Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)
Giuseppe Panella legge
IL PARADOSSO DI ICARO di CARLO BORDONI
Il progetto che Carlo Bordoni persegue da tempo, con
pertinacia, solidità teorica e storica e si direbbe anche con un certo
accanimento terapeutico, è l’analisi della fine o dell’annientamento
della Modernità (in ciò accomunato dalle ricerche e proposte del suo
maestro Bauman). Il paradosso di Icaro ovvero la necessità della disobbedienza è
una ricostruzione circostanziata e attenta dei vari aspetti che
contraddistinguono il tentativo degli uomini di andare al di là dei
propri limiti per riuscire a superare quella hybris che pare
attendere i trasgressori di essi una volta varcate le “colonne d’Ercole”
delle loro possibilità, intraprendendo il “folle volo” (la citazione è
d’obbligo) verso un mondo nuovo, pericoloso e ancora misterioso e
inesplorato, incomprensibile e spesso presentato come termine finale
della corsa dell’umanità. Le cinque figure mitologiche che Bordoni
ricava dal vasto repertorio della cultura greca delle origini della
civiltà occidentale (Hybris, Koros, Theios Aner, Aion e Nemesis)
scandiscono altrettanti passaggi nella storia della Modernità che
rischiano oggi di perdersi nel mare magnum dell’”interregno” che che
l’umanità sta vivendo in attesa di una nuova prospettiva di rilancio
delle proprie prospettive esistenziali, sociali, economiche e politiche.
La figura che mi sembra più interessante delle cinque enucleate da
Bordoni è certamente quella legata al Tempo, Aion, protesa com’è
sull’orlo di una memoria (storica e propositiva) sempre più labile e in
attesa di una trasformazione della soggettività che parrebbe spingere il
pedale del mutamento fino ai suoi limiti estremi:
«La svolta nel
controllo dell’evoluzione, unita all’utilizzo delle nuove tecnologie per
la “manutenzione” del corpo umano, lascia prevedere uno sviluppo di ciò
che viene definito ormai comunemente transumano o postumano. Il primo
termine lascia intuire l’avvento di una nuova era ipertecnologica che ha
tutte le caratteristiche di un transumanesimo, quale esaltazione della
hybris della conoscenza in una sorta di “superuomo”, le cui potenzialità
sono accresciute dall’impianto nel corpo di protesi biomeccaniche. Il
secondo richiama invece una condizione inquietante di superamento
dell’umanità e la sua collocazione in un “oltre” che si teme sconosciuto
e inafferrabile. Entrambe le definizioni, tuttavia, si riferiscono alla
molto probabile, quasi inevitabile, evoluzione del corpo umano nella
direzione di ciò che, qualche decennio fa, era chiamato “cyborg”,
termine che lasciava trapelare mostruose simbiosi tra l’uomo e la
macchina. Più probabilmente si tratterà di andare verso una fusione più
piena tra la biologia e la tecnologia, tesa a “gestire” al meglio le
potenzialità dei singoli organi, evitarne il degrado, permetterne la
sostituzione quando compromessi e rallentare l’invecchiamento» (p. 185).
Si tratta di uno dei momenti più interessanti della
discussione proposta da Carlo Bordoni in un saggio che esplora, a tutto
campo, tutti i problemi fondamentali dell’epoca presente, contrassegnata
dall’agonia troppo lunga della Modernità e dalla incombenza di un
“interregno” (termine caro allo studioso carrarino) le cui modalità e
prolungamenti futuri e possibili non risultano affatto chiari ai
contemporanei che lo vivono. In esso largo spazio ha la discussione del
concetto di “transumano”.
