15 maggio 2018

LA STORIA D'AMORE TRA E. MORANTE E A. MORAVIA


Tra Moravia e Morante un amore appassionato, rissoso, mai davvero finito Antonio Debenedetti

Non aspettatevi pettegolezzi. Il messaggio forte e chiaro del libro di Anna Folli, di questa storia d’amore di due famosi scrittori, è questo: Elsa Morante e Alberto Moravia si tradirono intuendo, in qualche modo, che solo cosi avrebbero potuto salvare il loro profondo e imprescindibile anche se tempestoso legame. Paradossale? Macché, conoscendo i loro caratteri ribelli e le loro vite, più che realistico. Fatto sta che, al termine di ognuno dei 29 brevi capitoli che scandiscono il racconto dettagliato e documentatissimo del loro amore perennemente in procinto di autodistruggersi per capriccio o per narcisismo, il lettore si chiede con sempre rinnovato interesse: e adesso? Che cosa succederà adesso? In che modo andrà avanti un rapporto nevrastenico, creativo, appassionato che usava la gelosia, il tradimento, l’esasperazione quali antidoti alla noia, alla routine, all’indifferenza?

* * *
Si poteva immaginarli come coppia, era più difficile figurarseli quali marito e moglie. Il dio di Alberto nell’adolescenza era stato, più ancora di quanto lui stesso fosse disposto a ammettere, Dostoevskij, il dio di Elsa Morante era stato e continuava a essere Rimbaud. Provate a far convivere, sotto uno stesso tetto, due devoti a divinità così esclusive e intransigenti. Dalla finestra della loro cucina vedrete volare i piatti, come sembra sia successo realmente, insieme però alle bozze e ai manoscritti di romanzi destinati a cambiare la letteratura del nostro Novecento. Che straordinario casino, lasciatemelo dire!
Il destino d’altronde non ha tardato a manifestarsi in questi due fuoriclasse così diversi eppure in qualche modo complementari. Alberto era ebreo di padre e aveva avuto l’adolescenza torturata dalla tubercolosi ossea, Elsa era ebrea di madre e poverissima in un buio contesto famigliare forse un po’ dickensiano. Tanto lui che lei avevano trasformato i loro difficilissimi debutti nell’esistenza, i loro inizi drammatici in un oscuro, misterioso privilegio. Qualcosa che dava loro la forza di sentirsi diversi, facendo però d’una provocatoria e creativa diversità l’arma vincente d’un indubbio quanto contrastatissimo, insidiato successo. Va detto, a questo riguardo, che l’arma micidiale dei pettegolezzi talora calunniosi non avrebbe dato tregua a Elsa e Alberto nel corso degli anni, dei decenni.
Tutto comincia con impazienza, bruciando i tempi, una sera di novembre del lontano 1936. Moravia e la Morante si incontrano alla birreria Dreher nel cuore della vecchia Roma, all’ombra di palazzo Colonna e di fronte o quasi a palazzo Odescalchi. Lui e lei siedono un po’ per caso e un po’ no alla tavola di Giuseppe Capogrossi, un pittore trentaseienne già famoso, di ottima famiglia e parente del futuro cardinale Tacchi Venturi detto «il gesuita di Mussolini» perché tenuto in gran conto dal dittatore. Lei ha 25 anni, grandi occhi «dall’iride screziata, pieni di luce» come li avrebbe più tardi descritti Raffaele La Capria. Non ha gioielli ma palpita, sorride, dentro di sé trema e intanto osserva Alberto facendogli dono di tutto lo straordinario charme di cui può essere capace una donna estremamente femminile quale lei è. Il ventinovenne Moravia già celebre, vestito d’un «elegante abito color tabacco illuminato dalla cravatta color carminio», si lascia travolgere un po’ con l’aria di chi e sicuro di sé senza fortunatamente esserlo.
Fatto sta che tutto quella sera avviene in tempi stretti, incalzati da un procedere dell’azione degno d’un feuilleton. Guarda caso Elsa abita a pochi passi da piazza Santi Apostoli, in due stanze all’ultimo piano d’un edificio in corso Umberto. Lui e lei si guardano, s’intendono. Così quella stessa sera, lasciata la birreria, l’autore degli Indifferenti e la futura autrice di un’opera epocale quale L'isola di Arturo bruciano i tempi e approfittano di quell'alloggio, di quel letto così opportunamente vicini. Fanno “cattleya” a dirla elegantemente con Proust, cioè scopano.
Quello che succe3derà dopo, durante i lunghi anni di una convivenza consacrata da uno sposalizio celebrato inaspettatamente in modo molto formale e borghese, è adesso divenuto la materia di un “reportage” insieme spregiudicato e rispettosissimo che ha quale soggetto una vita coniugale molto chiacchierata proprio perché diversa. L’autrice Anna Folli, lavorando 4 anni, ha messo però le cose a posto e ridato voce alla verità consultando documenti, leggendo epistolari, raccogliendo testimonianze di scrittori, poeti, cineasti, pittori, critici di diverse generazioni non senza fare posto per contrappeso anche a qualche malalingua. Così nelle sue 314 pagine, intitolate MoranteMoravia tutta una parola (Neri Pozza), rivive un ménage tutto nervi e però creativo, molto libero e anticonformista ma sempre sostenuto dall’estremo e testimoniato rispetto che Alberto aveva per l’opera di Elsa e viceversa.
Goffredo Fofi, opportunamente citato dalla Folli, ricorda quando, avendo osato esprimere qualche critica su Moravia, Elsa gli bruciò le parole in bocca dicendogli: «Hai scritto tu gli Indifferenti?». Alfonso Berardinelli riferisce che un giorno, mentre passeggiavano, Elsa se ne uscì a dire d’improvviso: «Alberto? È un innocente». Questa parola sempre molto impegnativa in bocca alla Morante acquista il valore d’una sentenza cui inchinarsi e obbedire.

