Simone Weil in due nuovi libri
di Matteo Moca
La matematica costituì un campo di
riflessione importante per Simone Weil. La filosofa è cresciuta con il fratello
André, di tre anni più grande, che fin da ragazzo dimostrò una stupefacente
familiarità con la matematica, tanto che diventò uno dei grandi di questa
scienza (si veda il vertiginoso Teoria dei numeri o il più personale Ricordi
di un apprendistato), e tale legame fraterno rimase intatto per tutta la
vita perché, seppure ovviamente dissimili per personalità e impressioni sul
mondo, i due restarono uniti sino alla tragica morte della sorella.
La matematica costituì probabilmente
uno dei collanti più importanti della loro relazione poiché entrambi
condividevano un’educazione basata sulla cultura greca classica, e quindi
Platone e i pitagorici, fari per Simone, che insistevano sul legame
indissolubile tra filosofia e matematica. Se in ogni caso non mancano
riferimenti espliciti alla matematica nella sua opera, sono infatti molte le
pagine dei Quaderni dedicati ad essa, la pubblicazione di Adelphi del
carteggio tra Simone e il fratello André sotto il titolo L’arte della
matematica, rappresenta certo un tesoro prezioso per molti motivi.
Innanzitutto, come vedremo, per
illuminare i luoghi di interesse della matematica per la filosofa, sempre
intrecciati con il ragionamento filosofico ma che qui è possibile vedere forse
nella loro costituzione più scheletrica e nuda, ma anche perché rende conto
della profondità di un legame familiare dentro le scorrerie della Storia,
considerato che i testi curati da Robert Chenavier e André Devaux nell’edizione
originale, da Maria Concetta Sala in questa traduzione, appartengono al 1940,
anno in cui la seconda guerra mondiale e la persecuzione degli ebrei era già in
atto.
La situazione storica in cui sono
immerse queste missive infatti non è certo la migliore: André è prigioniero in
carcere, a Le Havre prima e a Rouen poi, perché renitente alla leva (doveva
fare il matematico e non il soldato scrive alla sorella), e la corrispondenza
si apre all’insegna del tentativo di stemperare il clima complicato: «Visto che
di tempo ne hai anche troppo – scrive Simone Weil al fratello all’inizio di
febbraio 1940 – un’altra buona occupazione potrebbe essere metterti a
riflettere sul modo di far intravedere a profani come me in che cosa consistano
esattamente l’interesse e la portata dei tuoi lavori». Anche se inizialmente
André non sembra affatto convinto di imbarcarsi in questo sforzo, «tanto
varrebbe spiegare una sinfonia a dei sordi» scrive, forse anche a causa delle
insistenze della sorella («Cosa ti costerebbe tentare? Ne sarei entusiasta»),
cede e inizia dispiegare la sua teoria dei numeri, attraversando tante
questioni ineludibili della matematica, come il ruolo dell’analogia, la
questione circa la natura del numero, la commensurabilità o la proporzione.
Ma tutte queste riflessioni finiscono
per intrecciarsi, certo per la natura e la predisposizione intellettuale della
destinataria, ma altrettanto certamente per il carattere universale
dell’intellettuale André, con spunti e suggestioni che esulano dal campo
scientifico della matematica, sconfinando continuamente nei campi della più
squisita filosofia, con riferimenti pressoché continui alla Grecia antica.
Figura tra gli argomenti principi di
questo carteggio il legame tra la matematica, la purezza e l’anima. Correndo
certo il rischio di semplificare ed omettere dei passaggi fondamentali, si può
comunque affermare che la matematica completa nel pensiero di Simone Weil
l’interrogativo più profondo e tragico della sua esistenza, ovvero la questione
circa la verità ultima delle cose. In queste lettere pubblicate da Adelphi
emerge con forza il quesito che riguarda la natura più intima della matematica,
con la certezza che l’assillo matematico dell’antica Gercia fosse legato più al
raggiungimento di una purezza assoluta che al mero esercizio geometrico.
Scrive infatti Simone che «“Imitare
Dio” ne era il segreto; lo studio della matematica aiutava a imitare Dio in
quanto consideravano l’universo come sottomesso alle leggi matematiche, il che
faceva del geometra un imitatore del legislatore supremo». Prendendo alla
lettera queste parole, e non c’è forse possibilità di errore su questo se si
considera la radicalità del pensiero della filosofa, emerge con grande forza
come l’interrogazione sulla matematica, portata su un piano metafisico, debba
investire anche il filosofo contemporaneo, perché si tratta di uno sforzo
teorico ed ermeneutico profondo verso una comprensione profonda e veritiera del
mondo.
È uscito negli stessi giorni per la
casa editrice Quodlibet il volume Leggere Simone Weil di Giancarlo Gaeta,
senza ombra di dubbio tra i più profondi ed appassionati conoscitori dell’opera
della filosofa, a cui ha dedicato molti ed importanti studi, oltre ad aver
curato la pubblicazione in lingua italiana di gran parte delle sue opere, non
ultimi i Quaderni. Questo nuovo ed intenso testo, composto da
introduzioni alle opere di Weil e da saggi che qui per fortuna trovano una
preziosa casa comune, sembra assumere la forma di una summa del suo studio
sull’opera della filosofa, in questo frangente attraversata ripetutamente, in
lungo e in largo, in tutte le sue sfaccettature. Berardinelli ha scritto
recentemente che di Simone Weil si conosce il nome e forse qualcosa della vita
ma se ne ignorano le opere: la pubblicazione del libro di Gaeta va in soccorso
di questa mancanza. Si tratta, per utilizzare un termine di Cesare Garboli, di
«scritti servili», e Gaeta è, all’interno della divisione sempre opera di
Garboli tra «scrittori-scrittori» e cioè coloro che lanciano le loro parole
«nello spazio, e queste parole cadono in un luogo sconosciuto» e
«scrittore-lettore» che va a «prendere quelle parole e le riporta a casa, come
Vespero le capre, facendole riappartenere al mondo che conosciamo», alfiere di
questo secondo gruppo per la profonda adesione al pensiero originale di Weil,
assecondando ciò che la stessa scrive quando annota che «il dono della lettura
è soprannaturale, e senza questo dono non c’è giustizia».
Due libri dunque da leggere assieme,
una nuova ed importante opportunità per avvicinarsi al pensiero di una filosofia
tra le più importanti del Novecento, di cui forse ancora disturba l’inquietante
lunghezza dello sguardo; ma è proprio per questo che con ancor più forza oggi
se ne reclama la necessità.
Pezzo ripreso da http://www.minimaetmoralia.it/wp/simone-weil-due-nuovi-libri/
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