Il Tresor e la città ideale. L'Enciclopedia di Brunetto Latini, maestro di Dante
Guido Davico Bonino
Quando
ero in prima liceo, il mio professore, d’italiano, un bravo e dolce
sacerdote salesiano, zio del semiologo-romanziere Perissinotto,
arrossiva tutto, costretto com’era a commentare l’imbarazzante
incontro tra Dante e il suo vecchio maestro Brunetto Latini, dannato
fra i violenti contro natura, nel canto XV dell’Inferno:
«Siete voi qui, Brunetto?». Il pio prete pensava (come tutti noi,
dandoci di gomito) che fosse lì per una «colpa grave e infamante»,
secondo quanto «ritenevano Dante e la cultura dell’epoca»,
l’omosessualità: né quel buon docente né tantomeno noi
conoscevamo l’argomentato saggio di un illustre dantista in
Sorbona, André Pesard, Dante sous la pluie de feu,
secondo cui la colpa di Brunetto sarebbe stata quella «di aver
scritto in una lingua non sua».
Leggo
questa precisazione nella dotta, ma limpidissima introduzione che
Pietro G. Beltrami ha premesso alla prima edizione integrale in età
moderna - traduzione con testo francese a fronte, commento e indici
vari – del Tresor
(Trésor nel francese d’oggi) di Brunetto Latini, che lui stesso,
Paolo Squillatoti, Plinio Torri e Sergio Vatteroni hanno
esemplarmente curato per i Millenni Einaudi, dedicando la ponderosa
fatica alla loro maestra nel «mestiere», Valeria Bertolucci
Pizzorusso.
Chi
era Brunetto? Un alto amministratore pubblico: fiorentino ( nato
intorno al 1220), notaio, guelfo, in esilio in Francia per sei anni
dopo la malaugurata vittoria dei ghibellini a Montaperti; poi di
nuovo in «carriera», dopo la vittoria di Carlo d’Angiò a
Benevento (siamo al febbraio 1266), sino ad assurgere alla carica di
priore (1287). Morì sei anni dopo, e Giovanni Villani nel libro IX
della Nuova cronica lo
connota come «gran filosofo, e pure sommo maestro in rettorica...».
Su
questo termine torneremo subito, ma intanto diciamo cos’è il
Tresor (che vorrebbe
dire, alla lettera, «uno scrigno pieno d’oro e di gioielli»). È
un’enciclopedia, redatta in forma agile (sono pur sempre 426 pagine
di bel formato) e in francese, perché - come ci ha spiegato una
quindicina d’anni fa Luca Serianni (nella sua, e di Piero Trifone,
Storia della lingua italiana)
- «le due lingue che in Italia possono adoperarsi e di fatto si
adoperano in tutta la gamma degli usi letterari sono il latino e il
francese»: e per i fruitori della sua compilazione, i colleghi
notai, i giudici, gli amministratori, i mercanti del XIII secolo - il
francese era molto più «affidabile» (il toscano, prima di Dante,
non era, in prosa, né così variegato né così funzionale).
Cosa
contiene, quali discipline riepiloga l’ambiziosa compilazione?
Voglio dirlo subito per quanti, come me (e, si parva licet,
un certo Stendhal), sono lettori fanatici (e raccoglitori) di
qualsivoglia inventario, regesto, catalogo, manuale, guida,
vademecum, enciclopedia, sommario, bigino ecc. ecc. Vi si discorre di
storia, geografia, agricoltura, architettura: e potrete dunque
trovarvi preziose notizie sul regno delle donne («...ebbe inizio
quando il re di Scozia e tutti gli uomini della sua terra mossero
contro gli egiziani, e furono tutti uccisi...»); che sarebbero le
Amazzoni («cioè “senza una mammella”»); sull’aria, la
pioggia, il vento e sulle «cose che sono nell’aria»; su come si
deve scegliere la terra coltivabile e come si deve «formare» (in
francese, garuir) la
propria casa. E, naturalmente, farete razzia nel bestiario degli
animali, traendone gustose precisazioni sull’anfisbena («...
serpente che ha due teste, una al suo posto e l’altra sulla
coda...»), sullo scitale (ancora un serpente, «così ben maculato
di differenti colori chiari e lucenti»), sul caradrio («un uccello
tutto bianco e il suo polmone guarisce dalle oscurità degli
occhi...»): e qui mi arresto, ad evitare di togliere al lettore il
gusto della sorpresa.
Ma
non è per queste sezioni che il Tresor
è un’opera ammirevole, e culturalmente di primaria importanza. I
suoi «beni spirituali» veramente preziosi sono la filosofia
teorica, «denaro contante»; la filosofia pratica e la logica,
«pietre preziose»; la retorica e la politica «oro fino». Ecco
ritornare la parola, che abbiamo citato e reperito su Villani. Pietro
G. Beltrami avverte il lettore che sin dall’esilio francese, e
quindi nel 1260-61, Brunetto attende ad un volgarizzamento e ad un
commento del De inventione,
un manuale di retorica, opera giovanile di Cicerone, che circolava
nella scuola medievale...: lavoro «che non andò oltre i primi 17
capitoli...». E postilla: «Rettorica con doppia t, si noti, non è
una semplice variante formale di retorica, ma il segno di una
sovrapposizione mentale e culturale, che si impone nel Duecento
italiano, fra la figura di rètore,
di colui che sa pronunciare discorsi persuasivi, e quella del
rettòre, di colui che
“regge”, governa il comune...».
Beltrami
nel suo serrato e convincente argomentare, giunge rapidamente alla
conclusione, secondo cui «il principale interesse di Brunetto»,
epperciò l’asse portante del Tresor
(cui egli «si dedicò per il resto del suo soggiorno forzato in
Francia, completandolo prima del suo rientro»), è proprio nel libro
III della compilazione, quello riservato alla retorica come «governo
della città». Sono poco più di centodieci pagine (in francese, e
altrettante in versione), che vorremmo suggerire caldamente alle
migliaia e migliaia di pubblici amministratori, grandi e piccoli, che
«infestano» la nostra povera Italia, prima che qualcuno provveda
ragionevolmente a ridurli di numero e, soprattutto, di prebende.
Sarebbe bello - lo so che è nuda utopia, giacché costoro non
leggono che effemeridi e gazzette - che dedicassero qualche minuto
del loro tempo prezioso alle pagine su Il giudizio di
Catone («Lussuria, avarizia,
povertà pubblica e private ricchezze: esaltiamo le ricchezze,
aspiriamo all’ozio, non facciamo alcuna differenza tra buoni e
malvagi; tutto è volto alla cupidigia, questa è la ricompensa della
virtù...»); o meditino su Quale uomo deve essere eletto
signore: Brunetto elenca dodici
qualità, morali e materiali, per chi deve godere del privilegio
d’essere scelto dai propri simili o governarli: abbiamo provato ad
applicarle ai tre o quattro grandi politici italiani d’oggi e ce ne
siamo ritratti scoraggiati. Siamo i soliti inguaribili pessimisti?
Decidano i lettori del Tresor.
le virtù in questione sono alle pp. 795-799 della bella edizione
Einaudi.
Tuttolibri
- La Stampa, SABATO 21 LUGLIO 2007
Nessun commento:
Posta un commento