusto cinematografico non era di origine cinematografica, ma figurativa: «Quello che ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto, che sono i pittori che amo di più, assieme a certi Manieristi». Ma il percorso di questo progetto, promosso dal comune di Matera e dalla soprintendenza per i beni storici, artistici e etnoantropologici della Basilicata, insieme a Matera 2019, alla Lucana Film Commission, con il sostegno della Regione Basilicata – un vero e proprio lavoro di squadra, dunque –, si snoda sostanzialmente in tre punti: il concepimento, la realizzazione e la fortuna critica del film.
Grazie a gigantografie, touch screen e schermi animati, con una narrazione plurale affidata a testimoni oculari, giornalisti, studiosi, esperti di cinema e compagni di strada di Pasolini, il visitatore può inoltrarsi nelle sezioni successive, che si dipanano in particolare in alcuni ambienti del primo piano del museo, mentre nell'attico sono in mostra le opere di una serie di artisti a lui contemporanei, che evidenziano un aspetto rilevante del contesto culturale italiano dell'epoca. 

2 ottobre 1962: in un albergo di Assisi, mentre non lontano si celebrava la visita alla città di papa Giovanni
XXIII, Pasolini afferra una copia dei Vangeli e s'imbatte in quello di Matteo: nel 1964 decide di trasporlo in film ambientandolo nell'Italia meridionale, dopo aver dapprima valutato l'ipotesi di della Palestina, ipotesi poi scartata
poiché Nazareth era troppo moderna e «inusabile», come racconta nel documentario Sopralluoghi in Palestina, presente in mostra.
Padre Virgilio Fantuzzi, critico cinematografico della rivista «La civiltà cattolica», introduce i visitatori all'ideazione e alla gestazione del film; mentre fotografie e documenti d'archivio evidenziano i rapporti di Pasolini con Don Giovanni Rossi, che invitò il regista a Assisi in quel fatidico ottobre e che poi lo sostenne e consigliò. Puglia, Basilicata, Lazio e Calabria: un'approfondita tavola sinottica riassume la geografia del film,
in una successiva sezione, che non a caso è stata battezzata Matera come Gerusalemme.
Ermanno Taviani, storico del cinema, apre questa sala raccontando alcuni retroscena, mentre i venti costumi originali del film ritmano lo spazio allestito con cura da Stalk-agency. Oggetti, la macchina da presa di Pasolini e altri marchingegni completano questa sezione caratterizzata dalla presenza di numerose immagini d'archivio, tra cui gli scatti di Angelo Novi, fotografo di scena delle prime esperienze cinematografiche del regista. Si prosegue poi con la sala dedicata alla ricezione del film, tra clamori e bagarre, in diversi contesti, tra cui il Festival del cinema di Venezia, dove viene accolto con vari premi, tra cui quello della critica, ma
senza ottenere il Leone. In questo, come in altri ambienti della mostra, è il volto di Pasolini a condurci, i suoi racconti, le sue riflessioni sul cinema e la società accompagnano il percorso che si conclude con un focus su Matera, sulle condizioni sociali ed economiche della città dal «cielo ferocemente antico» all'epoca delle riprese.
Anche qui i documenti originali, le fotografie e le opere di alcuni artisti all'epoca attivi in città – il lucano Luigi Guerricchio, in particolare – costruiscono lo scenario di quella che era considerata 
una «vergogna nazionale».
 Una mostra multiforme, pertanto, che si conclude con una rassegna di scultori del Gruppo 63 e del Gruppo Uno, due esperienze fondamentali della prima metà degli anni sessanta. Come sostiene Appella, che ha ideato e coordinato questa sezione, Pasolini era aggiornato sulle contemporanee vicende delle arti visive, pop Art compresa.
Un intellettuale così curioso non poteva non conoscere determinate esperienze, come quelle documentate con una serie di opere scelte provenienti da collezioni private e pubbliche. I componenti del Gruppo Uno, Gastone Biggi, Nicola Carrino, Nato Frascà, Achille Pace, Pasquale Santoro e Giuseppe Uncini guardano alle «nuove tecniche d'immagine». Così come il Gruppo 63, nato in precedenza, nel 1956, con Gastone Novelli, Achille Perilli e Toti Scialoja, documentato anche dalle opere grafiche e dalle sculture di piccolo formato che completano il percorso
nel vicino MUSMA, il museo della scultura contemporanea. La segnaletica orizzontale, concepita, così come il resto del materiale della comunicazione, da Mauro Bubbico, ci accompagna all'uscita. Prima di lasciare il palazzo, una sosta nell'attigua chiesa del Carmine è d'obbligo. Qui è possibile contemplare l'evocazione di una celebre opera di Fabio Mauri: su un grande lenzuolo sfaccettato è proiettato il Vangelo, per richiamare la performance in cui l'artista – durante l'inaugurazione della Galleria d'arte moderna di Bologna nel 1975 – proiettò il film sul corpo dello stesso Pasolini: l'opera fu titolata
« Intellettuale. nazionale». 

Lorenzo Madaro  su ALIAS Domenica (Il Manifesto)

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