Franca Alaimo
Singolare silloge di Franca Alaimo, poetessa palermitana di lungo corso: “Elogi”
Antonino Cangemi
La palermitana Franca Alaimo è una poetessa di lungo corso. Ha scritto
moltissime sillogi e ha raccolto tanti riconoscimenti ( non è da tutti
avere dedicate delle pagine nella rivista di Nicola Crocetti “Poesia”,
autentico monumento della resistenza poetica). L’ultima tra le sue
raccolte, “Elogi” edita da Giuliano Landolfi, è forse la più intima, la
più personale, sebbene l’Alaimo non abbia mai disdegnato nella sua
produzione lirica – ricca e variegata – il taglio biografico. E’
un’opera, “Elogi”, che giunge per l’Alaimo in un momento di maturità di
vita e di poesia (ammesso che vita e poesia, nel suo caso, possano
scindersi): momento di consuntivi, di conti con se stessa. In “Elogi”,
l’Alaimo si interroga, passa in rassegna la propria esistenza, e tira le
conclusioni: in versi, naturalmente, ché altro linguaggio l’autrice non
conosce che quello lirico, per quanto si sia misurata (ma
sporadicamente) con la narrativa e sia un’acuta critica letteraria (
quasi esclusivamente, però, di opere poetiche). L’Alaimo, nel passare a
setaccio la propria vita, sembra non rimuovere niente, anche le fasi e
gli accadimenti più crudi, che sono riscattati dalla forza salvifica
delle parole, dalla poesia. A un’analisi attenta, “Elogi” è una silloge
singolare. E’ singolare perché, da un canto, si presenta come un
racconto in versi, dall’altro perché, sebbene attraverso un linguaggio
poetico apparentemente immediato e semplice, la raccolta è attraversata
da una meditazione filosofica non di poco momento. Per spiegarci meglio,
in “Elogi” ciò che prevale e cattura è la liricità del suo discorso, ma
in quella liricità vi è una narrazione di accadimenti e, nello stesso
tempo, una riflessione profonda sul senso della vita; non solo, vi è
pure una risposta esistenziale. La risposta è nell’accettazione della
vita, pur riconoscendone le asprezze, i dolori, i limiti: “…perché ormai
lo so: / è sempre giusto vivere”; è nel sapere accontentarsi e godere
del poco, grazie alla ricchezza e alla maturità interiori –acuite con
gli anni – che quel poco riesce a farglielo amare: “Ah, il bello di
possedere soltanto il poco / dell’aria che mi respira e mi fa vita viva /
fino a che più nessuno mi respirerà”. E’ straordinario come in “Elogi”
l’Alaimo – al contrario di tanti poeti cerebrali e astratti (alcuni tra i
più in voga) in cui i contorsionismi filosofici subissano o minimizzano
l’afflato lirico – fa filosofia tramite una poesia pura, incontaminata,
scevra da condizionamenti intellettualistici. Il rilievo filosofico del
suo dettato lirico è rivelato anche dalla struttura della silloge,
suddivisa in quattro sezioni: “Elogio del niente”, “Elogio del tutto”,
“Elogio del tempo”, “Elogio dell’amore”, in questa successione. L’elogio
della vita si manifesta nell’abbracciarla nella sua interezza: a
cominciare dalla dissolvenza, dall’assenza, dal vuoto, dalla
“fratellanza del silenzio”, per continuare nella contemplazione dello
svanire che risorge (“La luna impallidisce ed / è di nuovo l’alba.”),
del “niente” che diventa “tutto”, e poi accoglierla nella sua trama
–anche spinosa – rivelata dal tempo e, infine, nelle passioni –non solo
sentimentali- dell’amore. Ma perché l’Alaimo in questa originalissima
silloge benedice il tempo e persino la morte (si legga la poesia “Elogio
di sorella morte”)? La risposta la si trova soprattutto nella poesia
“Troppo” e, in particolare, nei suoi ultimi tre versi: “O Dio celeste /
che ci mangi a morsi, / è troppa la dolcezza, troppa”.
Antonino Cangemi, 20 maggio 2018 in http://siciliainformazioni.com/
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