23 ottobre 2018

I QUADERNI NERI DI M. HEIDEGGER


   
      Adorno ha disprezzato Heidegger perchè, senza aver letto gli inediti «Quaderni Neri» di M. Heidegger, aveva capito che l'autore di "Essere e tempo" era un nazista ed un fascista fino al midollo. Oggi Eugenio Mazzarella, in un suo recente saggio,  mette in luce i nessi tra le posizioni teoriche e le scelte pratiche del filosofo tedesco.

Michele Ciliberto

Martin Heidegger. Le frustrazioni di un nazionalista piccolo borghese


Il libro di Eugenio Mazzarella su Heidegger e i Quaderni neri è interessante anzitutto per la nettezza con cui si contrappone a coloro che si sono serviti di questi testi per riaprire in termini distruttivi il problema dei rapporti tra Heidegger e la politica, Heidegger e il nazismo, Heidegger e l’antisemitismo.

L’«antisemitismo ontologico-destinale di Heidegger dei Quaderni» – scrive Mazzarella – «non aggiunge niente alla comprensione che potevamo avere del suo pensiero, e del corto circuito con la comprensione del suo tempo che ne è venuto». Anche se, aggiunge, «dà il tocco finale alla pochezza dell’uomo comune, del piccolo borghese nazionalista (frustrato anche dal nazismo) che era; e che resta anche nei panni, in questi Quaderni, del commentatore storico-destinale del suo tempo».

È un giudizio in cui culmina la serrata analisi su quella che è l’alternativa posta, a giudizio di Mazzarella, nei Quaderni: quella tra grecità e cristianesimo, espressa dalla opposizione dell’onto-storia di Heidegger al messianesimo ebraico-cristiano. Sintetizza Mazzarella: non cristianità ovvero Europa, come Novalis; ma cristianità oppure Europa. È il cristianesimo dunque «l’antagonista dello spirito greco-germanico sulla scena della decadenza europea», ed è in questo contesto che vanno considerate le osservazioni di Heidegger sugli Ebrei: essi sarebbero gli «agenti destinali» dell’autoannientamento dell’Occidente nella ragione strumentale della tecnica moderna. In conclusione, secondo Mazzarella, l’avversione alla ebraicità «è fondamentalmente l’avversione al tratto “nichilistico” della civilizzazione europea, nietzscheanamente messo in capo al cristianesimo».

E con questo riferimento si concretizza anche sul piano delle fonti la prima parte del libro, che ha quindi il merito di rovesciare il punto di vista corrente, proponendo una diversa – e interessante – visione del problema: merito non da poco. Muovendo di qui, nella seconda parte, Mazzarella analizza lo svolgimento della posizione di Heidegger, mostrando come, dopo il fallimento dell’esperienza politica, si dilegui la «storicità» propria di Essere e tempo e si imponga una prospettiva di tono apocalittico, che consegna tutto il presente all’abisso di un «anatema di tipo gnostico» al quale non è possibile sfuggire...

Il libro è denso di osservazioni importanti, ma a mio giudizio è interessante anche per un altro motivo di ordine generale: pone, e affronta, il problema dei rapporti tra filosofia e politica nei regimi totalitari di massa che noi, in Italia, conosciamo assai bene, perché se ne è discusso lungamente a proposito di Giovanni Gentile. Del resto, è stato Croce a stabilire, proprio su questo punto, un nesso diretto tra Heidegger e Gentile, già in una lettera a Vossler del 10 agosto del 1933; e con parole assai aspre, spiegabili, certo, alla luce del momento in cui sono state scritte, e anche della concezione crociana del rapporto tra prassi e teoria.

Ma il problema resta, e continua a interrogarci. Valga, per fare un solo esempio, il caso di un eminente filosofo italiano del Novecento, Cesare Luporini. Fu presente al famoso discorso che Heidegger tenne nel 1933 assumendo la carica di rettore della Università di Friburgo; e, turbato («fu un grosso colpo»), lasciò il suo seminario, ben consapevole della responsabilità politica di Heidegger. Ma ne riconobbe sempre la statura filosofica, pur essendo lontano, fin dall’inizio, dal suo ontologismo. Allo stesso modo, si distaccò da Gentile; ma proprio quando aderì al PCI (agosto del ’43) gli scrisse una lettera in cui gli riconobbe di avergli insegnato a «credere nel libero futuro degli uomini e ad operare per esso».

Allo stesso modo Mazzarella è consapevole dei limiti di Heidegger, della sua natura piccolo borghese, e del «legame non episodico, ma strutturale e motivato tra l’impianto della storia dell’essere heideggeriana [...] e il nazismo». Ma questo non gli impedisce di riconoscere la grandezza di Heidegger e di liquidare la propaganda riesplosa con la pubblicazione dei Quaderni neri, imperniata – e questo è il punto generale che il suo libro mette a fuoco – su una interpretazione meccanica, immediata, dei rapporti tra filosofia e politica.

I filosofi sono politicamente responsabili e devono essere giudicati in modo severo per le loro compromissioni con regimi come il fascismo e il nazismo, e Mazzarella lo fa mettendo anche in luce i nessi, se e quando ci sono, tra posizioni teoriche e scelte pratiche. Ma la filosofia, quando è grande filosofia – e lo è nel caso di Gentile e Heidegger – è tale perché, nonostante i suoi limiti «empirici», «ideologici» (e su quelli di Heidegger ci sono battute fulminanti della Arendt), è capace di sporgere oltre le barriere del proprio tempo storico. Dimenticare questo, non comprendere la complessità dei livelli dell’esperienza di un grande filosofo, serve solo a precipitarci nella notte in cui tutte le vacche sono nere. Mentre per comprendere, anche la storia della filosofia, è necessario distinguere i livelli del discorso.

Comprendere un testo, e questo vale anche per i Quaderni neri, significa considerare il genere cui appartiene, gli interlocutori ai quali si rivolge, il lessico di cui si serve, come stravolge – e in che modo – l’universo ordinario delle parole e dei concetti. E considerare se entra in circolazione subito, oppure in situazioni storiche e politiche profondamente diverse (come avviene, per fare un altro caso a noi ben noto, con i testi di Gramsci). E se è un testo pubblico o privato, come è il caso dei Quaderni neri: distinzione essenziale, anche quando si consideri importante, per la comprensione di un testo, entrare nell’officina di un filosofo. Se non si fa questo è difficile, anzi impossibile «leggere» un testo; si rischia solo di fare propaganda – operazione interessante, ma diversa dal comprendere storico. Si intende: se e finché si ritenga che «leggere» i testi abbia ancora un senso.

Il Sole 24 Ore - 21 ottobre 2018

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