La parola come arma Nell'isola solitaria di Saramago
Marco Ferrari
Forse non è un caso che
Saramago abbia scelto di vivere tra i crateri spenti, le montagne di
fuoco e le poetiche costruzione di César Manrique nella piccola
isola di Lanzarote in un bellissima casa bianca incastonata nei
residui di lava.
Il magico quotidiano che
scaturisce dalle sue pagine, con un gusto iberico che la letteratura
aveva dimenticato, appartiene a un mondo al limite, non ancora
inglobato nell'invadenza europea e non del tutto immatricolato nelle
problematiche dell'emisfero sud. Un mondo sospeso, com'è appunto la
sua «zattera di pietra», la penisola spagnola che si stacca dal
vecchio continente.
Discosto, riservato,
anticonformista e scettico («Non me ne vado in giro con il sorriso
stampato ad abbracciare gente e a farmi amici» ha confessato
recentemente), José de Sousa Saramago, nato 75 anni fa nel villaggio
di Azinhaga, nel comune di Goiegà, sembra aver risolto con l'arma
dell'ironia la tradizionale carica malinconica dei portoghesi quasi
che la scrittura picaresca, il timbro dell'opera comica e l'umore
corrosivo siano davvero i rimedi alla «cecità» della società.
Figlio di contadini senza
terra costretti ad emigrare a Lisbona, il piccolo José a soli tre
anni perde le sue radici ed è obbligato ad una faticosa rincorsa
della vita metropolitana. Le condizioni economiche della famiglia lo
costringono ad interrompere gli studi delle scuole superiori e a
trovarsi una occupazione, prima come fabbro, poi come disegnatore,
quindi come impiegato, traduttore e infine giornalista.
Il suo primo romanzo,
«Terra del peccato», è del 1947 e non riceve un grande successo
nel Portogallo oscurantista di Salazar. Nel 1959 si iscrive al
Partito Comunista Portoghese che opera nella clandestinità sfuggendo
sempre alle insidie e alle trappole della famigerata Pide, la polizia
politica del regime. Negli anni Sessanta Saramago diventa uno dei
critici più seguiti del Paese nella nuova edizione della rivista
«Seara Nova» e nel 1966 pubblica la sua prima raccolta di poesie, I
poemi possibili. Diventa quindi direttore letterario e di
produzione per dodici anni di una casa editrice e dal 1972 al ‘73
curatore del supplemento culturale ed editorialista del quotidiano
«Diario de Lisboa». Sino allo scoppio della Rivoluzione dei
Garofani del ‘74 Saramago vive un periodo di formazione e pubblica
poesie (Probabilmente allegria, 1970), cronache (Di questo
e d'altro mondo, 1971; Il bagaglio del viaggiatore, 1973;
Le opinioni che DL ebbe, 1974), testi teatrali, novelle e
romanzi.
Il secondo Saramago (vice
direttore del quotidiano «Diario de Noticias» nel 1975 e quindi
scrittore a tempo pieno), libera la narrativa portoghese dai
complessi precedenti e dà l'avvio ad una generazione
post-rivoluzionaria che ha saputo travasare l'esperienza drammatica
dell'isolamento dittatoriale e del sanguinario colonialismo e che ha
trasformato le pretese rivoltose dei caldi anni Settanta in illusioni
e rimpianti. «C'è dunque un prima e dopo Saramago più evidente
ancora nella distinzione tra prima e dopo la rivoluzione portoghese»
ha scritto il critico Nuno Judice.
Lo scrittore pubblica il
lungo romanzo Manuale di pittura e calligrafia nel 1977 e
quindi nell'80 Una terra chiamata Alentejo sulla rivolta della
popolazione della regione più a est del Portogallo. Ma è con
Memoriale del convento (1982) che ottiene finalmente il
successo tanto atteso. In sei anni pubblica tre opere di grande
impatto (oltre al Memoriale, L'anno della morte di Ricardo
Reis e La zattera dipietra) ottenendo numerosi
riconoscimenti.
Gli anni Novanta le
consacrano sulla scena internazionale con Storia dell'assedio di
Lisbona e Il vangelo secondo Gesù, editi in Italia da
Bompiani e quindi con «Cecità» e l'ultimissimo «Tutti i
nomi», proposti da Einaudi. Ma il Saramago autodidatta e
comunista senza voce nella terra del salazarismo non si è mai fatto
avvincere dalle lusinghe della notorietà conservando una schiettezza
che spesso può tradursi in distacco.
Protagonista di una
letteratura non popolare (al pari di altri autori post-rivoluzionari
come Antonio Lobo Antunes, Maria Gabriela Llansol e José Cardoso
Pires), Saramago costruisce le sue opere analizzando o modernizzando
un mito originale. La sua scrittura, ricca di sorprese e con un
impianto novecentesco, scivola fortemente nella metafora travasando
l'irrealtà nella realtà. Meno riuscito è il Saramago saggista,
editorialista e viaggiatore probabilmente frutto della necessità di
tenere comunque la scena e di campare. Il suo Portogallo, sia nello
scenario del passato che in quello contemporaneo, sembra comunque
rifarsi alla concretezza della vita e ai suoi risvolti fantasiosi
inglobati in una grande storia di cui lo scrittore si fa specchio, in
contrasto per certi versi con il Portogallo visionario di Antonio
Tabucchi col quale non sono mancati confronti.
In Saramago si ritrovano
i grandi insegnamenti della cultura portoghese, il modernismo di
Pessoa, il realismo di Ega de Queiros e la passionalità di Castelo
Branco filtrati attraverso la sofferta esperienza della lotta
politica silenziosa e quindi le promesse mancate di una rivoluzione,
l'ultima di questo secolo.»
“l'Unità”, 9 ottobre
1998
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