Il transumanesimo punta ad un uso massiccio della
tecnologia quale strumento principe non solo del mantenimento in vita
del corpo degli uomini quanto di un suo potenziamento nelle facoltà e
nelle potenzialità accessibili a chiunque sappia farne l’uso adeguato –
non tanto l’uso migliore (il tema del “miglioramento” progressivo e
graduale non interessa a teorici del campo transumanista come Ray
Kurzweil) quanto quello più adattabile alle situazioni concrete
esaminate. Il costo umano ed etico delle strategie adottate dai
transumanisti conta molto poco rispetto ai risultati da ottenere e
questo ha fatto gridare al cripto-fascismo (o nazismo in fieri)
per le ipotesi proposte da alcuni esponenti del movimento (primo fra
tutti l’italiano Stefano Vaj, autore di un assai discusso Biopolitica. Il nuovo paradigma con il quale io stesso più volte mi sono scontrato teoricamente).
Il transumanesimo non è, comunque, legato al tema del
progresso come tradizionalmente e filosoficamente inteso ma implica un
salto di qualità della specie, un passaggio alla dimensione del
postumano che implicherebbe una modificazione radicale non solo del modo
di pensare degli uomini ma anche della loro struttura antropologica.
Anche Nemesis, tuttavia, con la sua dimensione
di possibile attesa dei tempi futuri che, tuttavia, sembrano essere
attesi da pochi e negati come possibile salvezza, presenta caratteri
inquietanti: il dominio sulla Natura, infatti, compito storico dell’uomo
fin dai tempi dell’utopia scientifico-tecnologica di Francesco Bacone
rischia di travolgere l’umanità stessa nella propria voluttà di
modificazione ab imis fundamentis dei capisaldi del rapporto tra
essa e il suo tradizionale punto di riferimento tradizionale. La Natura,
coartata e violentata dall’uomo perché ostile e riottosa a seguirlo nei
suoi programmi, finisce per prendersi delle rivincite che possono
risultare micidiali e definitive. Anche nel caso dell’avidità eccessiva,
il Koros, dove il principio di responsabilità viene sormontato
ormai in maniera decisiva da quello del massimo profitto di pochi a
scapito del benessere e della sopravvivenza dei molti, l’umanità sembra
aver dimenticato quei principi di armonia e di contemperamento delle
esigenze di tutti sulle cui basi era sorta la grande stagione
illuministica della Modernità. E’ l’eclissi dell’etica come regola dei
rapporti tra gli uomini che non fornisce più ai soggetti quelle
prospettive di vita che, invece, sembrava avergli assicurate all’epoca
delle grandi rivoluzioni democratico-borghesi. Se la logica della lotta
di classe che aveva predominato nell’Ottocento come fissazione della
regola del gioco nello scontro presunto finale tra borghesia e
proletariato sembra oggi aver perso la sua capacità attrattiva nei
confronti dei suoi protagonisti, al suo posto si è collocato un deserto
di prospettiva del cambiamento possibile e un’ apparentemente informe
poltiglia frutto della polverizzazione sociale che non lascia
intravvedere le sue insondabili modificazioni e i suoi incomprensibili
mutamenti. L’”uomo divino”, il Theois aner, infine, come
personaggio-chiave dell’avventura della conoscenza sembra aver
confermato la vittoria di Prometeo rispetto al suo fratello sciocco
Epimeteo ma a costo dell’apertura di un vaso di Pandora più micidiale di
quello del mito.
Icaro, allora, simbolo della volontà umana di
giungere ai confini delle sue potenzialità, risulta alla fine confinato
nella sua impossibilità di raggiungere gli obiettivi che si pone. Eppure
è proprio nella necessità di perseguire nella sua ricerca che il figlio
dell’architetto Dedalo conferma la natura paradossale della
soggettività dell’uomo: vittima della sua hybris, la corsa da lui
iniziata verso l’annientamento della sua condotta tradizionale sembra
irrefrenabile e destinata a condurlo alla fine. Ma è forse proprio nella
sua apparente ineluttabilità che si insinua una timida speranza di
salvezza: quella stessa speranza che, come dice Benjamin nelle sue Tesi sulla filosofia della storia, è ormai concessa soltanto a chi non ne ha più, eppure continua a rifiutarsi di arrendersi alle impossibilità del mondo.
Recensione di Giuseppe Panella del libro di
Carlo Bordoni, Il paradosso di Icaro ovvero la necessità della disobbedienza, Milano, Il Saggiatore, 2018
_____________________________
Nessun commento:
Posta un commento