Sull'ultimo numero del mensile POLIEDRO i primi cinque anni di pontificato di Bergoglio vengono commentati da due articoli. Il primo l'abbiamo già pubblicato in questo blog - http://cesim-marineo.blogspot.it/2018/05/bergoglio-e-gramsci-due-letture.html - il secondo lo pubblichiamo oggi:
Papa Francesco. Il Vangelo della Misericordia
di Rosario Giuè
Papa Francesco arriva da un continente giovane come l’America Latina, un continente che ha provato a dare carne al Concilio in modo creativo. Un continente che, rileggendo il Concilio nelle assemblee episcopali di Medellin, Puebla e Aparecida, ha assunto come “verità” centrale della fede il Vangelo della liberazione. Ha abbracciato, cioè, il Vangelo di Gesù di Nazaret liberato dalla logica coloniale e clericale. Un Vangelo da riscoprire a partire dai poveri e dalle escluse, a partire dal basso così da creare le condizioni partecipative per una nuova ecclesiogenesi.
In effetti Papa Francesco si è rivelato una lieta sorpresa perché ha rimesso al centro del servizio di testimonianza ecclesiale del Risorto, non le condanne, ma semplicemente «la gioia del Vangelo». E quale è il cuore della gioia del Vangelo? Per Francesco è la misericordia di Dio. Nella lettera apostolica Misericordia et Misera scrive che la Misericordia è «la verità profonda del Vangelo». È la via per la riforma dell’essere umani, dell’essere cristiani e dell’essere Chiesa in una società che cambia.
Misericordia non è qualcosa di intimistico per pie vecchiette. Essa può essere, anzi, una leva “politica” che converte le relazioni umane, che scardina le logiche del potere sociale o religioso che escludono, che toglie la pietra del sepolcro di un'economia che si regge sulla sofferenza dei più indifesi. La centralità della Misericordia, perciò, non prevede la neutralità della teologia e della spiritualità della Chiesa, se non si vuole essere complici nell’occultare i conflitti della Terra di cui sono vittime i poveri e le escluse. E, affinché, la misericordia di Dio si renda visibile, la Chiesa stessa è chiamata ad essere segno anche attraverso le necessarie riforme delle sue forme istituzionali e, perché no, del suo Codice di diritto canonico. La Chiesa, cioè, è chiamata oggi ad una scelta missionaria, dice Francesco, «capace di trasformare ogni cosa», cosicché «le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» ( Evangelium gaudium, 24 novembre 2013, n.27).
Le persone semplici, il “lebbroso” di oggi, ogni “pubblicano”, le donne emarginate, si sentono abbracciate dal Vangelo di Gesù se liberato da quella coltre che lo ha reso inaccessibile alla coscienza umana del nostro tempo. Le persone semplici ne colgono la risposta alle autentiche aspirazioni umane! Le persone semplici, compresi i ragazzi e le ragazze, sono disposte a dare un’apertura di credito anche alla comunità ecclesiale se essa s’incammina gioiosamente sulla strada delle riforme! Ma la gioia del Vangelo suscitata da Gesù, ieri come oggi, «è per alcuni motivo di fastidio e di irritazione» (Papa Francesco, Omelia per la domenica delle Palme, 25 marzo 2018). E, in effetti, l’azione ministeriale di papa Francesco trova resistenza in una parte del mondo ecclesiastico. Il fatto che un semplice cristiano, un «peccatore», sia salito sul soglio di Pietro sta disorientando alcuni cardinali, prelati, preti e laici. C’è chi manifesta la propria contrarietà apertamente, altri in modo meno apparente. Formati all’idea di una Chiesa immutabile, in trincea per difendersi dal mondo moderno, preoccupati per la “vera dottrina”, alcuni si sentono spiazzati quando sentono parlare di «camminare insieme» (sinodalità), quando sentono parlare di Chiesa in «uscita missionaria», di attenzione ai «segni dei tempi». Si sentono «confusi» quando sentono parlare di discernimento pastorale nelle diverse situazioni familiari (Amoris laetitia, 19 marzo 2016), tanto da parlare di «grave pericolo», addirittura, «per la fede e l’unità della Chiesa». Così sta accadendo che coloro che in passato erano i “paladini” del papa ora vogliono correggere il Papa, fino ad avanzare contro di lui l’ardita accusa di eresia. Cose mai viste in tempi recenti! E magari sperano che l’apertura delle finestre rappresentata da Francesco finisca presto guardando già al prossimo conclave. Così la gioia liberante del Vangelo ieri a Gerusalemme, come oggi a Roma, a New York o a Palermo, «risulta scomoda e diventa assurda e scandalosa per quelli che si considerano giusti e “fedeli” alla legge e ai precetti rituali» (Francesco, Omelia per la Domenica delle Palme, 25 marzo 2018). Viene da domandare: ma ci si vuole rendere conto che siamo dentro un mutamento epocale della società?
