Albert Camus e Maria Casarès
Un
amore sospeso sull'abisso
Giuseppe
Scaraffia
«Guerra e pace»: così Albert Camus
aveva soprannominato Maria Casarès, la grande attrice con cui ebbe una focosa e
tormentata relazione, documentata da un libro appena uscito da Gallimard:
Correspondance 1944-1959, con la prefazione della figlia dello scrittore,
Catherine. Proprio lei che ha esitato per anni a pubblicare queste 865 lettere,
ardente testimonianza della vita parallela del padre.
Albert e Maria si erano intravisti
nel 1944 a casa di Michel e Zette Leiris, alla rappresentazione del Desiderio
preso per la coda di Picasso, dove Camus, che faceva da regista, segnalava agli
interpreti i cambi di scena picchiando in terra con un bastone.
Lui aveva trentun anni ed era quasi
famoso. Lei non aveva potuto fare a meno di notare il suo viso attraente,
«altero senza fatuità», con una sfumatura d' indolente indifferenza.
La tisi che erodeva Camus dilatava
la sua fame di vita. Il fatto di essere sposato non limitava minimamente la sua
affollata vita intima. Le donne apprezzavano il suo modo di spogliarle con lo
sguardo, che irritava tanto gli altri uomini. «Il fascino è un modo per farsi
rispondere sì senza chiedere niente».
Figlia di un ministro spagnolo in
esilio dopo la vittoria di Franco, Maria Casarès aveva ventidue anni, un'
intensa bellezza bruna, stanchi occhi verdi e un' intelligenza pari solo alla
sua straordinaria capacità di recitare. Tutto era iniziato in uno di quegli
scoppi di gioia di vivere con cui gli intellettuali cercavano di combattere l'
angoscia dell' occupazione nazista. Venivano chiamate fiestas quelle riunioni
in cui ognuno collaborava portando amici, viveri e alcol. Maria era bellissima.
Aveva un vestito di Rochas a righe viola e malva e i capelli neri tirati all'
indietro. Era quasi l' alba quando erano usciti.
Avevano bevuto più del solito per
contrastare la reciproca timidezza. Lei si era seduta sul manubrio della
bicicletta dello scrittore; dopo pochi metri, preoccupata dal suo zigzag, gli
aveva chiesto se la bicicletta non avesse bevuto troppo. Lui le aveva risposto
sorridendo che stava solo cercando la Senna.
Così, mentre gli alleati sbarcavano
in Normandia, la nuova coppia era fortunosamente approdata in rue Vaneau, dove
Camus era ospitato a pagamento nello studio di André Gide, allora in Algeria.
Nella stanza c' era un trapezio sospeso al soffitto: Camus ne era irritato
perché tutti i suoi visitatori si sentivano in dovere di mettersi alla prova.
Mentre a Maria, più romantica, faceva pensare a loro come a due trapezisti
«lassù in alto, sempre tesi, stretti l' uno all' altro, l' uno tenuto dall'
altro, e sotto l' abisso».
Lo scrittore la scelse per recitare
il ruolo principale in Il malinteso, una pièce difficile, poco apprezzata dal
pubblico. Ma anche i critici più negativi dovettero ammettere il talento dell'
attrice. A quella donna lucida e appassionata riusciva difficile condividerlo
con la moglie, rimasta in Algeria. L' imprevista passione che provava per lei,
l'«Unica», dava a Camus rimorsi che di solito non provava per gli altri suoi
flirt: «L' amore è un' ingiustizia, ma la giustizia non è sufficiente». Per la
prima volta si trovava di fronte a una donna in grado di tenergli testa. «Io ti
ho ingannata, non ti ho mai tradita» si difendeva mentre, senza smetterla di
amarla, accumulava fuggevoli relazioni. Lei faceva lo stesso, sperando di
ingelosirlo.
