03 febbraio 2018

SOLTANTO I CLASSICI RIESCONO A SCANDALIZZARE OGGI

"Il Mercante di Venezia" di Shakespeare nella regia di Luca Ronconi (1988)

Quando i classici danno scandalo 

Giuseppe Scaraffia

      Curiosamente in quest’epoca abituata a ogni sorta di provocazioni, sono ancora i classici a scuotere le coscienze assopite, e talvolta, come per l’Antigone della Rossanda, basta un'introduzione a scatenare una polemica sopita.
Il Mercante di Venezia nella nuova edizione di Ronconi non ha mancato, in questi tristi tempi di repressione palestinese, di ridestare discussioni. Ci si è chiesti in che misura Shakespeare avesse inteso rappresentare la condizione ebrea nella contraddittoria figura di Shylock. E in effetti una possibile datazione dell’opera al 1594 la ricollegherebbe all’esecuzione capitale di un ebreo, Roderigo Lopez, medico della regina, accusato di avere tentato di avvelenarla. Il presunto colpevole venne impiccato e squartato, ma soprattutto lasciò dietro di sé una scia di odi e risentimenti razzisti. Certo l’usuraio Shylock non è un personaggio positivo, nonostante le sue celebri proteste: «Sono un ebreo. Ma non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passi un ebreo? Non si nutre degli stessi cibi?». Eppure Shakespeare ce lo mostra avido e privo di sentimenti, tranne l’affetto per la figlia, pronto a utilizzare la legge in modo disumano. Insomma la questione dell’antisemitismo shakespeariano rimane aperta.
Del resto ogni riedizione, come la più recente, del conflitto Mozart-Salieri scatena ridde di discussioni sul genio, la precocità, il destino e soprattutto la gelosia dei mediocri verso i grandi. In un’ultima eco del romantico conflitto tra sregolatezza e mediocrità, intitolato, appunto, Non dimenticate Mozart, il musicista veniva assunto a simbolo dell’estraneità inquietante del genio alla meschinità insormontabile del potere.
Le riedizioni rivoluzionarie di antichi temi colpiscono in modo particolare, in quanto, inserendosi fittiziamente nella tradizione, sembrano indebolire la legittimità dei bersagliati. Chi reagisce violentemente ad asserzioni su cui non si sarebbe pronunciato in altra veste, lo fa nella preoccupazione di vedere i propri avversari trincerarsi nel territorio consolidato della tradizione, per muovere i loro attacchi. In questo modo risulta quindi svelata l’ambiguità della tradizione, ridotta, da baluardo di ogni istituzione, a specchio variabile degli umori della società. Del resto esistono veri e propri classici dello scandalo, come il povero Sade, molto più condannato che letto a ogni successiva riedizione letteraria o teatrale e ultimamente colpito dalla più insidiosa delle accuse: la noiosità. Si insinua che dietro la sua aggressività si nasconda un nefasto amore dell'ordine o una paradossale assenza di desiderio. Pochi rilevano la fondamentale innocenza della sua vita, che sarebbe rimasta inosservata, in un secolo di libertinaggio, se il povero Marchese non avesse messo per iscritto i suoi sogni. Tuttavia, nonostante la consunzione oggettiva del tema, ogni volta le sue complesse macchine erotiche fanno scaturire schiere di partigiani dello sfrenamento sessuale, cui si
contrappongono altrettanti difensori di un pudico umanesimo. Del resto proprio Pasolini, con la sua scandalosa trasposizione delle Centoventi giornate sadiane nel cupo declino della Repubblica di Salò, aveva accreditato l’ipotesi, combattuta da saggisti come Bataille, di un Sade autoritario, votato al culto della morte e del sangue.
La Morte di Danton di Buchner, rappresentato per la prima volta nel 1835 e recentemente riecheggiato in cinema da Wajda, non ha mancato di suscitare fervide meditazioni intorno all’opportunità degli oneri sanguinosi della Rivoluzione francese e all’ambiguità dell’uomo politico, interpretato da Dépardieu. Le contraddizioni di Danton, sospeso tra l’eroismo e lo scetticismo, il disperato edonismo dei moderati, incerti sull’esito del sommovimento, le incertezze di Robespierre, personaggio tradizionalmente monolitico, nel bene e nel male sono fatte per ridestare il dibattito, com'è puntualmente accaduto.
La ripresa di un mito cristiano, Il martirio di San Sebastiano di D’Annunzio, era destinata a suscitare scalpore ancora prima di calcare le scene. Robert de Montesquieu, membro influente sul mondo letterario parigino, aveva preannunciato che si trattava di un capolavoro. L'efebica Ida Rubinstein aveva offerto al martire il suo corpo sottile e Debussy le sue note. D’Annunzio esortava implacabilmente l’interprete a esercitarsi al tiro con l’arco, mentre profittava dei favori del folto gruppo d’attricette aspiranti ai ruoli minori del Martirio. La stampa aveva seguito da vicino le prove, creando una vasta aspettativa, ma una settimana prima il vescovo di Parigi condannò solen- ì nemente lo spettacolo di un autore all’indice. L’incriminato rispose, insieme a Debussy, con una lettera di protesta sul “Figaro”, vantando i meriti di un’opera «profondamente religiosa, una glorificazione lirica non solo dell’Atleta mirabile di Cristo, ma di tutto l’eroismo cristiano».
Subito i salotti si divisero. Per tacitare i conservatori, il poeta ricorse, con mossa geniale, al loro massimo rappresentante, Barrès, cui dedicò pomposamente l’opera, con somma soddisfazione dello scrittore francese. Nel complesso lo spettacolo fu poco apprezzato. I cattolici reagirono con indignazione alle mollezze dell’androgino e solo Leon Blum approvò calorosamente.
Molto distante, nel tempo e nella tematica, appare Le mosche di Sartre in cui il mito di Oreste veniva ripreso in chiave esistenzialista, trasformando il vendicatore del padre in un avversario del potere costituito, impersonato dall’usurpatore Egisto, in cui si rifletteva, nel 1943, la condanna dell’occupazione nazista e del collaborazionismo. Trattato duramente dai critici, il dramma ebbe ampi, anche se, ovviamente, cauti consensi del pubblico.
Ultimamente una Pentesilea kleistiana d’ispirazione femminista ha suscitato vivaci discussioni, ma, in quest’epoca di revival sessantotteschi basta ricordare la grottesca vicenda dei giovani americani di quegli anni, vistisi imputare di stampa sovversiva per avere pubblicato in un manifesto alcuni articoli della costituzione americana.


EUROPEO, 26 FEBBRAIO 1988

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