Il problema vero non è
se stare in Europa, ma che tipo di Europa si intende costruire, se
un' Europa dei popoli o un'Europa delle banche e del grande capitale
tedesco. Ma occorrerebbe avere una visione dello sviluppo italiano
in un quadro continentale. Prevale invece la politica del giorno per
giorno, dell'accodamento alle decisioni altrui o, peggio ancora,
dell'assalto (spesso truffaldino) ai fondi europei. Questa politica
ha portato la Grecia al collasso: E l'Italia?
Luciano Gallino
La lezione di Atene
per l’Italia
Pochi giorni fa il Parlamento greco ha diffuso un rapporto del Comitato per la Verità sul Debito pubblico. Le conclusioni sono che per il modo in cui la Troika ha influito sul suo andamento, e per i disastrosi effetti che le politiche economiche e sociali da essa imposte hanno avuto sulla popolazione, il debito pubblico della Grecia è illegale, illegittimo e odioso. Pertanto il Paese avrebbe il diritto di non pagarlo. Il rapporto greco è fitto di riferimenti alle leggi e al diritto internazionali. E contiene, in modo abbastanza evidente, una lezione per l’Italia.
Il rapporto distingue con cura tra illegalità, illegittimità e odiosità di un debito pubblico. Un debito è illegale se il prestito contravviene alle appropriate procedure previste dalle leggi esistenti. È illegittimo quando le condizioni sotto le quali viene concesso il prestito includono prescrizioni nei confronti del debitore che violano le leggi nazionali o i diritti umani tutelati da leggi internazionali.
Infine è odioso quando
il prestatore sapeva o avrebbe dovuto sapere che il prestito era
stato concesso senza scrupoli, da cui sarebbe seguita la negazione
alla popolazione interessata di fondamentali diritti civili,
politici, sociali e culturali. Il Fmi è responsabile di tutt’e tre
le infrazioni perché le condizioni imposte alla Grecia in relazione
ai suoi prestiti hanno gravemente peggiorato le sue condizioni
economiche e il suo sistema di protezione sociale.
Da vari documenti interni
del Fondo stesso, risalenti al periodo 2010-2012, appare evidente che
perfino il suo staff, una parte consistente del consiglio direttivo
formato da rappresentanti di vari paesi, e non pochi dirigenti
sapevano benissimo quali sarebbero state le conseguenze negative a
danno della popolazione greca.
La Bce non è stata da meno, contribuendo ai programmi di aggiustamento macroeconomici della Troika e insistendo in special modo sulla de-regolazione del mercato del lavoro — violando in tal modo anche gli articoli del Trattato Ue che stabiliscono la sua indipendenza dagli stati membri. Con le sue manovre relative al commercio dei titoli sul mercato secondario ha reso possibile alle banche private greche di scaricare dal bilancio gran parte dei titoli di stato, peggiorando le condizioni del bilancio pubblico.
Quanto al fondo Efsf,
sebbene gestisca fondi pubblici europei, è stato costituito come
società privata cui non si applicano le leggi Ue, persegue
unicamente obbiettivi finanziari, e sapeva bene di imporre con i suoi
prestiti costi abusivi alla Grecia, senza che essi recassero alcun
beneficio al paese. Pertanto molte azioni svolte da Bce e Efsf nei
confronti della Grecia nel periodo 2010-2015 sono classificabili come
illegali, illegittime e odiose. Il testo abbonda di rimandi ad altre
violazioni operate dalla troika. Esse vanno dalla falsificazione
delle statistiche economiche e sociali della Grecia alla violazione
della sovranità fiscale dello stato greco.
Si dirà: ma che c’entra l’Italia con le vicende del debito greco? C’entra eccome, poiché vi sono perentori memoranda e lettere di istruzione inviate al governo italiano dalle medesime istituzioni Ue, e nello stesso periodo, che nello spirito e nei contenuti sembrano delle fotocopie di quelle inviate al governo ellenico. Si veda ad esempio la lettera indirizzata al governo italiano dalla Bce nell’agosto 2011.
Essa raccomandava varie
misure pressanti, quali «la piena liberalizzazione dei servizi
pubblici locali»; «privatizzazioni su larga scala»; una ulteriore
riforma del «sistema di contrattazione salariale collettiva,
permettendo accordi al livello di impresa»; l’adozione di «una
accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il
licenziamento dei dipendenti»; un ulteriore intervento nel sistema
pensionistico; «una riduzione significativa dei costi del pubblico
impiego»; infine chiedeva che «tutte le azioni elencate… siano
prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica
parlamentare ».
Questi e vari altri
interventi peggiorativi delle condizioni di lavoro e di vita dei
cittadini italiani sono stati prontamente adottati dai governi
italiani, fino all’attuale con il suo scandaloso Jobs Act, non
mancando di ripetere ad ogni momento la trita giustificazione «ce lo
chiede l’Europa».
In realtà non è
l’Europa a chiederlo, ma singole istituzioni europee, molto spesso
in violazione, come documenta il rapporto greco,degli stessi trattati
Ue e di numerosi trattati internazionali. Al punto da far sorgere il
dubbio che siano da considerare anch’essi, i dettati inviati
all’Italia, illegali, illegittimi e odiosi. In attesa che qualcuno
se ne accorga, avvii le procedure necessarie, e si impegni a chiedere
alla Ue che rispetti almeno i medesimi trattati da essa sottoscritti.
Tutto ciò non soltanto per il rispetto dovuto alle leggi ma perché
il prossimo caso greco potremmo essere noi.
La Repubblica – 26
giugno 2015