A poco a poco si allontanarono:
«Abbiamo vissuto ore magnifiche nell' anno 1944, ma sono state a lungo
ostacolate dall' orgoglio da una parte e dall' altra» ammetteva lo scrittore
cercando di fare il bilancio di quei mesi torridi. Ma era doloroso rinunciare a
lei. «Dovunque mi volti, vedo solo la notte...senza di te non ho più la
forza... credo di avere voglia di morire» scriveva desolato.
Una sospensione durata fino al 6
giugno 1948, quando, quattro anni dopo quella fiesta, si rincontrarono per caso
a Saint-Germain. Ognuno dei due aveva un appuntamento, ma gli amici li
aspettarono invano. «È vero che torniamo l' uno all' altra, forse più veri e
profondi di quanto eravamo. Eravamo troppo giovani e non siamo troppo vecchi
per approfittare di quello che sappiamo: è meraviglioso».
Eppure era difficile per entrambi
sopportare quel compromesso. «Soffoco letteralmente. Ci sono delle tue frasi
che mi perseguitano ancora, l' angoscia della partenza, soprattutto la menzogna
- perché questa è una vita di bugie e a volte vorrei gridare» confessava Camus.
Poi Francine, la moglie che l' aveva raggiunto a Parigi, era venuta a saperlo e
aveva tentato il suicidio. Salvata in tempo, ripeteva nel sonno il nome della
rivale. Ma Albert non aveva ceduto, continuando a dividersi tra le due donne.
Confortato dal parere di uno specialista: «Secondo lui la necessità in cui mi trovo
di risparmiare la salute di Francine mi fa vivere "in una gabbia di
vetro". La sua prescrizione: libertà ed egoismo. Una superba ricetta
secondo me. E di gran lunga la più facile per vivere».
Nelle lettere lei era il suo
«piccolo gabbiano», la sua «trota nera», la «saporita».
Le relazioni che entrambi
continuavano a intrecciare non smorzavano l' incandescenza dei loro rapporti,
anche se a volte lei era irritata dalla tolleranza del compagno per i suoi
legami occasionali. «Io sono bollente dentro, fuori. Tutto brucia, anima,
corpo, sopra, sotto, cuore, carne... hai capito? Hai capito? Hai capito bene?».
Tra alti e bassi, delusioni e
speranze, assenze e ritorni, la loro relazione era destinata a continuare fino
alla fine. Nel 1959, pochi giorni prima della morte di Camus in un incidente
stradale, lei gli scrisse: «Aspetto il miracolo perennemente rinnovato della
tua presenza: credevo di vivere male lontano da te, ma non è vero.
Lontano da te non riesco affatto a
vivere».
E lui: «A presto, mia superba, sono
talmente contento all' idea di rivederti che rido mentre ti scrivo».
Articolo ripreso da Il Venerdì di
Repubblica, 29 dicembre 2017
***
Ecco una delle lettere
ALBERT CAMUS A MARIA CASARÈS:
Giovedì, ore 10 (di sera) giugno 1944
Giovedì, ore 10 (di sera) giugno 1944
Sono così felice, Maria. Come è possibile? Quello che mi fa
tremare è una specie di gioia folle. Ma allo stesso tempo sono trafitto
dall’amarezza - partirai, la tristezza dei tuoi occhi mentre mi lasci. Davvero
quello che ho di te è un gusto in cui si mescola la felicità all’inquietudine.
Ma se tu mi ami, come scrivi, dobbiamo avere altre cose. Questo è il momento di
amarci e dobbiamo volerlo con forza e a lungo per andare oltre ogni altra cosa
(…) Attendo domani il tuo caro volto. Stasera troppo stanco per parlare di
questo cuore traboccante a cui mi hai ridotto. C’è qualcosa che è solo per noi
e dove ti raggiungo sempre, senza sforzo. Queste sono le ore in cui mi chiudo
in te e tu dubiti di me. Ma non importa, il mio cuore è pieno di te. Addio,
tesoro. Grazie per quelle parole che mi hanno dato così tanta gioia. Grazie per
questa anima che ama e che ti ama. Ti bacio con tutte le mie forze.
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