Madame Cézanne à la jupe rayée
Riunite quasi per
intero le 56 opere di Cézanne che nel 1907 a un anno dalla morte del
Maestro vennero esposte al Grand Palais. Fu un evento straordinario
come testimoniano le lettere di Rilke raccolte nel volume.
Giuseppe Frangi
Cézanne 1907, quella
pittura è una muraglia
Il Salon d’automne in quel 1907 aprì il primo ottobre. Era alla quinta edizione e per il successo ottenuto era stato trasferito dagli spazi un po’ angusti dei piani bassi del Petit Palais a quelli immensi del Grand Palais. Quell’anno il manifesto annunciava quattro personali: Berthe Morisot, Eva Gonzales, Jean-Baptiste Carpeaux e Paul Cézanne, morto proprio nell’ottobre dell’anno prima. Il Salon, inventato da Frantz Jourdain, architetto e critico di origine belga, prevedeva sempre la pubblicazione di un piccolo catalogo, con la lista puntuale delle opere esposte.
Nel caso di Cézanne ci
rivela che erano 56, elencate a blocchi per collezionisti prestatori,
con il solo titolo e senza misure. Stranamente di quell’edizione
del Salon non si conoscono fotografie, così le sale di Cézanne sono
rimaste sempre un po’ in un cono d’ombra, nonostante si fosse
trattato della sua prima grande personale e di una delle
mostre-cardine del secolo passato.
Ci sono voluti 110 anni per scoprire quali quadri fossero appesi negli spazi del Grand Palais. Merito del lavoro di Bettina Kaufmann, co-curatrice del Cézanne Online Catalogue Raisonné, che sulle 56 opere esposte ha trovato traccia certa di 42, mentre altre 14 non hanno potuto essere identificate univocamente, per via della genericità dei titoli e dei numerosi passaggi di mercato. Comunque siamo nell’altamente probabile. Così la sfilata di immagini nel volume ora pubblicato a conclusione del lavoro – Paul Cézanne e Rainer Maria Rilke Quadri da un’esposizione (Jaca Book, pp. 144, 56 tavv. col., euro 50 ,00) – restituiscono bene la fisionomia di quella mostra-evento che ha segnato come poche altre la storia dell’arte del secolo scorso.
Si scopre che lo sguardo
su Cézanne era già uno sguardo totale, con notevole attenzione
anche alle opere dell’ultimo periodo dello scontroso maestro di
Aix: in particolare Ambroise Vollard aveva intercettato due ritratti
del Jardinier Vallier, quasi ancora freschi di pittura. Il figlio
Paul aveva prestato una serie di sette meravigliosi acquerelli, tra i
quali un capolavoro del 1906, La Bouteille de Cognac. Tra i
prestatori c’era anche un italiano, Egisto Fabbri, il mercate
fiorentino che nella sua collezione aveva decine di opere di Cézanne,
tra le quali Madame Cézanne à la jupe rayée, oggi al museo di
Boston.
Fuori catalogo, ma
documentato dalle cronache, arrivò anche una 57esima opera, che
Claude Monet volle prestare in omaggio al grande collega da poco
scomparso: è un quadro del 1867, una figura di uomo nero di spalle,
Le Négre Scipion. Un quadro strano se pensato in rapporto agli
interessi di Monet, ma che documenta un approccio a Cézanne come
artista totale e non come semplice compagno nell’avventura
dell’Impressionismo e di ciò che ne derivò.
Com’è noto la mostra fu teatro delle visite compulsive di Rilke che in quegli anni era a Parigi e che tra il 6 e il 24 ottobre raccontò, in una sequenza quasi quotidiana di lettere alla moglie Clara, la propria folgorazione davanti alle opere di Cézanne. Nel volume di Jaca Book le lettere sono presentate nella selezione curata da Clara Rilke in occasione della prima pubblicazione del 1952, con l’aggiunta di due lettere «cézanniane» inviate dal poeta alla pittrice tedesca Paula Modershon-Becker, sempre nel 1907. Scrive Rilke che «Cézanne è stato un evento che quasi tutti erano impazienti di ammirare, i pittori in particolare non vedevano l’ora».
Che si fosse trattato di una mostra terremotante lo conferma la circostanziata e a suo modo straordinaria stroncatura firmata da André Pératé per la «Gazette des Beaux-Arts». È una recensione che testimonia come il contraccolpo del disvelamento di Cézanne avesse causato un profondo e quasi drammatico malessere in tanti osservatori.
Rilke
«Le vecchie abitudini
classiche o romantiche – scrisse Pératé –, il nostro idealismo,
per quel poco che sussiste, il nostro desiderio di stile e di
sentimento, tutto è travolto, violentato da questo pittore brutale,
da questo pazzo». Cézanne «uccide il mio innocente Corot, svela le
bugie di Délacroix», scrisse quasi impaurito il critico francese,
davanti a quella pittura che sembrava come «una muraglia», «una
realtà» davanti alla quale «tutto il resto, alla prova, sembra
come un decoro». Cézanne è un barbaro, metà operaio e metà
trappista, per il quale la pittura è «un morire per rinascere alla
realtà» (il corsivo è di Pératé).
Lo sguardo di Rilke è
più contiguo di quanto non sembri a quello di Pératé. Anche lui,
come scrive Franco Rella nel saggio sulle lettere del poeta contenuto
nel libro, «avverte una vertiginosa concentrazione», perché nella
pittura di Cézanne c’è «tutta la realtà». Rilke arriva in
mostra avendo già avuto più di un approccio con Cézanne, prima da
Cassirer, in Germania, e poi alla galleria Bernheim-Jeune a Parigi,
nel 1906, in occasione di una mostra di suoi acquerelli.
Il 7 ottobre, durante la
visita quotidiana al Salon, aveva incontrato anche Julius
Meier-Graefe, lo storico dell’arte che aveva fatto conoscere
l’impressionismo in Germania e di cui aveva anche apprezzato un
libro su quella stagione pittorica. Inoltre Rilke aveva compulsato i
ricordi e le lettere che Émile Bernard aveva pubblicato nei suoi
Souvenirs sur Cézanne, riproposti dal «Mercure de France» in
occasione del Salon.
Quello di Rilke è dunque
un approccio strutturato e consapevole, che gli permette di scavare
dentro la pittura e di cogliere delle dinamiche rivelatrici. Scrive
ad esempio: «È come se ogni punto sapesse di tutti gli altri. Tanta
è la sua partecipazione; tanto si combinano in lui adattamento e
rifiuto». Il suo è uno sguardo ravvicinato, che si tiene alla larga
da un’interpretazione letteraria.
È un approccio che trova
un rimando in una pagina sinteticamente straordinaria dei Pensieri
Verticali di Morton Feldman (una lettura di cui sono debitore a Lea
Vergine), che spiega come Cézanne abbia costituito un nuovo inizio
per la pittura: «Cézanne ci ha dato la “pittura per la pittura”,
ma ci ha dato anche l’ultima grande rivelazione sulla natura.
Questo è ciò che rende il suo approccio “analitico” così
straordinariamente commovente. Per Cézanne il mezzo è diventato
l’ideale».
il manifesto – 3 giugno 2018
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