15 ottobre 2018

LA VIENNA DI GUSTAV KLIMT


Nella Vienna di Klimt. La bellezza rubata di Laurie Lico Albanese

«Quello che c’era tra noi non era affatto semplice, come il puro desiderio o l’attrazione sessuale. Era una brama di bellezza e di significato, la voglia di ricercare nel mondo e in noi stessi. Avevamo il senso della permanenza e la paura dell’oblio. Sapevamo, naturalmente, che tutto è transitorio e niente dura – ma questo non ci impediva di anelare a qualcosa di eternamente bello»: riflette così Adele Bloch-Bauer sulla sua liaison con Gustav Klimt. Una musa e un artista, una donna rivoluzionaria, anticonformista, appassionata della vita e dell’arte, sensuale, spregiudicata e l’anima della Secessione viennese, la Monna Lisa d’Austria e il pittore dal decorativismo esuberante e dall’eleganza estetizzante, cantore della Finis Austriae.
La bellezza rubata di Laurie Lico Albanese, edito da Einaudi nella collana Supercoralli (2018, pp. 360, € 20) è un’opera d’arte sulla seducente e scintillante Vienna fin de siècle, tra vorticosi giri di valzer e accese discussioni a proposito dell’avant-garde, della rivoluzione freudiana, delle teorie antisemite, un romanzo magnetico ‒ come i dipinti di Klimt ‒ da leggere tutto d’un fiato,uno squarcio tra le pagine di Storia di maggiore euforia e incertezza che, con uno zoom perfettamente quadrato – formato caro alla Secessione – di 138 per 138 cm, dimensioni della tela Ritratto di Adele Bloch-Bauer, racconta un’epopea di guerra, di arte, di amore, una singolare storia vera lunga più di un secolo.
La scrittrice americana, in occasione del centenario della morte del pittore, ha sapientemente scelto di far parlare i protagonisti, o meglio le protagoniste, dando loro voce a ritmo alterno: Adele, discendente di una facoltosa famiglia ebrea, brillante e intelligente sin da piccola, sogna l’Università, è molto legata al fratello Karl che prima di morire di polmonite le sussurra di non farsi ingabbiare e sposa a diciotto anni il ricchissimo Ferdinand Bauer forse per la sua promessa di darle la libertà desiderata e Maria Altmann, sua adorata nipote, che sposa un uomo i cui baci hanno «il sapore di stelle alla cannella» e affronta con coraggio e determinazione il periodo della Seconda Guerra Mondiale ripetendosi le parole insegnatele dalla zia: «Tu devi essere forte, Maria. Non lasciare che nessuno ti metta in gabbia, Maria. Mai e poi mai». Due donne, due epoche: è così, in capitoli scanditi temporalmente, in cui le parole di Adele seguono quelle di Maria, erotiche e strazianti, che Laurie Lico Albanese fa risplendere la celebre opera klimtiana,conclusa nel 1907, rubata dai nazisti alla famiglia Bloch-Bauer e rivendicata decenni dopo da Maria, oggi esposta alla Neue Galerie di New York.
Adele, amante di Klimt dal 1901 quando posa per la celebre Giuditta I, spietata femme fatale che con il proprio potere seduttivo vince la forza virile dell’amante, è qui incastonata in uno sfondo vibrante di luce, avvolta nel fulgore dell’oro, come un idolo pagano, quasi un gioiello, in un’atmosfera di atemporalità. È il conflitto tra eros e thanatos quello che Klimt traduce sulla tela e quello che vive profondamente e avidamente nel suo studio con le sue amanti e muse e con Adele, nel cui ritratto l’artista inserisce, sull’abito, la simbologia egizia dell’occhio di Horo e il ka, il quadratino che rappresenta l’anima, il pezzetto di eterno che anima l’inanimato.
«Quel silenzio è nel mio ritratto; quell’attesa è nella mia espressione; quel mistero è negli occhi di Horus e nel ka e in tutti i simboli di oro e di argento che incise sul mio abito. – Adesso lo vedo, – dissi. – Adesso è finito, – disse lui. Mi baciò teneramente, era un addio».

Pezzo ripreso da  pubblicato lunedì, 15 ottobre 2018

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