Sia chiaro: la resistenza alla riforma della «Chiesa in uscita missionaria» che desidera papa Francesco non deriva solo da una questione “dottrinale”. La resistenza dipende anche e, forse, soprattutto dalla difesa di equilibri sociali, economici e strategici. Non per nulla i siti on-line che più attaccano il Papa sono finanziati da certi settori del mondo della finanza e dell’editoria. Così un intreccio sistemico di conservatorismo culturale, clericale e politico-finaziario accusa il Papa di cadere in “politica”. L’idea che Francesco voglia dare voce alla fraternità evangelica nella carne del mondo, senza farla rimanere solo finzione astratta, appare sovversiva. Faremmo un errore a guardare a quanto accade nella Chiesa, dunque, come una cosa interna ad essa soltanto. Il mondo ci guarda, ci giudica. Anche i “non credenti” colgono nella strada riformatrice di Francesco un cartina di tornasole per vedere se anche altre situazioni complesse nel mondo possano cambiare. E’ bene ricordare che il Concilio Vaticano II non suscitò speranze solo nella Chiesa ma in tutto il mondo. Quel Concilio, poco dopo la sua conclusione, però fu progressivamente gestito e interpretato a Roma con il “freno a mano”, facendolo rimanere quasi dentro una cornice di “cristianità”. Ora coloro che oggi criticano papa Francesco sono gli eredi di quel filone di cristianesimo che non ha amato più di tanto lo Spirito del Concilio (ritenuto un “cavallo di Troia per “vendersi” alla modernità).
Dobbiamo dirlo: c’è un “ordine” collaudato che risulta difficile da scalfire. Il fatto è evidente anche ad osservatori esterni al mondo cattolico. Per Marco Marzano, per esempio, nella Chiesa cattolica sta accadendo ciò che è già accaduto in altri grandi istituzioni: una potente burocrazia rende impossibile profonde riforme (“La Chiesa immobile”, Laterza). La burocrazia, che non è solo in Vaticano ma anche sul territorio delle diocesi, davvero bloccherà il cambiamento? Difficile dare una risposta. Papa Francesco stesso ha ben chiare le difficoltà del momento se, parlando alla Curia romana per gli auguri di Natale ha affermato, quasi con una battuta, che «fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti». Egli, però, è determinato nel portare avanti l’attuale «riforma in corso» pur con la necessaria «pazienza, dedizione e delicatezza che occorrono per raggiungere tale obiettivo» (Francesco, Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2017).
Il potere ha bisogno di acque ristagnanti. Non vuole novità, nemmeno la novità del Vangelo della gioia di Gesù. Chi è convinto che la spinta profetica di papa Francesco sia la via oggi praticabile per la credibilità ecclesiale nell’annuncio del Vangelo ha la responsabilità di sostenerlo generosamente e pubblicamente. Perché se noi staremo a guardare, “grideranno le pietre” (Luca 19,39-40): griderà la vita delle persone, griderà la vita dei giovani e delle giovani. Prima che parlino le pietre!"
Articolo di Rosario Giuè, pubblicato su "Poliedro", mensile dell'Arcidiocesi di Palermo, maggio 2018.
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