28 febbraio 2018

Ecco come la lettura dell' ILIADE può aiutare a capire il nostro presente.


  Immagini della guerra infinita nella Siria dei nostri giorni


    Qualche settimana fa una cara amica, Raffaella Terribile, ha postato sul suo diario facebook il tema svolto da una sua alunna liceale, dopo la lettura e i commenti fatti  in classe del celebre passo dell'Iliade che si sofferma sull'ultimo incontro tra Ettore e Andromaca. Il testo scritto dall'alunna mi ha toccato profondamente e mi ha fatto ripensare agli anni in cui anch'io insegnavo e mi emozionavo di fronte a quello che riuscivano a scrivere i ragazzi. (fv)

 LA GUERRA IERI E OGGI



1200 a.C. Un uomo corre nel buio. Disperazione nei suoi occhi che brillano come gemme serrate fra due labbra brillanti. È una bocca forte quella che sembra volergli inghiottire il volto, una bocca dorata che ringhia contro chiunque s’osi andarle accanto malignamente, sfiorarle il pennacchio, protendere una punta verso quel volto. Corre affannato, il cuore più colmo d’ansia che d’altro, porta con sé un tondo di legno rivestito di cuoio. Il tondo non dondola, non arriva dopo, lo scudo avanza fiero col suo signore. Qualche fuoco rischiara il buio, si riflette sulle pietre che i suoi sandali calpestano. Quanto ha corso? Gli schinieri ormai gli fanno male, la lamina di metallo che gli copre il busto pesa. È troppo. Al suo fianco dondola imperterrita l’arma. Può un uomo vivere così? Il sangue che scorre ogni istante più forte…, ed eccola. Casa. Il buio impesta la vista fra quelle quattro mura, sembra volerlo divorare. Gli occhi bruciano punzecchiati da gocce di sudore che martellano il suo corpo scendendo dalla fronte, dopo essersi fatte strada fra i capelli, dopo aver sentito il gusto del suo elmo. Dov’è lei? Dov’è lui? Posa piano lo scudo, la veste del figlio fra le dita, ora. Può cedere un eroe? Stringe la stoffa piano al petto, dolce. Ma dove sono loro? Le tempie martellano, ma è tempo di andare. Corre ancora l’uomo, non ansima più. Le Porte Scee. Ed eccola. Quel vestito bianco, il capo scoperto contro tradizione, un’ancella col bimbo in braccio, dietro. L’aria della notte sposta indietro quei fili d’oro che le adornano il viso. Così bella, corre. Non si cura di come arriverà. Corre, quei fuochi le aprono la strada, dietro di lei il bimbo avvolto fra le bende può sentir palpitare il cuore affannato dell’ancella.
“Non andare, Ettore!”
“Devo andare”.
Andromaca. Donna, così fragile dopo tante sofferenze. Piange, prega, implora disperata. Può una donna vivere così? Il bimbo freme. Quell’elmo luccicante, quel mostro che quei fuochi fanno brillare, che teneva fra le braccia la madre, ora va verso di lui.
Piange Astianatte, non capisce che il mostro che vede è suo padre. Non sa che oltre il seno della donna che lo stringe ci sono solo mostri. Il padre si toglie l’elmo. Ricordami figlio, non come colui che ti spaventò prima di sparire, ma come colui che combatté per te. Ricordami Andromaca con amore, anche se non hai potuto dissuadermi da ciò ch’era mio compito fare.
Sarà l’ultima volta che si vedranno l’uno davanti all’altra. Anche se non lo vogliono credere, è un addio. 


