20 maggio 2018

ELOGIO DELLA POESIA DI FRANCA ALAIMO


Franca Alaimo

Singolare silloge di Franca Alaimo, poetessa palermitana di lungo corso: “Elogi”

Antonino Cangemi


La palermitana Franca Alaimo è una poetessa di lungo corso. Ha scritto moltissime sillogi e ha raccolto tanti riconoscimenti ( non è  da tutti avere dedicate delle pagine nella rivista di Nicola Crocetti “Poesia”, autentico monumento della resistenza poetica).  L’ultima tra le sue raccolte, “Elogi” edita da Giuliano Landolfi, è forse la più intima, la più personale, sebbene l’Alaimo non abbia mai disdegnato nella sua produzione lirica – ricca e variegata – il taglio biografico. E’ un’opera, “Elogi”, che giunge per l’Alaimo in un momento di maturità di vita e di poesia (ammesso che vita e poesia, nel suo caso, possano scindersi): momento di consuntivi, di conti con se stessa. In “Elogi”, l’Alaimo si interroga, passa in rassegna la propria esistenza, e tira le conclusioni: in versi, naturalmente, ché altro linguaggio l’autrice non conosce che quello lirico, per quanto si sia misurata (ma sporadicamente) con la narrativa e sia un’acuta critica letteraria ( quasi esclusivamente, però, di opere poetiche). L’Alaimo, nel passare a setaccio la propria vita, sembra non rimuovere niente, anche le fasi e gli accadimenti più crudi, che sono riscattati dalla forza salvifica delle parole, dalla poesia. A un’analisi attenta, “Elogi” è una silloge singolare. E’ singolare perché, da un canto, si presenta come un racconto in versi, dall’altro perché, sebbene attraverso un linguaggio poetico apparentemente immediato e semplice, la raccolta è attraversata da una meditazione filosofica non di poco momento. Per spiegarci meglio, in “Elogi” ciò che prevale e cattura è la liricità del suo discorso, ma in quella liricità vi è una narrazione di accadimenti e, nello stesso tempo, una riflessione profonda sul senso della vita; non solo, vi è pure una risposta esistenziale. La risposta è nell’accettazione della vita, pur riconoscendone le asprezze, i dolori, i limiti: “…perché ormai lo so: / è sempre giusto vivere”; è nel sapere accontentarsi e godere del poco, grazie alla ricchezza e alla maturità interiori –acuite con gli anni – che  quel poco riesce a farglielo amare: “Ah, il bello di possedere soltanto il poco / dell’aria che mi respira e mi fa vita viva / fino a che più nessuno mi respirerà”. E’ straordinario come in “Elogi” l’Alaimo – al contrario di tanti poeti cerebrali e astratti (alcuni tra i più in voga) in cui i contorsionismi filosofici subissano o minimizzano l’afflato lirico – fa filosofia tramite una poesia pura, incontaminata, scevra da condizionamenti intellettualistici. Il rilievo filosofico del suo dettato lirico è rivelato anche dalla struttura della silloge, suddivisa in quattro sezioni: “Elogio del niente”, “Elogio del tutto”, “Elogio del tempo”, “Elogio dell’amore”, in questa successione. L’elogio della vita si manifesta nell’abbracciarla nella sua interezza: a cominciare dalla dissolvenza, dall’assenza, dal vuoto, dalla “fratellanza del silenzio”, per continuare nella contemplazione dello svanire che risorge (“La luna  impallidisce ed / è di nuovo l’alba.”), del “niente” che diventa  “tutto”, e poi accoglierla  nella sua trama –anche spinosa – rivelata dal tempo e, infine, nelle passioni –non solo sentimentali- dell’amore. Ma perché l’Alaimo in questa originalissima silloge benedice il tempo e persino la morte (si legga la poesia “Elogio di sorella morte”)? La risposta la si trova soprattutto nella poesia “Troppo” e, in particolare, nei suoi ultimi tre versi: “O Dio celeste / che ci mangi a morsi, / è troppa la dolcezza, troppa”.

Antonino Cangemi, 20 maggio 2018 in  http://siciliainformazioni.com/

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