Uno
studio ricostruisce la storia travagliata di “Americana”,
l'antologia curata da Vittorini nel 1942.
Massimo Novelli
Vittorini fa
l’“Americana” tra flirt e censura fascista
È stata una delle imprese editoriali italiane più travagliate e straordinarie del Novecento: l’avventura di Americana, la leggendaria antologia di scrittori statunitensi che Elio Vittorini e l’editore Valentino Bompiani riuscirono a pubblicare nell’ottobre del 1942, in piena guerra mondiale e con gli Stati Uniti nemici, tra censure fasciste, tagli redazionali e svariate peripezie.
Fu davvero romanzesca la gestazione della raccolta che proponeva agli italiani, oltre ai grandi classici (da Washington Irving a Poe, Melville, Hawthorne, Twain, Jack London, Henry James, Dreiser), le pagine di narratori come Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, John Steinbeck, Sherwood Anderson, Erskine Caldwell, John Fante. Romanzesca al punto che, nelle vicende che vi si sono intrecciate, spunta anche una traccia dell’amore senza speranza che Cesare Pavese nutrì per la giovane allieva Fernanda Pivano.
Lo testimoniano le bozze della prima edizione dell’antologia di Vittorini, mai uscita per il divieto da parte del regime mussoliniano. L’autore de La luna e i falò la ebbe da Vittorini, la fece rilegare e la regalò alla Pivano. Vi scrisse una dedica un po’ ironica e amara: “A Fernanda con affetto quasi fraterno, Pavese 18 luglio ’42”.
A rintracciare e pubblicare la dedica di Pavese nelle bozze di Americana, custodita presso la Fondazione Benetton-Biblioteca Pivano, è stato Claudio Pavese, omonimo (senza parentele) dello scrittore di Santo Stefano Belbo. È una delle scoperte, come i frammenti poco noti di lettere di Cesare Pavese e di Elio Vittorini, che si possono fare grazie al suo saggio L’avventura di Americana. ElioVittorini e la storia travagliata di una mitica antologia. Il libro, che si avvale di preziose illustrazioni, è in uscita da Unicopli nella collana “Le quinte” diretta da Mauro Chiabrando.
Collezionista e studioso, Pavese ama definirsi un “archeologo dell’editoria”. E da archeologo appassionato ha ricercato, catalogato e comparato i vari momenti dell’avventura di Americana, che Cesare Pavese giudicò come “una storia letteraria vista da un poeta come storia della propria poetica”. Il lavoro di Vittorini legato all’antologia, racconta, “viene avviato nella primavera del ’40 e procede a forti ritmi anche perché l’obiettivo di Valentino Bompiani è quello di pubblicare il primo volume della nuova collana per le feste natalizie di quell’anno”.
Ma Alessandro Pavolini, ministro della Cultura popolare, lo fermò. Lo fece con una lettera del 7 gennaio 1941, in cui, tra le altre cose, affermava: “Rispondo con ritardo alla vostra del 30.11.’40… l’opera è assai pregevole per il criterio critico della scelta e dell’informazione e per tutta la presentazione. Resto però del mio parere, e cioè che l’uscita – in questo momento – dell’antologia americana non sia opportuna. Gli Stati Uniti sono potenzialmente nostri nemici; il loro Presidente ha tenuto contro il popolo italiano il noto atteggiamento. Non è il momento per usare cortesie all’America, nemmeno letterarie”.
Non occorre ricordare, scrive Claudio Pavese, “quanto l’America, a partire dagli anni ’30 e fino ai primi anni del dopoguerra, avesse rappresentato, per tutta una schiera di intellettuali e di liberi pensatori italiani, l’altrove, il luogo del mito e del sogno, la terra della grande speranza. O più in breve, usando le parole di Italo Calvino, ‘una terra d’utopia, un’allegoria sociale’”.
L’antologia dei
narratori americani poté vedere la luce solo nell’ottobre del ’42.
L’uscita fu resa possibile in quanto l’opera era stata
“rammendata” con l’introduzione affidata allo scrittore Emilio
Cecchi, accademico d’Italia e perciò gradito al regime fascista, e
soprattutto con l’eliminazione delle note critiche di Vittorini.
Pavese, a questo proposito, il 25 maggio del ’42 gli scrisse:
“Penso ti faccia piacere sentire che siamo tutti solidali con te
‘contro Cecchi’. La sua introduzione è canagliesca –
politicamente e criticamente”. La riga, chiosa Claudio Pavese, “fu
omessa nelle lettere pubblicate” da Einaudi.
Il Fatto – 14 ottobre
2018
Oggi su un banco di un mercatino ho trovato una copia Bompiani 1942 di Americana a cura di Elio Vittorini. Sono felice.
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