Un fotogramma di Torneranno i prati
Tutta la mia gratitudine per Ermanno Olmi
Ho conosciuto tardi Ermanno Olmi, dopo L'albero degli
zoccoli su cui avevo scritto per "Lotta continua" una pagina piena di
riserve. Nel clima dell'epoca, mi era sembrato un grande film, il primo
che raccontasse il mondo contadino (da cui provengo) nella sua alterità e
universalità. Mi ricordavo di quel che mi aveva detto un giorno Silone
parlando del successo internazionale di Fontamara, che i contadini si
somigliano tutti, perché è la terra, è il rapporto con la natura e con
le sue stagioni a farli simili, a essere più forte delle fedi e delle
nazioni. Ma il Novecento, o almeno la seconda metà del secolo, aveva
aggredito il mondo contadino fino a sconvolgerlo e distruggerlo, e
Kapuscinski aveva potuto parlare non esagerando di "genocidio" del mondo
contadino, dicendo che era stato il più vasto e profondo del secolo.
Mentre fior di professori irridevano chi osava parlare (Levi, Salvemini,
su fino a Pasolini) di "civiltà contadina": gli analfabeti, secondo
quelli, non pensano, non elaborano, non affermano idee e modelli
esistenziali e sociali attendibili... Fui grato a Olmi del suo film, di
cui però scrissi che mi era sembrato, pur nel suo evidente omaggio a
Manzoni, in qualche modo "pre-manzoniano": un film di accettazione e non
di rivolta. Il clima del '68 si faceva sentire, e io ne abusai, ma Olmi
non me ne volle e per diversi anni ci siamo visti e sentiti (con la sua
magnifica compagna Loredana), discutendo più di società che di cinema, e
spesso dei suoi film, che ora mi piacevano moltissimo (ha al suo attivo
opere che considero dei capolavori: Il posto, I fidanzati, La
circostanza, Camminacammina, Il mestiere delle armi, Torneranno i
prati...) mentre altri ne criticavo. Era evidente lo sforzo di Olmi di
dire il possibile, anzi il massimo, inventando nuovi modi del racconto,
lo sforzo di chi, partito dalla lezione neorealista, entra nel
post-moderno con la forza di un'ispirazione più poetica che teorica, e
per questo a volte incerta e fragile anche quando apparentemente forte e
sicura. Si parlò molto con lui anche di religione e di politica. Lo
accusavo talvolta di opportunismo e lui difendeva le sue ragioni, che
erano quelle dell'artista che vive in una certa epoca e pratica un'arte
molto diversa da quella dello scrittore, un'arte che esige chi possa
finanziariamente sostenerla. Quando proposi ad amici della Mondadori di
ripubblicare il romanzo che aveva tratto dalla sceneggiatura, non
realizzata per ragioni di salute, di Ragazzo della Bovisa, stampato a
suo tempo da Crovi, volle che ne scrivessi io la prefazione, e io me ne
sentii e me ne sento onorato. È raro, nel mondo della cultura, che si
diventi amici discutendo, litigando, cercando. Mi è successo con Olmi, e
gliene sono enormemente grato.
Goffredo Fofi, in Avvenire
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