Tra Moravia e Morante un amore appassionato, rissoso, mai davvero finito Antonio Debenedetti
Non aspettatevi
pettegolezzi. Il messaggio forte e chiaro del libro di Anna Folli, di
questa storia d’amore di due famosi scrittori, è questo: Elsa
Morante e Alberto Moravia si tradirono intuendo, in qualche modo, che
solo cosi avrebbero potuto salvare il loro profondo e imprescindibile
anche se tempestoso legame. Paradossale? Macché, conoscendo i loro
caratteri ribelli e le loro vite, più che realistico. Fatto sta che,
al termine di ognuno dei 29 brevi capitoli che scandiscono il
racconto dettagliato e documentatissimo del loro amore perennemente
in procinto di autodistruggersi per capriccio o per narcisismo, il
lettore si chiede con sempre rinnovato interesse: e adesso? Che cosa
succederà adesso? In che modo andrà avanti un rapporto
nevrastenico, creativo, appassionato che usava la gelosia, il
tradimento, l’esasperazione quali antidoti alla noia, alla routine,
all’indifferenza?
* * *
Si poteva immaginarli
come coppia, era più difficile figurarseli quali marito e moglie. Il
dio di Alberto nell’adolescenza era stato, più ancora di quanto
lui stesso fosse disposto a ammettere, Dostoevskij, il dio di Elsa
Morante era stato e continuava a essere Rimbaud. Provate a far
convivere, sotto uno stesso tetto, due devoti a divinità così
esclusive e intransigenti. Dalla finestra della loro cucina vedrete
volare i piatti, come sembra sia successo realmente, insieme però
alle bozze e ai manoscritti di romanzi destinati a cambiare la
letteratura del nostro Novecento. Che straordinario casino,
lasciatemelo dire!
Il destino d’altronde
non ha tardato a manifestarsi in questi due fuoriclasse così diversi
eppure in qualche modo complementari. Alberto era ebreo di padre e
aveva avuto l’adolescenza torturata dalla tubercolosi ossea, Elsa
era ebrea di madre e poverissima in un buio contesto famigliare forse
un po’ dickensiano. Tanto lui che lei avevano trasformato i loro
difficilissimi debutti nell’esistenza, i loro inizi drammatici in
un oscuro, misterioso privilegio. Qualcosa che dava loro la forza di
sentirsi diversi, facendo però d’una provocatoria e creativa
diversità l’arma vincente d’un indubbio quanto contrastatissimo,
insidiato successo. Va detto, a questo riguardo, che l’arma
micidiale dei pettegolezzi talora calunniosi non avrebbe dato tregua
a Elsa e Alberto nel corso degli anni, dei decenni.
Tutto comincia con
impazienza, bruciando i tempi, una sera di novembre del lontano 1936.
Moravia e la Morante si incontrano alla birreria Dreher nel cuore
della vecchia Roma, all’ombra di palazzo Colonna e di fronte o
quasi a palazzo Odescalchi. Lui e lei siedono un po’ per caso e un
po’ no alla tavola di Giuseppe Capogrossi, un pittore trentaseienne
già famoso, di ottima famiglia e parente del futuro cardinale Tacchi
Venturi detto «il gesuita di Mussolini» perché tenuto in gran
conto dal dittatore. Lei ha 25 anni, grandi occhi «dall’iride
screziata, pieni di luce» come li avrebbe più tardi descritti
Raffaele La Capria. Non ha gioielli ma palpita, sorride, dentro di sé
trema e intanto osserva Alberto facendogli dono di tutto lo
straordinario charme di cui può essere capace una donna estremamente
femminile quale lei è. Il ventinovenne Moravia già celebre, vestito
d’un «elegante abito color tabacco illuminato dalla cravatta color
carminio», si lascia travolgere un po’ con l’aria di chi e
sicuro di sé senza fortunatamente esserlo.
