04 ottobre 2018

JOSEF KOUDELKA, UN MAESTRO DI FOTOGRAFIA:

Romania 1968

Maestri della fotografia. Koudelka e gli zingari 

Christuan Caojolle

Dato che non c’è più un direttore nell’ufficio parigino della Magnum e che l’agenzia fotografica, a causa della crisi, ormai sta tutta su un piano, Josef Koudelka si accomoda nella poltrona del capo: “Ho sbagliato tutto nella vita, non sono mai stato né direttore né presidente”, dice ridendo. I capelli e la barba arruffata sono diventati bianchi, ma è un eterno ragazzo, a volte serio a volte spiritoso, costretto a dedicarsi a un esercizio che non ama: parlare di sé. Teme sempre di essere frainteso (dà degli esempi) e cerca, nonostante le digressioni, di essere preciso. Lo aiuta uno schemino con le cose da fare, diviso per fasce orarie di colori diversi. A quasi 75 anni, Koudelka non si ferma mai, ha sempre bisogno di fare, guardare e dare forma. Oggi tocca al Mediterraneo, che attraversa e fotografa da vent'anni. Entro il 2013 porterà a termine il progetto “Marsiglia, capitale della cultura”.
Guardare al futuro, produrre, far emergere le immagini non gli impedisce di tornare incessantemente su quello che ha fatto. Continua a inseguire quello che potrebbe aver dimenticato, o sopravvalutato, nei lavori passati. La prossima tappa è l’incredibile presentazione a Mosca del suo progetto sull’invasione dell’armata rossa a Praga. Una grande rivincita, accompagnata da mille copie del libro, in russo, pubblicato da Torst, il grande editore ceco suo complice. Anche se è sempre riservato, Koudelka è chiaramente emozionato.
Ina alto Slovacchia 1967. In basso da  sinistra Boemia 1966, Spagna 1971
Ma è per un altro ritorno al passato che ci incontriamo: Zingari, il libro che l’ha fatto conoscere, è stato ripubblicato in sette paesi in una nuova edizione ampliata. La storia del volume è istruttiva, quasi esemplare. Il giovane Koudelka, che comincia la sua carriera a Praga come fotografo in un teatro, fa dei ritratti espressionisti e compone immagini molto grafiche. Tra il 1962 e il 1971 comincia a sviluppare un lavoro a lungo termine su quelli che all’epoca sono chiamati zingari. Nel 1968, con il sostegno di Anna Farova, lavora insieme al grafico Milan Kopriva al progetto di un libro. “Non sapevo niente di libri di foto. Sapevo solo che volevo somigliasse alla vita, al mio rapporto con gli zingari, a quello che succedeva tra noi”.
Il volume dovrebbe uscire a Praga nel 1970 ma, nel frattempo, Koudelka lascia la Cecoslovacchia occupata. Le sue foto dei carri armati e della rivolta fanno il giro del mondo e, attraverso Henri Cartier-Bresson, incontra Robert Delpire, il mitico editore di | Robert Frank, di molti fotografi della Magnum e di tanti altri. Delpire vuole pubblicare il libro, ma in un’altra versione: 60 foto (di cui 50 tratte dal progetto originale) escono nel 1975 con il titolo Gitans, la fin du voyage (Aperture si aggiudica la versione statunitense). Un’edizione speciale è pubblicata anche dal Moma di New York per accompagnare la mostra fotografica. Il libro diventa subito un classico, una delle opere più ricercate della fotografia del Novecento.
Slovacchia 1967
La nuova edizione torna oggi in gran parte al progetto originale, anche se con 109 immagini, un formato più grande e un ritmo più narrativo rispetto alla prima, rigorosa selezione. “Non volevo solo una collezione di belle foto. E volevo che, anche se sono tutti scatti fatti tra gli zingari, il libro andasse oltre”. Nell’edizione francese Robert Delpire spiega che la scelta editoriale non è sua, ma che la pubblica per amicizia, stima e rispetto. Si avverte chiaramente uno di quei conflitti che possono esserci tra un autore e un editore molto esigenti. E Koudelka non vuole parlare di come sono andate le cose per “ammirazione, rispetto e amicizia per Bob. E poi sono così contento che l’abbia pubblicato come lo volevo io”.
È la sua creatura: “Un progetto che ho portato con me, anche fisicamente, per quattro anni. Ho avuto il tempo di capire cosa andava e cosa no. Ho lasciato la Cecoslovacchia con 154 foto sugli zingari. L’essenziale del libro era già lì. È una storia, una storia di persone, di me con queste persone la cui musica mi ha attirato e m’incanta tutt’ora. Erano le stesse persone di cui si diceva ‘chiudete le porte, arrivano gli zingari e ruberanno le galline’”.
La maggior parte degli scatti sono verticali: “Questo ha avuto un peso importante nell’organizzazione del libro, nel ritmo che il grafico Milan Kopriva ha saputo inventare. L’altra persona fondamentale per questo progetto è stata Anna Farova. È lei che mi ha aiutato a strutturare le immagini, e a non dimenticare niente”. Sono le due persone a cui il libro è dedicato.
A Koudelka non piace commentare il suo lavoro. Non ha un punto di vista, dice, sulle sue incredibili inquadrature dal respiro naturale, dalla giusta distanza. Ammette però che “ci vuole un obiettivo da 24 millimetri perché tutto sia nitido in spazi spesso molto ristretti e con poca luce. Poi ho cambiato, non volevo ripetermi. L’obiettivo ti dice come fare”.
Ma non dice niente sulla grana delle immagini, spesso così particolare e sensuale, sui negativi diffìcili, sviluppati senza prendere troppe precauzioni. Non ripetersi, è anche la ragione per cui non ci sono foto recenti di zingari. “È una generazione che non esiste più. Quando sono tornato a Praga nel 1991, sono andato a vedere. Sono sempre lì, le condizioni in cui vivono sono un po’ migliorate, ma poco, e la maggior parte di quelli che conoscevo sono morti. Ho pensato che non avrebbe avuto senso ricominciare. Oggi è un altro mondo e prima o poi qualcuno farà un lavoro formidabile a colori su di loro”. L’importante è “continuare a fotografare, perché ho la fortuna di averne ancora voglia e di poterlo fare”. Ma il libro rimane fondamentale. Ben più delle mostre che sono “effìmere”.
Farà vedere il libro agli zingari, come faceva con le foto (“Mandavano baci e ballavano per mostrare il loro apprezzamento”)? “Certo, appena posso”. Possiamo immaginare che sfogliando le pagine, dietro l’elegante copertina bianca con il sobrio titolo nero Cikdni, si ritroveranno, ameranno, balleranno e manderanno baci.

"Internazionale", 4/11 novembre 2011

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