BERGOGLIO E GRAMSCI 2
Pubblico di seguito la seconda parte dell'articolo apparso lo scorso primo maggio sul mensile POLIEDRO dell'Arcidiocesi di Palermo. Sono tanti i fatti accaduti negli ultimi giorni a rendere ancora più attuale l'articolo. Innanzitutto il fatto che Papa Francesco è sempre più discusso ed occupa ogni giorno le prme pagine dei giornali - proprio oggi IL MESSAGGERO di Roma rilancia la ricorrente accusa di avere a che fare con un PAPA COMUNISTA! - poi colpisce la notizia che uno dei più grandi registi laici viventi W. Wenders sta lavorando a un film sullo stesso Papa.(fv)
2. BERGOGLIO E GRAMSCI: DUE LETTURE DELL'INDIFFERENZA
Francesco si sofferma in modo più
organico sul tema delle ingiustizie, prodotte dalla globalizzazione
neocapitalistica, nella sua prima esortazione apostolica del novembre 2013. In
uno dei passi della Evangelii gaudium,
che ha suscitato tante discussioni, si prendono di mira alcuni dei luoghi
comuni del pensiero economico dominante contemporaneo:
Alcuni
difendono ancora le teorie della “ricaduta favorevole” secondo la quale ogni
crescita economica, favorita dal libero mercato, riesca a produrre di per sé
una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione che non è stata
mai confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà
di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del
sistema economico imperante. Nel frattempo gli esclusi continuano ad aspettare.
Successivamente, in una intervista al
quotidiano catalano La Vanguardia del
giugno 2014, Francesco si mostra ancor più radicale:
Qualcuno
mi ha detto che 75 milioni di giovani europei con meno di 25 anni sono
disoccupati. È una enormità. Scartiamo un’intera generazione per mantenere un
sistema economico che non regge più, un sistema che per sopravvivere deve fare
la guerra, come hanno sempre fatto i grandi imperi. Ma, visto che non si può
fare la terza guerra mondiale, allora si fanno guerre locali. E questo cosa significa?
Che si fabbricano e si vendono armi, e così facendo i bilanci delle economie
idolatriche, le grandi economie mondiali che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo
del denaro, ovviamente si sanano.
Di fronte a parole simili, che non si
udivano da decenni, non può sorprendere che il settimanale britannico The Economist abbia gridato al lupo,
accusando Francesco d’essere addirittura un leninista:
dichiarando
un collegamento diretto tra capitalismo e guerra, [il Papa] sembra prendere una
linea che – consapevolmente o meno – segue quella proposta da Vladimir Lenin
nella sua analisi di capitalismo e imperialismo, causa dello scoppio della I
guerra mondiale, un secolo fa..
Com’era prevedibile, le parole pronunciate
dal nuovo Pontefice hanno creato disagi crescenti nei settori più conservatori
del mondo cattolico che difendono l’antico connubio tra capitalismo e
cristianesimo e persino la funzione storicamente positiva della speculazione
finanziaria.
Ma i difensori di Francesco hanno avuto
buon gioco a ricordare che la critica al sistema di produzione capitalistico
non è una novità assoluta nella tradizione cattolica. Fin dall’Ottocento Leone
XIII, con la sua Enciclica Rerum Novarum,
ha criticato il capitalismo. Naturalmente il gesuita Bergoglio non poteva non
aggiornare il magistero sociale della Chiesa alla luce della storia più recente
dei disastri provocati dalla finanza virtuale alimentata dalle politiche
neoliberiste.
È certo comunque che l’origine argentina
di Francesco abbia contribuito a far assumere alle sue parole un carattere e uno
stile diverso dal consueto. Bergoglio viene dall’America latina e ne
rappresenta perfettamente lo spirito, la cultura, persino il linguaggio,
compreso un certo populismo. Non è un caso che esponenti storici della teologia
della liberazione, fin dall’inizio del suo Pontificato, l’abbiano accolto con
simpatia e favore. Leonard Boff ha sostenuto fin da subito il Cardinale
Bergoglio divenuto Papa con il significativo nome di Francesco. E non è stato
certamente casuale l’incontro in Vaticano tra Francesco e l’anziano teologo
peruviano Gustavo Gutiérrez che condusse la Chiesa latinoamericana a fare
propria “l’opzione preferenziale per i poveri”. Del resto era lo stesso Osservatore Romano a far presente, nel
settembre del 2013, che «con un Papa latinoamericano la teologia della
liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata
relegata da anni, almeno in Europa».
Accostarsi al mondo e
alla storia laicamente, liberandosi da tutte le lenti ideologiche
Francesco, in questo primo lustro del
suo Pontificato, non si è stancato di ripetere che la Parola di Dio e la Buona
Novella di Gesù Cristo non sono proprietà esclusiva della Chiesa Cattolica.
Anche per questo si è impegnato a fondo nel rilancio del dialogo interreligioso
con le chiese protestanti, con quella ortodossa e con le comunità islamiche.
Di recente Raniero La Valle ha scritto che,
così come si è parlato agli inizi degli anni ‘60 del secolo scorso di “mystère
Roncalli”, alludendo al mistero o carisma del papa che aveva convocato il
Concilio, un “segreto” simile porta con sé Bergoglio che va interrogato e
svelato. Quello di Francesco appare ogni giorno di più un pontificato
profetico.
Ma l’opera di Francesco, pur se agli
occhi di tanti ha assunto l’aspetto dirompente del ciclone, anche per via del
linguaggio nuovo usato, ad una analisi più attenta rivela una profonda
continuità con la Tradizione. Non per nulla Francesco ha citato le parole del
suo predecessore, Benedetto XVI, il quale ha più volte ricordato come essa non
è trasmissione di cose o di parole morte:
La
Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale
sempre le origini sono presenti» (Francesco, La luce del Vangelo, Milano:
Mondadori 2016, p. 196).
