Aldo Capitini con Franco Alasia e Danilo Dolci nel "Borgo di Dio" a Trappeto
Per il
cinquantenario
della morte di Aldo Capitini su “micropolis” di settembre ho curato la
pubblicazione di due lettere inedite del filosofo e uomo politico
perugino
dirette a Raniero Panzieri, a quel tempo responsabile della Sezione
Stampa e Propaganda del Psi, che al tempo comprendeva anche la
Cultura. Le minute delle due lettere autografe sono conservate nel
Fondo Capitini dell'Archivio di Stato e mi sono state procurate dalla
dottoressa Anna Alberti, che torno a ringraziare e che ha per suo
pubblicato altri inediti capitiniani sul numero speciale de "Il Ponte"
appena uscito.
Nel giorno di una Marcia
della Pace Perugia-Assisi che vuole ispirarsi a quella che Capitini
organizzò nel 1961, “posto” qui la prima delle due lettere,
risposta negativa a un invito di Panzieri a partecipare, a Bologna, a un convegno sulla libertà della cultura.
In verità Capitini non aveva ancora compreso che l'iniziativa sviluppata da Panzieri tra il 1954 e il
1955 mirava a un progressivo sganciamento del PSI dal “frontismo”
quarantottesco e comportava, per il solo fatto di essere organizzata,
una presa di distanze rispetto all'appiattimento (del resto mai
totale) sulle posizioni moderatamente zdanoviste del Pci. In verità
nel Pci non piacquero affatto le campagne sviluppate da Panzieri nel
mondo della cultura tra l'autunno del 1954 e la primavera del 1955 e
che si concretarono in tre convegni di un certo successo:
il primo sul cinema italiano il 4 e il 5 settembre 1954 a Venezia
durante la Mostra, il secondo – quello cui aveva invitato Capitini
– sulla libertà della cultura a Bologna fra il 10 e il 13 dicembre, il terzo a Matera nel febbraio del
1955 su Rocco Scotellaro e la questione meridionale. In nessuno dei
tre convegni vi fu una forte partecipazione comunista e la stampa
comunista diede ad essi poco risalto, mentre vi parteciparono
e aderirono esponenti dell'area azionista e liberalsocialista che nelle
elezioni del 1953 avevano combattuto con successo la nuova legge elettorale
voluta da De Gasperi e Scelba e ribattezzata legge-truffa.
Quella di Panzieri era una articolazione sui temi della cultura della
linea dell'alternativa socialista, proclamata al Congresso di Milano
del 1953 e su di essa provvisoriamente convergevano intellettuali di
impianto culturale assai diverso, taluni come Roberto Guiducci e Alessandro Pizzorno
tentati da un riformismo dall'alto di tipo tecnocratico, altri come Gianni Bosio e Franco Fortini alla
ricerca di un socialismo basista e libertario. Panzieri era di certo più vicino ai secondi, ma lasciava
spazio a tutti, anche all'esterno del partito, e nel 1955, nelle
elezioni regionali della Sicilia, che coordinò in quanto
segretario regionale, aprì le liste socialiste al movimento Unità
Popolare di Ferruccio Parri e Piero Calamandrei. Dopo il buon
risultato favorì la precaria apertura a sinistra della Giunta
regionale guidata da Giuseppe Alessi, dopo una trattativa con l'esponente della sinistra democristiana.
Nella
sua lettera
Capitini non può tener conto di questo travaglioto percorso che era
appena agli inizi e rievoca soprattutto i
rapporti difficili con il Partito Socialista,
esprimendo un grande rammarico. In particolare rammenta l'appoggio
esplicito che egli aveva dato in più occasioni al partito e ne denuncia
la cecità nel non
aver sostenuto e alimentato esperienze dal basso come i COS (Centri
di Orientamento Sociale), che in Umbria e in Toscana avevano
costituito l'impegno politico prevalente suo e dei suoi amici più cari.
Insieme lamenta l'economicismo che prevale tra i socialisti, la
sottovalutazione della cultura e
dell'educazione come strumenti di emancipazione e di liberazione. Prende
infine con nettezza le distanze dall'URSS e dai paesi cosiddetti
socialisti e chiedendo ai socialisti una scelta immediata e senza
incertezze a favore della libertà di espressione e di critica. Insieme
egli rifiuta una qualsiasi assimilazione agli occidentalisti
filocapitalisti. La parte più
interessante della lettera a me pare quella finale, in cui chiarisce i
caratteri del suo liberalsocialismo, concepito non come mediazione ma
come sinergia, come potenziamento ed arricchimento reciproco tra
socialismo e liberalismo.
Un documento importante. (S.L.L.)
Aldo Capitini sulla torre campanaria di Perugia |
Perugia, 17 settembre
1954
Caro Panzieri,
Siccome la mia lettera a
Lei, in risposta al cortese invito a Bologna, non è rimasta cosa
privata, ma ha servito, come mi è stato riferito, per un annuncio di
“non adesione di Capitini” (e questo non è niente di male),
vorrei chiarir meglio quello che ho buttato giù alla svelta per non
lasciare il Suo invito senza essermi fatto vivo. Mi dispiacerebbe
molto che ci fosse un equivoco.
