24 maggio 2018

MA IL PAPA E' DAVVERO COMUNISTA?



BERGOGLIO E GRAMSCI 2
     Pubblico di seguito la seconda parte dell'articolo apparso lo scorso primo maggio sul mensile POLIEDRO dell'Arcidiocesi di Palermo.  Sono tanti i fatti accaduti negli ultimi giorni a rendere  ancora più attuale l'articolo. Innanzitutto il fatto che Papa Francesco è sempre più discusso ed occupa ogni giorno le prme pagine dei giornali - proprio oggi IL MESSAGGERO di Roma rilancia la ricorrente accusa di avere a che fare con un PAPA COMUNISTA! - poi colpisce la notizia che uno dei più grandi registi laici viventi W. Wenders sta lavorando a un film sullo stesso Papa.(fv)

2. BERGOGLIO E GRAMSCI: DUE LETTURE DELL'INDIFFERENZA
 
    Francesco si sofferma in modo più organico sul tema delle ingiustizie, prodotte dalla globalizzazione neocapitalistica, nella sua prima esortazione apostolica del novembre 2013. In uno dei passi della Evangelii gaudium, che ha suscitato tante discussioni, si prendono di mira alcuni dei luoghi comuni del pensiero economico dominante contemporaneo:



Alcuni difendono ancora le teorie della “ricaduta favorevole” secondo la quale ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesca a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione che non è stata mai confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo gli esclusi continuano ad aspettare.  

Successivamente, in una intervista al quotidiano catalano La Vanguardia del giugno 2014, Francesco si mostra ancor più radicale:

Qualcuno mi ha detto che 75 milioni di giovani europei con meno di 25 anni sono disoccupati. È una enormità. Scartiamo un’intera generazione per mantenere un sistema economico che non regge più, un sistema che per sopravvivere deve fare la guerra, come hanno sempre fatto i grandi imperi. Ma, visto che non si può fare la terza guerra mondiale, allora si fanno guerre locali. E questo cosa significa? Che si fabbricano e si vendono armi, e così facendo i bilanci delle economie idolatriche, le grandi economie mondiali che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro, ovviamente si sanano.

Di fronte a parole simili, che non si udivano da decenni, non può sorprendere che il settimanale britannico The Economist abbia gridato al lupo, accusando Francesco d’essere addirittura un leninista:

dichiarando un collegamento diretto tra capitalismo e guerra, [il Papa] sembra prendere una linea che – consapevolmente o meno – segue quella proposta da Vladimir Lenin nella sua analisi di capitalismo e imperialismo, causa dello scoppio della I guerra mondiale, un secolo fa..

Com’era prevedibile, le parole pronunciate dal nuovo Pontefice hanno creato disagi crescenti nei settori più conservatori del mondo cattolico che difendono l’antico connubio tra capitalismo e cristianesimo e persino la funzione storicamente positiva della speculazione finanziaria.
Ma i difensori di Francesco hanno avuto buon gioco a ricordare che la critica al sistema di produzione capitalistico non è una novità assoluta nella tradizione cattolica. Fin dall’Ottocento Leone XIII, con la sua Enciclica Rerum Novarum, ha criticato il capitalismo. Naturalmente il gesuita Bergoglio non poteva non aggiornare il magistero sociale della Chiesa alla luce della storia più recente dei disastri provocati dalla finanza virtuale alimentata dalle politiche neoliberiste.
È certo comunque che l’origine argentina di Francesco abbia contribuito a far assumere alle sue parole un carattere e uno stile diverso dal consueto. Bergoglio viene dall’America latina e ne rappresenta perfettamente lo spirito, la cultura, persino il linguaggio, compreso un certo populismo. Non è un caso che esponenti storici della teologia della liberazione, fin dall’inizio del suo Pontificato, l’abbiano accolto con simpatia e favore. Leonard Boff ha sostenuto fin da subito il Cardinale Bergoglio divenuto Papa con il significativo nome di Francesco. E non è stato certamente casuale l’incontro in Vaticano tra Francesco e l’anziano teologo peruviano Gustavo Gutiérrez che condusse la Chiesa latinoamericana a fare propria “l’opzione preferenziale per i poveri”. Del resto era lo stesso Osservatore Romano a far presente, nel settembre del 2013, che «con un Papa latinoamericano la teologia della liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da anni, almeno in Europa».

Accostarsi al mondo e alla storia laicamente, liberandosi da tutte le lenti ideologiche

Francesco, in questo primo lustro del suo Pontificato, non si è stancato di ripetere che la Parola di Dio e la Buona Novella di Gesù Cristo non sono proprietà esclusiva della Chiesa Cattolica. Anche per questo si è impegnato a fondo nel rilancio del dialogo interreligioso con le chiese protestanti, con quella ortodossa e con le comunità islamiche.
Di recente Raniero La Valle ha scritto che, così come si è parlato agli inizi degli anni ‘60 del secolo scorso di “mystère Roncalli”, alludendo al mistero o carisma del papa che aveva convocato il Concilio, un “segreto” simile porta con sé Bergoglio che va interrogato e svelato. Quello di Francesco appare ogni giorno di più un pontificato profetico.
Ma l’opera di Francesco, pur se agli occhi di tanti ha assunto l’aspetto dirompente del ciclone, anche per via del linguaggio nuovo usato, ad una analisi più attenta rivela una profonda continuità con la Tradizione. Non per nulla Francesco ha citato le parole del suo predecessore, Benedetto XVI, il quale ha più volte ricordato come essa non è trasmissione di cose o di parole morte:

La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti» (Francesco, La luce del Vangelo, Milano: Mondadori 2016, p. 196).