E non per nulla, proprio in questi
ultimi giorni, è stata resa pubblica una lettera del dimissionario Ratzinger,
Pontefice emerito, che, pur riconoscendo «le differenze di stile e di
temperamento», difende il successore Francesco dalle accuse e dai pregiudizi infondati,
riconoscendogli una «profonda formazione teologica». («La Repubblica», 13 marzo
2018, p. 16)
Francesco ha respinto nettamente l’opposizione
tra i cosiddetti “pastoralisti” e “accademisti”:
quelli
che stanno dalla parte del popolo e quelli che stanno dalla parte della
dottrina. Si genera una falsa opposizione tra la teologia e la pastorale; tra
la riflessione e la vita; la vita allora non ha spazio per la riflessione e la
riflessione non trova spazio nella vita. I grandi Padri della Chiesa, Ireneo,
Agostino, Basilio, Ambrogio […] furono grandi teologi perché furono grandi
pastori. Uno dei principali contributi del Concilio Vaticano II è stato proprio
quello di cercare di superare il divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e
vita». (Francesco, Videomessaggio per il
Congresso internazionale di teologia presso la Pontificia Università Cattolica
argentina, settembre 2015)
Per concludere, questo sommario profilo di
problematiche che avrebbero bisogno di ben altro spazio per essere
adeguatamente trattate e comprese, vorrei accennare ad un tema che fin dai suoi
primi passi è stato al centro del pontificato di Francesco: l’attenzione
costante verso i poveri e gli ultimi.
Nel luglio del 2015, nel corso di un
incontro con alcuni rappresentanti della società civile del Paraguay,
Francesco, nel ribadire il dovere primario che ha la Chiesa di accogliere il
grido dei poveri, ha precisato:
Non
serve uno sguardo ideologico che finisce per utilizzare i poveri al servizio di
altri interessi politici o personali. Le ideologie finiscono male, non servono.
[…] Le ideologie non si fanno carico del popolo. Per questo, osservate nel
secolo passato, che fine hanno fatto le ideologie? Sono diventate dittature,
sempre. Pensano per il popolo, non lasciano pensare il popolo. (Francesco, La luce del Vangelo, op. cit., p. 176)
La storia del 900 gli dà ampiamente
ragione. Occorre però riconoscere che gli stessi Marx e Gramsci hanno sempre
diffidato di tutte le “ideologie” e si sono sempre ben guardati dal presentare
i loro studi in forma ideologica. Basti ricordare che il giovane Marx, nel
1845, scrisse un ampio saggio contro i principali esponenti della “ideologia
tedesca” del suo tempo (Cfr. K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei
suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, Roma: Editori Riuniti, 1975). E in
quest’opera, come nell’altra scritta due anni dopo e intitolata
significativamente Miseria della
filosofia, Marx ha parole molto
dure contro il sapere ideologico arrivando a definire ogni forma di ideologia
una forma di «falsa coscienza». La sistemazione ideologica del pensiero critico
e aperto di Karl Marx è iniziata negli ultimi anni di vita del pensatore
tedesco che, non a caso, di fronte alle falsificazioni del suo pensiero, ebbe
più volte a ripetere di non essere un “marxista”: «moi, je ne suis pas
marxiste!» Né tanto meno può essere addebitato
al barbuto ebreo tedesco il successivo ingabbiamento del suo pensiero nel
cosiddetto «marxismo-leninismo» di marca sovietica dopo l’iniziale successo
della Rivoluzione del 1917.
Da parte sua, Antonio Gramsci, pur senza
aver avuto il tempo di conoscere direttamente la terribile piega stalinista
presa da quella stessa rivoluzione che da giovane socialista aveva salutato con
tanto entusiasmo, intuì genialmente la deriva a cui era destinata. Così nel
chiuso del carcere fascista, nei suoi Quaderni,
attraverso la sua serrata critica de La
teoria del materialismo storico. Manuale popolare di sociologia (1921) del sovietico Nikolaj I. Bucharin, prende
nettamente le distanze dall’interpretazione economicistica e deterministica del
pensiero di Marx e afferma decisamente la necessità di liberarsi dalla
«prigione delle ideologie» (nel senso deteriore di «cieco fanatismo ideologico»
(Quaderno 10, La
filosofia di B. Croce, 1932-1935, Quaderni del carcere, ed. cit., vol. II, p. 1263).
Mi rendo perfettamente conto che i
problemi affrontati in questo articolo avrebbero bisogno di tante precisazioni
e ulteriori approfondimenti che non posso svolgere in questo spazio. Spero
comunque che la mia riflessione possa servire da stimolo per tutti.
Francesco
Virga, aprile 2018
La prima parte di questo articolo è stato postato in questo stesso blog lo scorso 5 maggio: http://cesim-marineo.blogspot.it/2018/05/bergoglio-e-gramsci-due-letture.html
Angela Petese: nel caso...è uno degli ultimi rimasti..😥
RispondiEliminaFrancesco Virga: Ma che fine hai fatto, Rosso Malpelo? Mi aspettavo il tuo commento...
Giovanni Di Marco: Gesù Cristo era comunista nel senso più nobile del termine
Rosso Malpelo: il Papa dovrebbe emettere un bolla (non con la saliva) con la quale sottoporre a riesame di 'principi evangelici' tutti i battezzati (inclusi i chierici) ed eventualmente scomunicarli, sbattezzarli, sbatterli al muro e schiaffeggiarli anche, se è il caso.
RispondiEliminaQuesto era il commento che mi aspettavo!
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