1) Lei probabilmente sa
che dopo la liberazione, pur restando “indipendente di sinistra”
per le ragioni che ho esposto anche in un libro di Einaudi e che si
riassumono in un programma di specifico lavoro per un rinnovamento
religioso, per la nonviolenza, per un rinnovamento radicale delle
strutture movendo dal basso e non attraverso il potere, ho più volte
contribuito all’opera politica del P.S.I. sia nella campagna
elettorale (scrissi anche il programma amministrativo!), sia nella
costituzione della sezione socialista perugina immediatamente dopo la
liberazione, sia nella risposta data a molti amici della lotta
clandestina che se volessero fare del lavoro politico, si
iscrivessero al P.S.I.
2) Subito dopo la
liberazione ho più volte insistito che il P.S.I. e i simpatizzanti
facessero un lavoro culturale, mirando anche al Ministero
dell’Istruzione pubblica, sebbene da amici del P.S.I. e del P.d’A.
mi fosse risposto che quello non era un Ministero chiave!
3) I C.O.S. a cui ho
atteso per due anni dopo la Liberazione sono stati strumento di
socialismo, tanto è vero che alle prime elezioni amministrative di
Perugia i socialisti riuscirono primi, poi venivano i comunisti, e
ultimi i democristiani. È stato errore della sezione e del Partito
stesso di non avermi aiutato nei C.O.S. (che erano periodiche
riunioni bisettimanali aperte a tutti i problemi, dagli
amministrativi ai politici e culturali), che moltiplicati per ognuna
delle 22.000 parrocchie potevano essere l’unica rivoluzione
possibile attualmente in Italia.
4) Ora avete convocato il
convegno di Bologna. Bene. Però parlate di libertà. Ed io (che non
ho aderito all’Associazione per la libertà della cultura che già
esiste) ho dovuto riflettere sul da fare. Questa volta non si
trattava di una campagna politica o sindacale, ma di “libertà”.
E ho pensato a quei poveri diavoli che in tanti Stati che si dicono
socialisti, e i cui metodi il P.S.I. esalta senza riserve, non hanno
la libertà di informazione e di critica. Ho pensato prima a loro che
alla libertà dei professori e degli scrittori. Anche questa è
fondamentale, ma mi è parso che il caso dei proletari o del popolo
fosse anche più bruciante. Non posso ammettere, e per ragioni
religiose (sono un libero religioso della realtà di tutti, e per me
contano i tutti), che i lavoratori, il popolo, tutte le persone,
siano private della libertà di sapere come vanno le cose, di
esaminare i fatti e le idee nel mondo, di eseguire una libera ricerca
con gli strumenti che vogliano. Questo non c’è in certi Stati che
pur vogliono liberare il popolo, c’è un gruppo o classe o casta
che lo impedisce. Non accetto che si sospenda tale libertà di
informazione e di critica nemmeno per un giorno; tanto peggio se ciò
avviene per anni e decenni. Quella pedagogia propagandistica che non
ammette libera informazione, non crea che soldati o sacrestani.
5) Per questo (e le mie
idee non sono di ora, ma sono da moltissimo tempo così) io parlavo
durante il lavoro clandestino di liberalsocialismo, che non era per
me moderatismo e annacquamento reciproco dei due principi, ma
sollecitazione e potenziamento reciproco per spingersi al massimo:
massimo socialismo e massima libertà. Per questo non entrai nel
Partito d’Azione, pur essendo stato uno dei promotori del Movimento
che lo generò, perché mi parve che il Partito fosse di un tipo di
riformismo radicale, e non di liberalsocialismo rivoluzionario nel
senso migliore.
6) Naturalmente il mio
discorso non autorizza nessuno a pensare che io sia convertito
all’occidentalismo, contro cui lotto, o al “minor male” che
sarebbe la civiltà capitalistica, che anche essa toglie la libertà
o possibilità di informazione e di critica a tanti. Sono
avversissimo ad essa, e spero sempre che si formi, particolarmente
nei socialisti (gli amici a me più vicini tra quanti operano per il
potere) una coscienza precisa del rifiuto della sospensione della
libertà di tutti per qualsiasi ragione, mettendo pure da parte le
vecchie massime del fine e dei mezzi. Il socialismo per cui lavoro è
quello che porta avanti, egualmente, una riforma religiosa, la
socializzazione economica e la libertà di informazione e di critica.
Non sto a dir altro in
proposito, perché la lettera è già lunga e non vorrei aver l’aria
di suggerire, so-spingere o raccontare il proprio lavoro. L’ho
fatto per un chiarimento.
Con cordiali saluti,
Aldo Capitini
Testo ropreso da "micropolis", settembre 2018
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