22 febbraio 2018

L'ANTIFASCISMO DI PASOLINI


     Riprendo dal sito https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/02/pasolini-antifascismo/            la parte iniziale di un documentato articolo che condivido pienamente e che invito a leggere integralmente:

#Pasolini e l’orrore per ogni fascismo. Nel suo #antifascismo estremo, un antidoto ai veleni di questi giorni



di Wu Ming 1

Un paio d’anni fa, su Internazionale, ci siamo occupati del mito tossico di Pasolini «che stava con la polizia», mito costruito a furia di citazioni monche e decontestualizzate della poesia Il PCI ai giovani.
Di quel mito abbiamo dimostrato l’infondatezza, e ci sembra di aver contribuito a ridurre l’utilizzo ricattatorio e repressivo che ne facevano gli strumentalizzatori. Era veramente troppo vedere Pasolini tirato in ballo come «uomo d’ordine» da gente come Maurizio Gasparri o Stefano Esposito.
Da un po’ di tempo a questa parte, al calo di potenza di quel mito è corrisposto l’aumento di potenza di un altro mito, complementare al primo e ancora più pernicioso: quello di un Pasolini «anti-antifascista».
Anche in questo caso si ricorre a frasi mozzate, recise, strappate a forza dal loro contesto, sempre le stesse frasi che diventano memi e circolano viralmente, come surrogati di qualunque argomentazione, «risposte-fine-di-mondo».
Il fine è sminuire — se non occultare — la violenza praticata dai neofascisti, cambiare argomento ogni volta che si parla delle tossine razziste in circolazione, opporre ai fatti il più bieco benaltrismo. In alcuni casi, come nelle esternazioni di un sedicente filosofo, il mito di un Pasolini «anti-antifascista» serve a proporre improbabili alleanze «antiglobaliste» coi neofascisti.
Prima o poi andrà ricostruita la genealogia di quest’utilizzo di Pasolini come auctoritas per ogni stagione e occasione. Un processo di lungo corso che, banalizzandone l’opera e la figura, lo ha trasformato in fashion icon per ipse dixit pronti da indossare. Di sicuro c’entra la sua «santificazione» dopo il martirio, ma non basta a spiegare tutto. C’entra anche la contraddittoria complessità del suo percorso, unita all’oltraggiosità di molte sue prese di posizione. E c’entra il suo modo di esprimersi, il suo “senso della frase”.

1. Punti fermi e irrinunciabili
Il contesto discorsivo costruito da Pasolini è un campo di tensioni, un vasto reticolo di corde tese all’estremo, a collegare vari temi, concetti, momenti. Corde sempre sul punto di spezzarsi. Seguendole con lo sguardo si trovano vere e proprie «rime narrative» e tematiche, ed è ciò che più affascina nell’installazione. Ma c’è anche un aspetto spaventoso: si capisce che per snaturare un’affermazione di Pasolini basta davvero pochissimo. Il modo più facile di snaturarla è dire, su qualunque argomento: «Pasolini la pensava così, punto». Costringere il suo pensiero in un meme è dunque la suprema violenza, è ogni volta uno stupro.
Come ha scritto uno dei più attenti studiosi di Pasolini, Guido Santato, l’opera pasoliniana «nega al lettore la possibilità di una interpretazione univoca o unilaterale costringendolo al contrario a una tensione critica costante, a una disponibilità intellettuale aperta e irrisolta. Cercare di ridurre a un ordine le contraddizioni di Pasolini privilegiando una chiave di lettura critica che si proponga di risolverle significherebbe ignorare la funzione essenziale che hanno avuto nella sua opera e nella sua vita. L’esperienza dell’antitesi costituisce la più profonda matrice strutturale dell’opera di Pasolini, che al di fuori di essa apparirebbe sostanzialmente incomprensibile. La contraddizione costituisce l’elemento dinamico e tensore che produce l’opera, e che in questa mira non a risolversi ma ad esprimersi.»

Nondimeno, chiunque conosca l’opera di Pasolini — in primis Santato, che forse la conosce meglio di tutti — può dimostrare che in essa si trova una coerenza intima e profonda. Nel percorso di Pasolini vi sono punti fermi non negoziabili. Altrimenti non sarebbe opera, ma un guazzabuglio di prese di posizione umorali, rovesciamenti da banderuola scossa dal vento, dichiarazioni rese al puro scopo di épater qualcuno: les bourgeois, la gauche ecc.
Non che a Pasolini non capitasse di voler «scandalizzare e basta», anzi. Ma lo fece sempre entro certe — e sottolineo certe — coordinate di pensiero, tenendo fermi valori irrinunciabili.
Quella che Santato chiama «esperienza dell’antitesi», è antitesi tra una strategia discorsiva e l’altra, tra una tattica argomentativa e l’altra, tra un elemento e l’altro di una poetica complessa. Pasolini cambiava approccio in modo drastico, usava l’antitesi per passare da una fase all’altra del suo percorso. Si pensi ai film della «Trilogia della vita» (1971-1974) e all’Abiura della «Trilogia della vita» (1975); si pensi al passaggio dall’invettiva de Il PCI ai giovani (1968) alla collaborazione con Lotta Continua (1969-1972), del cui giornale fu anche direttore responsabile.
L’antitesi, però, non è mai antitesi rispetto ai valori irrinunciabili o alle linee di condotta ritenute imprescindibili. Mai.
Valori e linee di condotta che i suoi finti esegeti da social network — o da editoriale «anti-antifascista» cucinato in modalità Quattro salti in padella — ignorano, per insipienza oppure a bella posta.
Per questo le loro citazioni di Pasolini ne deturpano la figura e il pensiero.
Il punto è questo: il 99,99% di quel che Pasolini scrisse, se letto da quelli che ne citano a cazzo di cane lo 0,01%, li farebbe fremere d’odio nei confronti dell’autore che stanno usando come pezza d’appoggio.

CONTINUA in  https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/02/pasolini-antifascismo/
 

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