E non per nulla, proprio in questi ultimi giorni, è stata resa pubblica una lettera del dimissionario Ratzinger, Pontefice emerito, che, pur riconoscendo «le differenze di stile e di temperamento», difende il successore Francesco dalle accuse e dai pregiudizi infondati, riconoscendogli una «profonda formazione teologica». («La Repubblica», 13 marzo 2018, p. 16)

Francesco ha respinto nettamente l’opposizione tra i cosiddetti “pastoralisti” e “accademisti”:

quelli che stanno dalla parte del popolo e quelli che stanno dalla parte della dottrina. Si genera una falsa opposizione tra la teologia e la pastorale; tra la riflessione e la vita; la vita allora non ha spazio per la riflessione e la riflessione non trova spazio nella vita. I grandi Padri della Chiesa, Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio […] furono grandi teologi perché furono grandi pastori. Uno dei principali contributi del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare il divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita». (Francesco, Videomessaggio per il Congresso internazionale di teologia presso la Pontificia Università Cattolica argentina, settembre 2015)

Per concludere, questo sommario profilo di problematiche che avrebbero bisogno di ben altro spazio per essere adeguatamente trattate e comprese, vorrei accennare ad un tema che fin dai suoi primi passi è stato al centro del pontificato di Francesco: l’attenzione costante verso i poveri e gli ultimi.
Nel luglio del 2015, nel corso di un incontro con alcuni rappresentanti della società civile del Paraguay, Francesco, nel ribadire il dovere primario che ha la Chiesa di accogliere il grido dei poveri, ha precisato:

Non serve uno sguardo ideologico che finisce per utilizzare i poveri al servizio di altri interessi politici o personali. Le ideologie finiscono male, non servono. […] Le ideologie non si fanno carico del popolo. Per questo, osservate nel secolo passato, che fine hanno fatto le ideologie? Sono diventate dittature, sempre. Pensano per il popolo, non lasciano pensare il popolo. (Francesco, La luce del Vangelo, op. cit., p. 176)

La storia del 900 gli dà ampiamente ragione. Occorre però riconoscere che gli stessi Marx e Gramsci hanno sempre diffidato di tutte le “ideologie” e si sono sempre ben guardati dal presentare i loro studi in forma ideologica. Basti ricordare che il giovane Marx, nel 1845, scrisse un ampio saggio contro i principali esponenti della “ideologia tedesca” del suo tempo (Cfr. K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, Roma: Editori Riuniti, 1975). E in quest’opera, come nell’altra scritta due anni dopo e intitolata significativamente Miseria della filosofia, Marx ha parole molto dure contro il sapere ideologico arrivando a definire ogni forma di ideologia una forma di «falsa coscienza». La sistemazione ideologica del pensiero critico e aperto di Karl Marx è iniziata negli ultimi anni di vita del pensatore tedesco che, non a caso, di fronte alle falsificazioni del suo pensiero, ebbe più volte a ripetere di non essere un “marxista”: «moi, je ne suis pas marxiste!» Né tanto meno può essere addebitato al barbuto ebreo tedesco il successivo ingabbiamento del suo pensiero nel cosiddetto «marxismo-leninismo» di marca sovietica dopo l’iniziale successo della Rivoluzione del 1917.
Da parte sua, Antonio Gramsci, pur senza aver avuto il tempo di conoscere direttamente la terribile piega stalinista presa da quella stessa rivoluzione che da giovane socialista aveva salutato con tanto entusiasmo, intuì genialmente la deriva a cui era destinata. Così nel chiuso del carcere fascista, nei suoi Quaderni, attraverso la sua serrata critica de La teoria del materialismo storico. Manuale popolare di sociologia (1921) del sovietico Nikolaj I. Bucharin, prende nettamente le distanze dall’interpretazione economicistica e deterministica del pensiero di Marx e afferma decisamente la necessità di liberarsi dalla «prigione delle ideologie» (nel senso deteriore di «cieco fanatismo ideologico» (Quaderno 10, La filosofia di B. Croce, 1932-1935, Quaderni del carcere, ed. cit., vol. II, p. 1263).
Mi rendo perfettamente conto che i problemi affrontati in questo articolo avrebbero bisogno di tante precisazioni e ulteriori approfondimenti che non posso svolgere in questo spazio. Spero comunque che la mia riflessione possa servire da stimolo per tutti.

Francesco Virga, aprile 2018
La prima parte di questo articolo è stato postato in questo stesso blog lo scorso 5 maggio: http://cesim-marineo.blogspot.it/2018/05/bergoglio-e-gramsci-due-letture.html

3 commenti:

  1. Angela Petese: nel caso...è uno degli ultimi rimasti..😥


    Francesco Virga: Ma che fine hai fatto, Rosso Malpelo? Mi aspettavo il tuo commento...

    Giovanni Di Marco: Gesù Cristo era comunista nel senso più nobile del termine

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  2. Rosso Malpelo: il Papa dovrebbe emettere un bolla (non con la saliva) con la quale sottoporre a riesame di 'principi evangelici' tutti i battezzati (inclusi i chierici) ed eventualmente scomunicarli, sbattezzarli, sbatterli al muro e schiaffeggiarli anche, se è il caso.

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  3. Questo era il commento che mi aspettavo!

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