Peinture poeme (1938)
Al Grand Palais di
Parigi una mostra con 150 opere, visitabile fino al 4 febbraio 2019,
ripercorre l'attività di Joan Miró con un particolare riguardo
agli anni bui della guerra civile spagnola e poi del secondo
conflitto mondiale.
Anna Maria Merlo
Miró, quando la notte è oscura di
tragedia
«Questo è il colore del
mio sogno» è scritto sotto una macchia blu, in Peinture poème,
un’opera di Joan Miró del ‘25. Il blu del cielo mediterraneo,
che invade le« tele serene Bleu I II e III realizzate nel ’61, ma
che è ridotto a un segno di linee intrecciate nell’ultimo quadro
del grande trittico del ’74, l’ Espoir du condamné à mort,
dedicato all’esecuzione di un giovane catalano, ultimo giustiziato
dal regime franchista, non resiste agli anni della tragedia.
Il colore del sogno
diventa scuro in Oiseaux et insects del ’38, è travolto nelle
«pitture selvagge» realizzate durante le guerre vissute
dall’artista catalano, a cui il Grand Palais dedica (fino al 4
febbraio 2019) una mostra con 150 opere. Come affrontare la tragedia,
come reagire? In un periodo, come quello attuale, dove l’orizzonte
si sta caricando di nubi nere, la grande mostra di Miró a Parigi
invita a riflettere su questi grandi temi.
Oiseaux et insects (1938)
Colorato e poetico, l’universo di Joan Miró mostra uno sguardo generoso, aperto, sul mondo. In anni belligeranti, la grande guerra, quella civile di Spagna dal ’36 al ’39, poi la seconda guerra mondiale, la tragedia incombe. «Miró è probablmente segnato da 50 anni di storia – spiega il curatore Jean-Louis Prat, che ha conosciuto l’artista – questi avvenimenti considerevoli, l’interrogazione che ha a proposito degli esseri umani, su se stesso e sulla sua terra natale, hanno sempre animato il suo lavoro». Per Prat, con il colore del sogno, Miró invita a «condividere una speranza». Negli anni ’30, l’opera del pittore sente arrivare la tragedia e, nel ’35, un anno prima della guerra di Spagna, il dramma è annunciato nel ciclo delle «pitture selvagge», realizzate nella fattoria di Mont-roig a sud di Barcellona, popolate di mostri, con colori scuri, contrasti di colori violenti, tecniche più audaci, materiali di scarto.
Un modo per «assassinare
la pittura» come già aveva annunciato negli anni ’20. Con la
guerra civile, Miró si trasferisce a Parigi, le sue tele cercano il
reale, dipinge nature morte, paesaggi notturni che riflettono
l’angoscia. Il 26 aprile del ’37 Guernica è distrutta dai
bombardamenti tedeschi in appoggio a Franco. Nel ’37 si svolge a
Parigi l’Esposizione universale.
Nel Padiglione spagnolo, realizzato dall’architetto Josep Lluis Sert, Picasso espone Guernica. Di fronte, Miró realizza un affresco monumentale, El Segador (il falciatore), oggi scomparso, dove raffigura la rivolta contro il massacro, attraverso un contadino catalano e un pugno chiuso. Aveva anche realizzato un francobollo, per aiutare i repubblicani: «Aidez l’Espagne».
A Mont-roig nell’estate del ’36 aveva realizzato 27 pitture di formato identico su masonite, che sullo sfondo è come una materia bruciata, dei colori puri stesi con parsimonia su bianchi e neri, bitume, catrame, ghiaia, degli «esorcismi violenti, instintivi» al male, per Miró le sole risposte possibili di fronte alla tragedia.
Ua strada senza uscita,
anche nel suo percorso artistico. Nell’estate del ’39, Miro’ va
a vivere in Normandia, dove risiedono molti artisti e intellettuali.
In questo luogo ancora al riparo dalla guerra, comincia a dipingere
la serie delle Constellations, 23 piccole gouaches su carta, finite
nel ’41 in Catalogna, con creature ibride, intrecci di linee nere,
un’evasione poetica nell’universo, una calligrafia che evoca
l’altrove, un dialogo con sogni non realizzati, come se fosse
impossibile sfuggire alla tragedia del mondo.
«La gente capirà sempre meglio che aprivo porte su un altro avvenire, contro tutte le false idee, tutti i fantasmi», dirà più tardi. La tragedia irrompe nel trittico L’Espoir du condamné à mort del ’74, sull’ultimo condannato a morte del regime di Franco: «alcuni anni fa su una grande tela avevo dipinto un tratto, un piccolo tratto bianco su un altro, un tratto blu. E poi un giorno è venuto, nel momento in cui hanno garrotato questo povero ragazzo, Salvador Puig Antich. Sentivo che era questo, il giorno che è stato ucciso. Ho finito la tela. Senza sapere».
In un discorso all’università di Barcellona, nel 1979, sulla responsabilità civile dell’artista, Miró ha detto: «quando un artista parla in un contesto dove la libertà è difficile, deve trasformare ognuna delle sue opere in un rifiuto dei divieti, in una liberazione da tutte le oppressioni, i pregiudizi e tutti i falsi valori ufficiali».
Il manifesto – 9 ottobre 2018
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