Biblioteca "La Proletaria" Piombino 1956
Abituarsi fin da
bambini al libro come oggetto di uso quotidiano è fondamentale per
la crescita intellettuale. Uno studio australiano collega il numero
di volumi che si hanno in casa da ragazzi alle prestazioni da adulti.
Lo aveva già capito Don Milani che legava povertà culturale alla
marginalità sociale e alla sudditanza politica delle classi
lavoratrici. Lo avevano capito oltre un secolo fa i primi socialisti
che organizzavano biblioteche popolari nelle case del popolo e nelle
società di mutuo soccorso e esortavano in tutti i modi gli operai a leggere. Oggi, nel mondo di Facebook e
dell'ignoranza ostentata come una virtù, il libro è sempre più
considerato un oggetto inutile. Anche per questo i padroni dormono
sonni tranquilli.
Giuliano Aluffi
Bravo chi legge
Avere, da adolescenti, uno scaffale domestico ben fornito di libri dà una marcia in più nella vita: i ragazzi che hanno avuto almeno 80 libri in casa oggi hanno competenze linguistiche, matematiche e tecnologiche superiori alla media. Lo suggerisce uno studio, pubblicato su Social Science Research, che riguarda 160 mila adulti da 31 nazioni, con dati raccolti dal Programme for the International Assessment of Adult Competencies dell’Ocse.
«Nel 2010 avevamo visto, con dati da 27 Paesi, che crescere in una casa fornita di libri aiuta i giovani ad avere tre anni in più di studi rispetto a chi cresce senza libri, indipendentemente dalla cultura e classe sociale dei genitori. In un secondo studio abbiamo visto che, indipendentemente dall’istruzione scolastica, chi cresce in un ambiente domestico ricco di libri, avrà un lavoro più remunerato» spiega la prima autrice dello studio, Joanna Sikora, sociologa dell’Australian National University di Canberra. «Rimaneva da verificare l’effetto del crescere tra i libri sulle competenze in età adulta: l’abbiamo trovato, con risultati del tutto simili tra i vari Paesi».
Lo scaffale domestico, secondo lo studio, non aiuta soltanto ad acquisire abilità cognitive aggiuntive rispetto a quelle fornite dalla scuola, ma anche a sviluppare una passione che dura per tutta la vita. «Non è importante soltanto l’atto del leggere, ma anche apprezzare i libri come oggetti, discuterne in famiglia o con gli amici, e soprattutto identificarsi nella lettura: pensare a sé stessi come persone che amano i libri». È una sorta di “imprinting” con i libri, che deve avvenire preferibilmente nel periodo della vita in cui si decide chi si è e chi si vuole essere.
«Sappiamo che chi ha
molti libri in casa avrà maggiori probabilità di leggere saggi, in
particolare di divulgazione scientifica, narrativa e poesia» spiega
Sikora. «Ma in realtà qualsiasi tipo di coinvolgimento con il libro
è utile per aumentare il proprio vocabolario e le proprie abilità
cognitive. C’è anche un aspetto di scelte future legate
all’identità personale: se ti vedi come un amante dei libri, ciò
ti porterà a preferire, nella vita, certe attività rispetto ad
altre: nel tuo stile di vita includerai il piacere e lo stimolo
intellettuale della lettura».
Anche al di là della
formazione istituzionale: «I dati raccolti ci dicono che chi non è
riuscito ad andare all’università, se ha avuto una quantità
sufficiente di libri in casa a sedici anni, da adulto non sarà meno
competente di un laureato che ha avuto pochi libri attorno a sé da
ragazzo». Lo studio riguarda chi è stato adolescente tra il 1950 e
il 1995, quando il libro esisteva in sola forma cartacea.
Avremo lo stesso effetto
positivo anche per generazioni di nativi digitali «È vero che oggi
gli adolescenti consultano una pluralità di media diversi, con una
preferenza per lo smartphone», ammette la sociologa australiana, «ma
credo che continuerà a esserci una differenza di competenze e di
opportunità tra chi cresce in mezzo a libri cartacei e gli altri».
La Repubblica – 16
ottobre 2018
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