Riprendo la
parte finale di un articolo per “l'Unità”, nel quale Aldo Tortorella, a
un quinquennio dalla morte di Umberto Terracini, tra i fondatori del Pci
che da presidente dell'Assemblea Costituente firmò la nostra carta
fondamentale, ne traccia un ritratto politico e umano.
LE RAGIONI DI TERRACINI
Aldo Tortorella
[…]
La
fermezza dei suoi convincimenti non assumeva l'aspetto della
separazione dagli altri e meno che mai quello di una qualche rissosa
contesa. Eppure, anche nel dopoguerra, le sue posizioni non solo non
coincidevano ma talora si distinguevano nettamente da quelle della
maggioranza, non unicamente per ciò che riguardava il giudizio
sull'Unione Sovietica, che fu in lui sempre critico, ma, spesso, per la
valutazione sul corso politico in Italia. Non fu un mistero la sua
contrarietà, simile a quella di Longo, rispetto alla linea del
«compromesso storico» o, almeno, rispetto alla concreta applicazione
ch'egli potette conoscerne. Ma né allora, né prima di allora, venne meno
la sua solidarietà politica e, prima ancora, la sua partecipazione
attiva alla fatica dei compagni.
Non
vi era, in questo, un qualche mitico attaccamento al Partito. Anche se
aveva contribuito a fondarlo e a dirigerlo sin dalle prime mosse, ben lo
conosceva come costruzione umanamente concreta, e dunque aperta
all'errore (e alla correzione dell'errore). Vi era, nella sua lealtà e
fedeltà di militante e di dirigente, un altro convincimento; o - meglio -
un'altra dote dell'animo. Egli era convinto che le idee ch'egli
considerava giuste avrebbero finito con l'affermarsi, così come, in
realtà, più volle era avvenuto nel corso della sua esistenza. Non si
trattava, cioè, come pure può talvolta accadere, di quella fermezza che
scade nell'ostinazione e che genera così lo scontro e la rissa. Era
piuttosto il pacato convincimento sulla forza delle verità semplici,
fondate sull'eloquenza delle cose.
Si
diceva di Terracini ch'egli aveva la sottigliezza del giurista: con la
allusione, implicita, in questo riconoscimento, ad una sottigliezza un
po' causidica. In verità a me parve sempre - piuttosto - che prevalesse
in lui l'amore per le idee chiare e distinte. Il che comporta di
sfuggire alle illuminazioni ma anche ai possibili contorcimenti della
dialettica e contribuisce a determinare una disposizione interiore verso
una fermezza delle opinioni che sa evitare il limite della
incomunicabilità e della incomprensione reciproca. Per questo ho detto
di quel che ha significato, per me, quell'assenza, in lui, di ogni
superbia intellettuale, nonostante che tante volte le sue posizioni
avessero dimostrato di anticipare ciò che altri non aveva ancora visto o
riteneva fosse meglio non vedere.
Non
so se a determinare la complessa natura di una formazione umana - com'è
anche un partito - valga di più il grido profetico o la pazienza di una
convinzione profonda. Certo è che a Terracini va dato il posto che gli
spetta. Che non è solo quello di un fondatore, ma di una delle
intelligenze determinanti per la storia del suo partito e del suo paese.
"l'Unità", 6 dicembre 1988
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