11 ottobre 2018

SARAMAGO A LANZAROTE




La parola come arma Nell'isola solitaria di Saramago 

Marco Ferrari


Forse non è un caso che Saramago abbia scelto di vivere tra i crateri spenti, le montagne di fuoco e le poetiche costruzione di César Manrique nella piccola isola di Lanzarote in un bellissima casa bianca incastonata nei residui di lava.
Il magico quotidiano che scaturisce dalle sue pagine, con un gusto iberico che la letteratura aveva dimenticato, appartiene a un mondo al limite, non ancora inglobato nell'invadenza europea e non del tutto immatricolato nelle problematiche dell'emisfero sud. Un mondo sospeso, com'è appunto la sua «zattera di pietra», la penisola spagnola che si stacca dal vecchio continente.
Discosto, riservato, anticonformista e scettico («Non me ne vado in giro con il sorriso stampato ad abbracciare gente e a farmi amici» ha confessato recentemente), José de Sousa Saramago, nato 75 anni fa nel villaggio di Azinhaga, nel comune di Goiegà, sembra aver risolto con l'arma dell'ironia la tradizionale carica malinconica dei portoghesi quasi che la scrittura picaresca, il timbro dell'opera comica e l'umore corrosivo siano davvero i rimedi alla «cecità» della società.
Figlio di contadini senza terra costretti ad emigrare a Lisbona, il piccolo José a soli tre anni perde le sue radici ed è obbligato ad una faticosa rincorsa della vita metropolitana. Le condizioni economiche della famiglia lo costringono ad interrompere gli studi delle scuole superiori e a trovarsi una occupazione, prima come fabbro, poi come disegnatore, quindi come impiegato, traduttore e infine giornalista.
Il suo primo romanzo, «Terra del peccato», è del 1947 e non riceve un grande successo nel Portogallo oscurantista di Salazar. Nel 1959 si iscrive al Partito Comunista Portoghese che opera nella clandestinità sfuggendo sempre alle insidie e alle trappole della famigerata Pide, la polizia politica del regime. Negli anni Sessanta Saramago diventa uno dei critici più seguiti del Paese nella nuova edizione della rivista «Seara Nova» e nel 1966 pubblica la sua prima raccolta di poesie, I poemi possibili. Diventa quindi direttore letterario e di produzione per dodici anni di una casa editrice e dal 1972 al ‘73 curatore del supplemento culturale ed editorialista del quotidiano «Diario de Lisboa». Sino allo scoppio della Rivoluzione dei Garofani del ‘74 Saramago vive un periodo di formazione e pubblica poesie (Probabilmente allegria, 1970), cronache (Di questo e d'altro mondo, 1971; Il bagaglio del viaggiatore, 1973; Le opinioni che DL ebbe, 1974), testi teatrali, novelle e romanzi.
Il secondo Saramago (vice direttore del quotidiano «Diario de Noticias» nel 1975 e quindi scrittore a tempo pieno), libera la narrativa portoghese dai complessi precedenti e dà l'avvio ad una generazione post-rivoluzionaria che ha saputo travasare l'esperienza drammatica dell'isolamento dittatoriale e del sanguinario colonialismo e che ha trasformato le pretese rivoltose dei caldi anni Settanta in illusioni e rimpianti. «C'è dunque un prima e dopo Saramago più evidente ancora nella distinzione tra prima e dopo la rivoluzione portoghese» ha scritto il critico Nuno Judice.
Lo scrittore pubblica il lungo romanzo Manuale di pittura e calligrafia nel 1977 e quindi nell'80 Una terra chiamata Alentejo sulla rivolta della popolazione della regione più a est del Portogallo. Ma è con Memoriale del convento (1982) che ottiene finalmente il successo tanto atteso. In sei anni pubblica tre opere di grande impatto (oltre al Memoriale, L'anno della morte di Ricardo Reis e La zattera dipietra) ottenendo numerosi riconoscimenti.
Gli anni Novanta le consacrano sulla scena internazionale con Storia dell'assedio di Lisbona e Il vangelo secondo Gesù, editi in Italia da Bompiani e quindi con «Cecità» e l'ultimissimo «Tutti i nomi», proposti da Einaudi. Ma il Saramago autodidatta e comunista senza voce nella terra del salazarismo non si è mai fatto avvincere dalle lusinghe della notorietà conservando una schiettezza che spesso può tradursi in distacco.
Protagonista di una letteratura non popolare (al pari di altri autori post-rivoluzionari come Antonio Lobo Antunes, Maria Gabriela Llansol e José Cardoso Pires), Saramago costruisce le sue opere analizzando o modernizzando un mito originale. La sua scrittura, ricca di sorprese e con un impianto novecentesco, scivola fortemente nella metafora travasando l'irrealtà nella realtà. Meno riuscito è il Saramago saggista, editorialista e viaggiatore probabilmente frutto della necessità di tenere comunque la scena e di campare. Il suo Portogallo, sia nello scenario del passato che in quello contemporaneo, sembra comunque rifarsi alla concretezza della vita e ai suoi risvolti fantasiosi inglobati in una grande storia di cui lo scrittore si fa specchio, in contrasto per certi versi con il Portogallo visionario di Antonio Tabucchi col quale non sono mancati confronti.
In Saramago si ritrovano i grandi insegnamenti della cultura portoghese, il modernismo di Pessoa, il realismo di Ega de Queiros e la passionalità di Castelo Branco filtrati attraverso la sofferta esperienza della lotta politica silenziosa e quindi le promesse mancate di una rivoluzione, l'ultima di questo secolo.»

“l'Unità”, 9 ottobre 1998

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