Fatto sta che tutto
quella sera avviene in tempi stretti, incalzati da un procedere
dell’azione degno d’un feuilleton. Guarda caso Elsa abita a pochi
passi da piazza Santi Apostoli, in due stanze all’ultimo piano d’un
edificio in corso Umberto. Lui e lei si guardano, s’intendono. Così
quella stessa sera, lasciata la birreria, l’autore degli
Indifferenti e la futura autrice di un’opera epocale quale
L'isola di Arturo bruciano i
tempi e approfittano di quell'alloggio, di quel letto così
opportunamente vicini. Fanno “cattleya” a dirla elegantemente con
Proust, cioè scopano.
Quello
che succe3derà dopo, durante i lunghi anni di una convivenza
consacrata da uno sposalizio celebrato inaspettatamente in modo molto
formale e borghese, è adesso divenuto la materia di un “reportage”
insieme spregiudicato e rispettosissimo che ha quale soggetto
una vita coniugale molto chiacchierata proprio perché diversa.
L’autrice Anna Folli, lavorando 4 anni, ha messo però le cose a
posto e ridato voce alla verità consultando documenti, leggendo
epistolari, raccogliendo testimonianze di scrittori, poeti, cineasti,
pittori, critici di diverse generazioni non senza fare posto per
contrappeso anche a qualche malalingua. Così nelle sue 314 pagine,
intitolate MoranteMoravia tutta una parola (Neri Pozza),
rivive un ménage tutto nervi e però creativo, molto libero e
anticonformista ma sempre sostenuto dall’estremo e testimoniato
rispetto che Alberto aveva per l’opera di Elsa e viceversa.
Goffredo Fofi,
opportunamente citato dalla Folli, ricorda quando, avendo osato
esprimere qualche critica su Moravia, Elsa gli bruciò le parole in
bocca dicendogli: «Hai scritto tu gli Indifferenti?».
Alfonso Berardinelli riferisce che un giorno, mentre passeggiavano,
Elsa se ne uscì a dire d’improvviso: «Alberto? È un innocente».
Questa parola sempre molto impegnativa in bocca alla Morante acquista
il valore d’una sentenza cui inchinarsi e obbedire.
* * *
Il racconto della Folli,
estremamente leggibile perché le notizie si susseguono disposte con
agile montaggio affabulatorio, fa spazio a tre momenti della vicenda
di Moravia e della Morante che corrispondono a tre momenti della
storia italiana: il fascismo e gli anni Trenta, la Liberazione e
infine la stagione culminata nel sessantotto e seguenti. A far
scorrere il calendario, un po’ come avviene nei romanzi storici, la
Folli evoca personaggi via via essenziali nella vicenda umana di
Moravia e della Morante. Parlando di Alberto viene il momento del suo
incontro ampiamente documentato con la giovanissima Dacia Maraini e
poi si fa avanti Carmen LIera. Uno spazio giustamente da protagonista
vien fatto a Pasolini, alla sua incisiva presenza nelle esistenze sia
di Alberto che di Elsa. La Folli si sofferma, senza scivolare nel
pettegolezzo mondano ma attenendosi ai fatti, al peso che ebbe
Luchino Visconti nel vissuto della Morante e si sofferma
adeguatamente sulla tragica figura del giovane modello e pittore Bill
Morrow «morto suicida sotto l'effetto dell’Lsd».
Con particolare efficacia
descrittiva, scendendo dove necessario in dettagli la Folli si
sofferma sulla vecchiaia di Alberto insofferente delle proprie
latenti menomazioni e sulla lenta, terribile agonia di Ela.
* * *
Due interviste, che hanno
valore di testimonianze, concludono il libro. La Maraini rievoca un
«suo» Moravia circondandolo degli amici più fidati. Daniele
Morante, nipote di Elsa e curatore recentemente del suo epistolario
alle molte notizie utili aggiunge una dichiarazione che vale da
riepilogo del volume della Folli: «Ritengo che Moravia — afferma —
sia stato “l’uomo della vita di Elsa, non solo, ma che lei sia
stata la donna della vita” di lui».
Articolo ripreso da: La Lettura Corriere della
sera, domenica 29 aprile 2018
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