Ernesto Galli della Loggia, sul principale quotidiano nazionale, stronca giustamente l'ultimo libro di A. Scurati. (fv)
«M» di Antonio Scurati, il romanzo che ritocca la
storia
Incongruenze,
sviste e anacronismi per il Mussolini dello scrittore. Considerazioni in
margine al libro (Bompiani) da settimane in vetta alle classifiche
Voglio sperare che ancora oggi se a un esame di licenza liceale uno studente attribuisse a Carducci l’espressione «la grande proletaria» (invece che a Giovanni Pascoli, che la coniò per l’Italia che si accingeva a occupare la Libia ), e definisse Benedetto Croce un «professore» (lui che per tutta la vita gratificò di tutto il disprezzo immaginabile l’Università e i suoi professori, che fu l’antiaccademismo vivente), voglio sperare, dicevo, che lo sciagurato correrebbe seri rischi di essere bocciato.
Non si tratta di due errori qualunque, infatti.
Sommati significano in pratica non essere in grado di orientarsi nella
storia culturale italiana della prima metà del Novecento. Non possedere
alcuni punti di riferimento essenziali. Se poi il medesimo studente
avesse pure sbagliato la data di Caporetto, avesse detto che Antonio
Salandra, presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia
nella Prima guerra mondiale, «porta sulla coscienza sei milioni di
morti» (un antesignano pugliese di Hitler insomma), avesse poi definito
Antonio Gramsci «un politologo», avesse scritto che alla Scala nel 1846
lavoravano degli «elettricisti» e che nel 1922 al Viminale ticchettavano
«le telescriventi», e poi ancora, come se non bastasse, a commento
della marcia su Roma avesse riportato alcune righe attribuendole a
«Monsignor Borgongini Duca, ambasciatore inglese presso la Santa Sede»
(!!) , e a commento della seduta della Camera sulla fiducia al governo
Mussolini avesse citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17
novembre 1922 (quando l’autore avrebbe avuto 105 anni!), beh: spero
proprio che a questo punto il suddetto studente sarebbe sicuro di
prendersi una solenne bocciatura.
O forse no, chissà. Infatti tutti gli svarioni citati (ce
ne sarebbero altri minori, ma non mi sembra il caso di pignoleggiare)
fanno bella mostra di sé nell’acclamatissimo libro di Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo,
Bompiani editore, da settimane in testa alle classifiche delle vendite
(rispettivamente alle pagine: 199, 537 e 784, 12, 837, 835, 498 e 571,
601, 610).
Che dire? Solo un paio di osservazioni. La prima è la constatazione, ancora una volta, della devastante mancanza di editing
nella maggior parte dell’editoria italiana. In pratica, se tanto mi dà
tanto, si deve credere che basti avere un minimo di nome per poter
andare con un testo in mano da Bompiani (ma lo stesso accadrebbe, sono
sicuro, con molte altre case editrici) e vedersi pubblicata qualsiasi
castroneria, perché non c’è neppure uno che dia un’occhiata preliminare.
Anche questo mi pare un sintomo, piccolo ma significativo, della
decadenza italiana. Del modo raffazzonato con cui da noi si è ormai
soliti fare troppe cose.
La seconda osservazione riguarda la critica, cioè i numerosi recensori del libro.
Come è mai possibile, mi domando, che nessuno (sono pronto a ricredermi
se sbaglio, ma non credo) abbia notato neppure di sfuggita degli
svarioni così marchiani?
Le risposte possibili sono due. O
bisogna pensare che alle recensioni plebiscitariamente favorevoli,
spesso entusiastiche, in realtà non abbia corrisposto l’effettiva e
completa lettura del testo, ovvero che chi ne ha parlato non abbia
notato gli svarioni di cui sopra apparendogli questi insignificanti o
perché condivideva con il suo autore il medesimo livello di conoscenza
della storia patria. In entrambi i casi un esempio non proprio
esaltante, anche qui, di quale Paese sia l’Italia attuale.
Infine c’è il problema Scurati. Laureato in filosofia e docente universitario,
dal quale uno non si aspetterebbe certo la disinvoltura, chiamiamola
così, mostrata in queste pagine. Tanto più che lo stesso ci ha tenuto a
dichiarare in un’ intervista: «Mi sono assegnato un criterio
rigidissimo, nessun personaggio, accadimento, discorso o frasi narrati
nel libro sono liberamente inventati». Per poi aggiungere:
«L’antifascismo non regge più ai tempi nuovi (…) va ripensato su nuove
basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo
attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio
contributo alla rifondazione dell’antifascismo».
Già, caro Scurati: ma c’è modo e modo di «ripensare» e di «rifondare».
Se il nuovo antifascismo è questo qui, allora davvero si è tentati di
dire — e se lo dice uno come me può crederci — «Ridateci quello di
prima!». Che almeno sul piano delle date e delle citazioni aveva le
carte in regola.
CORRIERE DELLA SERA, 14 ottobre 2018
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