2009 d.C. In un qualunque appartamento, casa o fattoria. Rumore al piano di sotto. È presto, che strano. O forse non è presto. Una donna scende le scale tremante, gli occhi lucidi. È giovane, stringe un bimbo che ancora sogna. Ad ogni suo passo le scale scricchiolano, e il suo cuore batte sempre più forte. Il fruscio della vestaglia. I gemiti del piccolo che si sta svegliando. Ogni goccia di pioggia che cade la fa trasalire, le manca il fiato. È oggi. Passi. Quanto vorrebbe restare lì per sempre, non trovarlo già pronto varcando quella porta. Quanti ricordi, ogni angolo della loro casa. Chissà quanto cambierà la sua vita fra poco, quanto potrà resistere? Può una donna vivere così? Varca la soglia. Sapeva che lui era là. Sta dando un ultimo saluto a tutto. I capelli radi, quella barba che le piaceva tanto non c’è. Ha già quel vestito così familiare negli ultimi tempi, il verde e il marrone che si intersecano come serpenti sulla sua giubba, sui suoi pantaloni. Ai piedi non più le pantofole che gli aveva regalato lei…, due lustri stivaloni neri calpestano le mattonelle incerti e vanno verso la porta. Paonazzo. Piangente. Poi fiero. Gli si legge negli occhi la paura. È già stato lì, ma ancora il bimbo non c’era. Può un uomo vivere così? Le è di fronte, l’accarezza piano, il suo viso, le sue mani. Ne vuol ricordare ogni lineamento. Il bimbo si sveglia al suo tocco. Piange. Quello non è il suo papà. Bacia dolcemente il figlio, la moglie in lacrime fra le braccia. Bacia anche lei.
“Non andare!”
“Devo andare”.
Ricordami figlio mio. Ricordami amore.
Sarà l’ultima volta che si vedranno l’uno davanti all’altra. Anche se non lo vogliono credere, è un addio.

Due epoche lontane millenni, ma episodi come questi si ritrovano uguali nel corso della storia. Ogni secondo battuto dall’orologio una persona muore nel mondo, ma è orribile pensare che muoia per un proiettile insensibilmente sparato, per una freccia scoccata, per una lancia conficcata.
Il passo di Iliade che canta l’incontro fra Ettore e Andromaca è uno dei pochi in cui Omero, il rapsodo che idealmente viene identificato come autore dell’opera orale, lascia trasparire il dolore di una famiglia spezzata dalla guerra. E come Ettore, che lascia tutto per difendere il Paese, o nel suo caso la Città, quanti altri uomini, in tutti i tempi, sono partiti per non tornare? Quante donne hanno pianto disperate un marito, un figlio, un padre, un fratello perduto?
“Presentate la vostra scelta con una descrizione ben articolata”. Ma come si può descrivere una guerra a chi non deve combattere nemmeno per ottenere in dono il capriccio del momento? I libri di storia parlano di morti e disperazione quasi come se nulla fossero, con distacco. Ma tutte le persone rimaste sole, le famiglie distrutte, i giovani e gli uomini i cui corpi giacciono sotto il fango anche ora, contano? Forse no, perché il libro è scritto dai vittoriosi, e la vittoria deve essere gloriosa. Oppure è scritto da chi ha perso, ma “limitare i danni” nel racconto di un avvenimento devastante lascia l’animo di chi legge libero di non fermarsi a pensare e, come abbiamo avuto esempio anche nell’ultimo decennio, di continuare a fare gli stessi errori.
Primo Levi diceva: “Chi non conosce il passato, è condannato a ripeterlo”, e credo davvero che non ci sia modo più giusto di mettere in guardia dagli errori che hanno segnato la storia dell’uomo in tutte le sue notti buie.
Platone, invece, nel Simposio diceva che se l’amore regnasse sovrano sulle azioni dell’uomo, il mondo sarebbe migliore. Non ci sarebbero più l’egoismo e l’avarizia che quasi sempre muovono le guerre – perché, mi si conceda, anche i grandi eroi cantati da Omero erano a Troia per razziare e saccheggiare la ricca città –.
Forse Platone esagerava, sarebbe ben difficile che tutti si amassero, ma che almeno fra esseri umani ci si rispettasse…
E tanti, tanti direbbero: “Ma io non posso cambiare il mondo!”.
Puoi, però, cambiare te stesso.

“Se prendi le persone come sono, le rendi peggiori.
Se invece le prendi per quello che dovrebbero essere,
le trasformi in quello che possono diventare.”

(Anonimo)


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