Ricordo ancora il modo vergognoso in cui l' Osservatore Romano del tempo diede notizia della morte del grande scrittore portoghese. Aspetto ancora che i nuovi redattori del giornale del Vaticano chiedano pubblicamente scusa. (fv)
Il Nobel a Saramago. Gli «atei comunisti» vanno di moda a Stoccolma?
Nicola Fano
José Saramago ha
finalmente vinto il premio Nobel. Lo meritava da anni e da anni era
dato fra i candidati della vigilia. Le votazioni fra gli accademici
di Svezia avvengono per esclusione: si arriva alla fine a scegliere
fra due nomi. A quanto se ne sa, Saramago era finito spesso alla
«spareggio» finale ma qualcosa gli aveva sempre impedito di
vincere. Che cosa? Il caso o altro?E perché ha vinto que-st’anno?
La scelta dei giurati svedesi è più dirompente di quanto non appaia
in un primo momento. E, per di più, strettamente legata a quella
letteralmente «rivoluzionaria» (e discussa) dello scorso anno che
assegnò i quasi due miliardi di premio al «giullare» Dario Fo.
L’«Osservatore Romano»
ha subito commentato negativamente la notizia di ieri sottolineando
il «veterocomunismo» e l’«antireligiosità» dell’autore, fra
l’altro, de Il Vangelo secondo Gesù, romanzo che fu
violentemente accusato di blasfemia, non solo in Portogallo.
Ora, al di là del brusco
giudizio del quotidiano della Santa Sede, Saramago è un
intellettuale (forse tra i più autorevoli, significativi e
«impegnati», in senso tradizionale) che ha subito un lungo
ostracismo da parte delle istituzioni di mezzo mondo. Celebri sono
sempre state le sue posizioni anti-europee, che gli ispirarono uno
dei suoi romanzi più belli, La zattera di pietra (dove si
racconta di un improvviso cataclisma naturale che provoca il
distacco della penisola iberica dal corpo dell’Europa, mandandola
alla deriva verso le Americhe). Significativo il fatto che egli abbia
lavorato a lungo per l’allora Comunità europea e che da essa si
sia poi staccato polemicamente. Nota è la sua militanza politica
(«l'ultimo comunista europeo», egli si definisce); mentre quasi
segreto è l'eremo atlantico nel quale ha scelto di vivere, come
fosse in rotta con il mondo. Mai, per altro, egli ha nascosto il suo
pessimismo: molti dei suoi romanzi ritraggono individui che
affrontano imprese ciclopiche e impossibili; eroi kafkiani cui la
burocrazia nega ogni sia pur folle creatività (si leggano La
storia dell'assedio di Lisbona o il recentissimo «Tutti i nomi»,
entrambi memorabili.
Nella Reale accademia di
Svezia deve essere successo qualcosa di singolare: mai, è vero, le
sue scelte recenti in letteratura sono state banali o, peggio,
commerciali. E, sempre, orientate a una sorta di correttezza
geopolitica (ricordate i riconoscimenti a Soyinka, Brodskij,
Mahfuz?). Ma il premio a Dario Fo ha sparigliato il rigore
intelligente, facendo irrompere sulla scena una genialità scomposta
e dichiaratamente ostile alle istituzioni. E, dunque, il rinvio del
premio a Saramago non aveva più ragion d'essere. Senza contare che,
se la «laurea» a Dario Fo può far discutere i puristi, quella allo
scrittore portoghese poggia sulla diffusissima (e argomentata)
convinzione che egli sia il maggior romanziere vivente. Così, se
tutto va bene, dopo aver finalmente festeggiato Saramago il prossimo
anno potremo finalmente festeggiare Salman Rushdie.
“l'Unità” Venerdì 9
ottobre 1998
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