07 ottobre 2018

IL SOCIALISMO DI ALDO CAPITINI

Aldo Capitini con Franco Alasia e Danilo Dolci nel "Borgo di Dio" a Trappeto


Per il cinquantenario della morte di Aldo Capitini su “micropolis” di settembre ho curato la pubblicazione di due lettere inedite del filosofo e uomo politico perugino dirette a Raniero Panzieri, a quel tempo responsabile della Sezione Stampa e Propaganda del Psi, che al tempo comprendeva anche la Cultura. Le minute delle due lettere autografe sono conservate nel Fondo Capitini dell'Archivio di Stato e mi sono state procurate dalla dottoressa Anna Alberti, che torno a ringraziare e che ha per suo pubblicato altri inediti capitiniani sul numero speciale de "Il Ponte" appena uscito.
Nel giorno di una Marcia della Pace Perugia-Assisi che vuole ispirarsi a quella che Capitini organizzò nel 1961, “posto” qui la prima delle due lettere, risposta negativa a un invito di Panzieri a partecipare, a Bologna, a un convegno sulla libertà della cultura.
In verità Capitini non aveva ancora compreso che l'iniziativa sviluppata da Panzieri tra il 1954 e il 1955 mirava a un progressivo sganciamento del PSI dal “frontismo” quarantottesco e comportava, per il solo fatto di essere organizzata, una presa di distanze rispetto all'appiattimento (del resto mai totale) sulle posizioni moderatamente zdanoviste del Pci. In verità nel Pci non piacquero affatto le campagne sviluppate da Panzieri nel mondo della cultura tra l'autunno del 1954 e la primavera del 1955 e che si concretarono in tre convegni di un certo successo: il primo sul cinema italiano il 4 e il 5 settembre 1954 a Venezia durante la Mostra, il secondo – quello cui aveva invitato Capitini – sulla libertà della cultura a Bologna fra il 10 e il 13 dicembre, il terzo a Matera nel febbraio del 1955 su Rocco Scotellaro e la questione meridionale. In nessuno dei tre convegni vi fu una forte partecipazione comunista e la stampa comunista diede ad essi poco risalto, mentre vi parteciparono e aderirono esponenti dell'area azionista e liberalsocialista che nelle elezioni del 1953 avevano combattuto con successo la nuova legge elettorale voluta da De Gasperi e Scelba e ribattezzata legge-truffa. 
Quella di Panzieri era una articolazione sui temi della cultura della linea dell'alternativa socialista, proclamata al Congresso di Milano del 1953 e su di essa provvisoriamente convergevano intellettuali di impianto culturale assai diverso, taluni come Roberto Guiducci e Alessandro Pizzorno tentati da un riformismo dall'alto di tipo tecnocratico, altri come Gianni Bosio e Franco Fortini  alla ricerca di un socialismo basista e libertario. Panzieri era di certo più vicino ai secondi, ma lasciava spazio a tutti, anche all'esterno del partito, e nel 1955, nelle elezioni regionali della Sicilia, che coordinò in quanto segretario regionale, aprì le liste socialiste al movimento Unità Popolare di Ferruccio Parri e Piero Calamandrei. Dopo il buon risultato favorì la precaria apertura a sinistra della Giunta regionale guidata da Giuseppe Alessi, dopo una trattativa con l'esponente della sinistra democristiana.
Nella sua lettera Capitini non può tener conto di questo travaglioto percorso che era appena agli inizi e rievoca soprattutto i rapporti difficili con il Partito Socialista, esprimendo un grande rammarico. In particolare rammenta l'appoggio esplicito che egli aveva dato in più occasioni al partito e ne denuncia la cecità nel non aver sostenuto e alimentato esperienze dal basso come i COS (Centri di Orientamento Sociale), che in Umbria e in Toscana avevano costituito l'impegno politico prevalente suo e dei suoi amici più cari. Insieme lamenta l'economicismo che prevale tra i socialisti, la sottovalutazione della cultura e dell'educazione come strumenti di emancipazione e di liberazione. Prende infine con nettezza le distanze dall'URSS e dai paesi cosiddetti socialisti e chiedendo ai socialisti una scelta immediata e senza incertezze a favore della libertà di espressione e di critica. Insieme egli rifiuta una qualsiasi assimilazione agli occidentalisti filocapitalisti. La parte più interessante della lettera a me pare quella finale, in cui chiarisce i caratteri del suo liberalsocialismo, concepito non come mediazione ma come sinergia, come potenziamento ed arricchimento reciproco tra socialismo e liberalismo. 
Un documento importante. (S.L.L.)