* * *
Il racconto della Folli, estremamente leggibile perché le notizie si susseguono disposte con agile montaggio affabulatorio, fa spazio a tre momenti della vicenda di Moravia e della Morante che corrispondono a tre momenti della storia italiana: il fascismo e gli anni Trenta, la Liberazione e infine la stagione culminata nel sessantotto e seguenti. A far scorrere il calendario, un po’ come avviene nei romanzi storici, la Folli evoca personaggi via via essenziali nella vicenda umana di Moravia e della Morante. Parlando di Alberto viene il momento del suo incontro ampiamente documentato con la giovanissima Dacia Maraini e poi si fa avanti Carmen LIera. Uno spazio giustamente da protagonista vien fatto a Pasolini, alla sua incisiva presenza nelle esistenze sia di Alberto che di Elsa. La Folli si sofferma, senza scivolare nel pettegolezzo mondano ma attenendosi ai fatti, al peso che ebbe Luchino Visconti nel vissuto della Morante e si sofferma adeguatamente sulla tragica figura del giovane modello e pittore Bill Morrow «morto suicida sotto l'effetto dell’Lsd».
Con particolare efficacia descrittiva, scendendo dove necessario in dettagli la Folli si sofferma sulla vecchiaia di Alberto insofferente delle proprie latenti menomazioni e sulla lenta, terribile agonia di Ela.

* * *
Due interviste, che hanno valore di testimonianze, concludono il libro. La Maraini rievoca un «suo» Moravia circondandolo degli amici più fidati. Daniele Morante, nipote di Elsa e curatore recentemente del suo epistolario alle molte notizie utili aggiunge una dichiarazione che vale da riepilogo del volume della Folli: «Ritengo che Moravia — afferma — sia stato “l’uomo della vita di Elsa, non solo, ma che lei sia stata la donna della vita” di lui».
Articolo ripreso da:  La Lettura Corriere della sera, domenica 29 aprile 2018

Nessun commento:

Posta un commento