Sul
finire di luglio ci ha lasciato Clara Sereni. Posto qui il pezzo che allora ho
scritto per “micropolis on line” con l'intento di testimoniare un dolore, un
affetto e una stima grandissima.
(S.L.L.)
Dare corpo all'utopia. Un ricordo di Clara Sereni
Salvatore Lo Leggio
È morta Clara Sereni, che non vedevo
da qualche anno e mi dispiace moltissimo di non aver potuto salutare.
Clara – non credo che mi facciano
velo i sentimenti di amicizia – è stata una scrittrice grande, più di quanto
non dica il successo dei suoi libri. È probabile – come una volta affermò – che
la spinta a scrivere le venisse dalla volontà di capire, di chiarire le cose a
se stessa prima che agli altri e che questo sforzo le procurasse patimento; ma
a me pare certo che la sua capacità di mescolare generale e particolare, toni
bassi e toni alti, ironia e pietà, documenti e sentimenti diano alle sue
scritture una ricchezza comunicativa rara, quella che si ritrova solo nei
grandi scrittori.
Da Casalinghitudine (1987) al
Gioco dei Regni (1993), da Passami il sale (2002) a Via
Ripetta 155 (2015), per ricordare solo i titoli a mio avviso più
importanti, la sua è una ricognizione che parte sempre dal sé, dalla storia di
una famiglia speciale, di una giovinezza da sessantottina inquieta e ribelle,
di una madre alle prese con l’handicap del figlio, di una donna di sinistra
impegnata a cambiare il mondo e mai rassegnata; ma sia il montaggio, quasi
sempre felice e probabilmente legato ai rapporti con il cinema, sia le risonanze
letterarie e linguistiche che animano lo stile quasi sempre trascendono
l’esperienza privata e danno alle sue scritture una dimensione pubblica non
meramente documentaria, ma creativa, poetica.
Casalinghitudine, libro dal titolo felicissimo, in cui molte donne si sono
ritrovate e si ritrovano, lancia una formula destinata a un grande successo: le
ricette di cucine (Clara era appassionata gastronoma e cuoca eccellente)
connesse a una narrazione, in questo caso per frammenti, di storie personali,
familiari o di gruppo e centrate sull’affermazione del sé in una donna, sempre
faticosa, anche quando si tratti di donna relativamente privilegiata. Il
gioco dei regni è una saga familiare in cui si proietta la grande storia:
il padre ebreo romano che passa da un sionismo molto religioso al comunismo
vissuto come una religione, uno zio che resta sionista impegnato a costruire la
nuova patria d’Israele, una mamma russa che sembra accettare un ruolo
subalterno e una nonna materna molto rivoluzionaria. In questo mondo l’ideale
non di rado diventa retorica e confligge con le miserie della quotidianità. Passami
il sale è il romanzo dei due o tre anni in cui Clara fece parte della
giunta comunale a Perugia, dai toni apparentemente più dimessi, in prevalenza
ironici, ma le piccole vicende amministrative di una città media diventano
nella sua scrittura critica della politica, anche della grande politica, del
suo persistente maschilismo, dei suoi riti, dei suoi ingorghi, della sua
indifferenza alla vita reale. E infine il controverso Via Ripetta 155,
per me molto più che un “memoir” o un romanzo “generazionale” sul Sessantotto,
ma una grande costruzione letteraria, in cui confluiscono non solo esperienze
ma tradizioni.
Sotto traccia sempre, ma non troppo,
un tema profondamente politico accompagna le narrazioni: è una domanda di senso
e di impegno che scaturisce dalla stessa storia familiare: che fare dopo il
comunismo, che è stato insieme liberazione e oppressione, verità e menzogna,
sogno e incubo. La fine un po’ ingloriosa del tentativo novecentesco di
cambiare la società e la vita è rappresentata in maniera classica dalla
decadenza fisica e intellettuale di Emilio Sereni, dal suo chiudersi in se
stesso, che trova l’acme nelle pantomime familiari che accompagnano il romanzo
di formazione in Via Ripetta e più ancora nel trasferimento della grande
biblioteca nel Gioco dei regni: “Privo del muro di carta che per tanti
anni lo aveva rinchiuso e difeso fu ad un tratto vecchio, assai più degli anni
che aveva. Silenzio. Ordine e disciplina comandamenti vuoti, via via più
staccati da un progetto. Un dolore che dilagava, una solitudine feroce. Fino
all’ultimo”. Ma c’è nel racconto di Clara Sereni anche la volontà indomabile di
dare comunque gambe e corpo all’utopia (parola che amava molto, mentre trovava
respingente “ideologia”), in un progetto che procede per tentativi ed errori,
ma senza rese. Così si legge nel finale di Via Ripetta: “Tutto era
pronto per un nuovo passo in avanti. Con tutte le speranze e utopie ancora –
colpevolmente – intatte”. Finale “riformista” forse, ma irriducibile: la lotta
continua sempre, seppure con altri mezzi.