Aldo Capitini sulla torre campanaria di Perugia
Perugia, 17 settembre 1954
Caro Panzieri,
Siccome la mia lettera a Lei, in risposta al cortese invito a Bologna, non è rimasta cosa privata, ma ha servito, come mi è stato riferito, per un annuncio di “non adesione di Capitini” (e questo non è niente di male), vorrei chiarir meglio quello che ho buttato giù alla svelta per non lasciare il Suo invito senza essermi fatto vivo. Mi dispiacerebbe molto che ci fosse un equivoco.

1) Lei probabilmente sa che dopo la liberazione, pur restando “indipendente di sinistra” per le ragioni che ho esposto anche in un libro di Einaudi e che si riassumono in un programma di specifico lavoro per un rinnovamento religioso, per la nonviolenza, per un rinnovamento radicale delle strutture movendo dal basso e non attraverso il potere, ho più volte contribuito all’opera politica del P.S.I. sia nella campagna elettorale (scrissi anche il programma amministrativo!), sia nella costituzione della sezione socialista perugina immediatamente dopo la liberazione, sia nella risposta data a molti amici della lotta clandestina che se volessero fare del lavoro politico, si iscrivessero al P.S.I.

2) Subito dopo la liberazione ho più volte insistito che il P.S.I. e i simpatizzanti facessero un lavoro culturale, mirando anche al Ministero dell’Istruzione pubblica, sebbene da amici del P.S.I. e del P.d’A. mi fosse risposto che quello non era un Ministero chiave!

3) I C.O.S. a cui ho atteso per due anni dopo la Liberazione sono stati strumento di socialismo, tanto è vero che alle prime elezioni amministrative di Perugia i socialisti riuscirono primi, poi venivano i comunisti, e ultimi i democristiani. È stato errore della sezione e del Partito stesso di non avermi aiutato nei C.O.S. (che erano periodiche riunioni bisettimanali aperte a tutti i problemi, dagli amministrativi ai politici e culturali), che moltiplicati per ognuna delle 22.000 parrocchie potevano essere l’unica rivoluzione possibile attualmente in Italia.

4) Ora avete convocato il convegno di Bologna. Bene. Però parlate di libertà. Ed io (che non ho aderito all’Associazione per la libertà della cultura che già esiste) ho dovuto riflettere sul da fare. Questa volta non si trattava di una campagna politica o sindacale, ma di “libertà”. E ho pensato a quei poveri diavoli che in tanti Stati che si dicono socialisti, e i cui metodi il P.S.I. esalta senza riserve, non hanno la libertà di informazione e di critica. Ho pensato prima a loro che alla libertà dei professori e degli scrittori. Anche questa è fondamentale, ma mi è parso che il caso dei proletari o del popolo fosse anche più bruciante. Non posso ammettere, e per ragioni religiose (sono un libero religioso della realtà di tutti, e per me contano i tutti), che i lavoratori, il popolo, tutte le persone, siano private della libertà di sapere come vanno le cose, di esaminare i fatti e le idee nel mondo, di eseguire una libera ricerca con gli strumenti che vogliano. Questo non c’è in certi Stati che pur vogliono liberare il popolo, c’è un gruppo o classe o casta che lo impedisce. Non accetto che si sospenda tale libertà di informazione e di critica nemmeno per un giorno; tanto peggio se ciò avviene per anni e decenni. Quella pedagogia propagandistica che non ammette libera informazione, non crea che soldati o sacrestani.

5) Per questo (e le mie idee non sono di ora, ma sono da moltissimo tempo così) io parlavo durante il lavoro clandestino di liberalsocialismo, che non era per me moderatismo e annacquamento reciproco dei due principi, ma sollecitazione e potenziamento reciproco per spingersi al massimo: massimo socialismo e massima libertà. Per questo non entrai nel Partito d’Azione, pur essendo stato uno dei promotori del Movimento che lo generò, perché mi parve che il Partito fosse di un tipo di riformismo radicale, e non di liberalsocialismo rivoluzionario nel senso migliore.

6) Naturalmente il mio discorso non autorizza nessuno a pensare che io sia convertito all’occidentalismo, contro cui lotto, o al “minor male” che sarebbe la civiltà capitalistica, che anche essa toglie la libertà o possibilità di informazione e di critica a tanti. Sono avversissimo ad essa, e spero sempre che si formi, particolarmente nei socialisti (gli amici a me più vicini tra quanti operano per il potere) una coscienza precisa del rifiuto della sospensione della libertà di tutti per qualsiasi ragione, mettendo pure da parte le vecchie massime del fine e dei mezzi. Il socialismo per cui lavoro è quello che porta avanti, egualmente, una riforma religiosa, la socializzazione economica e la libertà di informazione e di critica.

Non sto a dir altro in proposito, perché la lettera è già lunga e non vorrei aver l’aria di suggerire, so-spingere o raccontare il proprio lavoro. L’ho fatto per un chiarimento.

Con cordiali saluti,
Aldo Capitini

Testo ropreso da  "micropolis", settembre 2018

Nessun commento:

Posta un commento