Ho voluto, per questo ricordo in
pubblico, valorizzare com’era giusto la scrittrice rispetto all’amica, alla
compagna, ma non posso fare a meno di ricordare le battaglie concrete che Clara
condusse a Perugia e tra esse quelle che la videro al nostro fianco, a fianco
della redazione di “micropolis” e dei compagni di “Segno Critico”.
Clara aveva scelto di abitare a
Perugia e tra le ragioni di questa scelta, nei primi anni 90, c’era la qualità
della vita che era – al tempo – ancora abbastanza alta sotto il profilo dei
servizi e della vivacità culturale. Accettò pertanto volentieri di far da
assessore a Maddoli, il sindaco venuto dalla “società civile”, come si diceva
allora, un professore di storia greca legato al mondo cattolico. Convinta che
alle difficoltà dello stato sociale di dovesse reagire con un movimento di
solidarietà dal basso, di nuova mutualità sorretta dalle pubbliche istituzioni,
si impegnò in quella che le appariva una battaglia esemplare, la “Banca del
tempo” attraverso cui le persone si sarebbero scambiate del tempo da dedicare
ad attività di cura, e in particolare al sostegno ai più deboli e fragili. Non
funzionò. Forse non poteva funzionare.
Non funzionò neanche il tentativo
suo e di altri assessori, forse dello stesso sindaco, di resistere alle logiche
di una “macchina amministrativa” che mal si conciliava con utopie o ideali, e
che era a quel tempo tesa a promuovere sviluppo e affari, soprattutto nel campo
delle costruzioni.
Clara si dimise molto prima della
fine del mandato, ma non cessò il suo impegno. Nei primissimi anni Duemila
nella battaglia interna del Pds si schierò a fianco di Cofferati e del
“correntone” di Giovanni Berlinguer, le cui attività coordinò a Perugia. Con
una idea fissa: uscire dal chiuso delle sedi di partito e lanciare una
battaglia culturale nella società, per la difesa dei diritti del lavoro, per il
rilancio dello Stato sociale, per il sostegno agli ultimi, per la pace.
In questo si incontrò con noi. Per
un anno intero organizzammo iniziative in comune, tra “micropolis” e “Aprile”
l’associazione culturale legata al “correntone”. Ricordo la sua occasionale, ma
significativa, collaborazione al giornale, ma ricordo soprattutto cene,
incontri, chiacchierate per preparare iniziative. Era generosissima Clara:
partecipava alla lotta politica, scriveva e intanto seguiva il figlio Matteo e
lavorava per la “Città del Sole”, la fondazione senza scopo di lucro che nel
1998 aveva promosso per aiutare i disabili psichici.
Due delle iniziative comuni che al
tempo (2002) promuovemmo la videro protagonista con impostazioni originali. Per
la presentazione del suo Passami il sale, in una sala di Palazzo Penna
affollatissima e caldissima, si stufò dei complimenti che in tanti le
rivolgevano, prese il microfono e disse: “ora parliamo di politica, del che
fare per la sinistra!”. Volle poi partecipare con Nemer Hammad alla presentazione
del Diario segreto dell’esponente palestinese, al tempo ambasciatore
dell’OLP e di Arafat in Italia, curato da Alberto La Volpe. L’incontro si
svolse in una sede ufficiale della Regione, a Palazzo Cesaroni, ma i
palestinesi per i politici di mestiere, anche di sinistra, non erano più di
moda e nella sala Brugnoli piena, se ne contarono pochissimi. La presidente
della Regione Lorenzetti, che in passato si era dichiarata amica personale di
Nemer Hammad oltre che di Arafat, si disse impegnata nell’altra ala del palazzo
regionale. Clara, ebrea, con una parentela israeliana e sionista, con ottimi
personali legami in Israele, non solo intervenne, ma seppe esprimere con
semplicità e intensità la sua partecipazione alle sofferenze dei palestinesi.
La sera, in una indimenticabile cena al Deco, ove da anfitrione faceva Maurizio
Mori, Clara seppe vincere con la sua umana simpatia, le diffidenze dei
palestinesi che accompagnavano Hammad. Finì con abbracci commoventi.
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