1984, Mircea Eliade a Firenze. È stanco l'esploratore del mito
Enrico Filippini
FIRENZE
Nella sala affollata
dell' Istituto Stensen, un'apparizione di Mircea Eliade. Non una
lezione, non una conferenza, non un vero dibattito, ma
un'apparizione. Per chi ha letto i suoi vecchi libri sullo yoga, o le
sue ricerche sulle credenze religiose, o il grande Trattato di
storia delle religioni del 1948, o i suoi saggi sullo
sciamanismo, sul sacro e il profano, sull'eterno ritorno, o il suo
diario, che in italiano s'intitola stranamente Giornale, è
una grande emozione vedere lì, sopra un corpo esile ed asciutto,
quella grande fronte che sovrasta una faccia dai tratti molto netti,
scavati, tracciati con fermezza, stretta da una corta barba bianca
che somiglia molto a quella di Sigmund Freud. È la faccia che ci si
aspetta da un instancabile esploratore del Sacro.
Quando è nato? A
Bucarest, nel 1907. I suoi primi articoli, che naturalmente non
conosco, risalgono al 1920, a quando aveva tredici anni. Intanto,
adesso, si è messo a parlare di San Francesco. E lì per lì non si
capisce bene perché, visto che il tema che ha proposto per questa
"conversazione" col pubblico è L' esperienza religiosa
e il Rinascimento fiorentino. Dice che San Francesco è stato uno
dei pochi santi dotato del senso dello humour, perché in lui la
teologia "esatta" si faceva esperienza personale. Poi si
capisce: parla di San Francesco perché secondo lui - e del resto è
una tesi assai diffusa - il Rinascimento comincia con Gioacchino da
Fiore e poi, appunto, col santo di Assisi. Il Rinascimento è
iscritto nella sua prima formazione, che qualche anno fa ha evocato
in un bel libro-intervista in collaborazione con C. H. Rocquet, La
prova del labirinto, pubblicato in italiano dalla Jaca
Book.
Interessi scientifici e
immaginazione letteraria: "L'immaginazione letteraria che è
anche l'immaginazione mitica e che scopre le grandi strutture della
metafisica. Notturno, diurno: tutti e due... La coincidentia
oppositorum. Il grande insieme. Lo Yin e lo Yang...". Ecco,
la coincidenza degli opposti, la grande "scoperta"
quattrocentesca di Niccolò Cusano; il concetto decisivo, l' idea di
una grande unificazione, che ha guidato cinquant'anni spesi alla
ricerca di un'unica grande impalcatura mitica soggiacente alla
cultura e alla civiltà, dal Portogallo alla Cina...
Il Rinascimento è una
scoperta romana e fiorentina, risalente al tempo dei viaggi
universitari di Eliade in Italia: "avevo progressivamente
scoperto l'orientalismo, l'alchimia, la storia delle religioni. Ho
letto per caso Frazer e Max Muller e, poiché avevo imparato l'
italiano (per leggere Papini), ho scoperto gli orientalisti e gli
storici delle religioni italiani, Pettazzoni, Buonaiuti, Tucci, altri
ancora...". Ora racconta: "Da giovane, in Italia, scoprii
non solo il genio creatore del Rinascimento, che per me all'inizio s'
identificò con l'opera di Marsilio Ficino, ma anche il suo
'messaggio'. Si trattava non soltanto di riscoprire la vera Europa
mediterranea, la Grecia, ma anche di operare un'apertura verso
l'Egitto, la Persia, l'India. Questa era la vera lezione di Pico
della Mirandola e della sua scoperta della Kabbala". Omette di
dire, forse perché è troppo noto, che il Ficino eseguì per Cosimo
dei Medici le prime traduzioni di Platone e che più tardi fu un
convinto sostenitore dell'unità tra religione e filosofia.
In tutta l'opera di
Eliade circola indubbiamente un certo genere di platonismo e la
profonda convinzione di un'"unità spirituale" dei grandi
miti, dei simboli e delle immagini. Continua: "Il Rinascimento
aveva operato un'apertura, un superamento dei limiti della cultura
occidentale. Per questo, a Roma, nello studio di Giuseppe Tucci,
decisi di studiare il sanscrito: per avere accesso all'immaginazione
mitico-religiosa orientale...". Infatti, nel 1928, il ventenne
Mircea partì per Calcutta, dove lavorò a lungo con Surendranath
Dasgupta, e poi, allo scopo di imparare le tecniche yoga, per
l'Himalaya, dove abitò a lungo in una grotta. A quella grotta lo
aveva portato il Rinascimento...
Continua: "Molto più
tardi, verso il 1940, lessi un libro allora molto noto, La
Renaissance orientale, che trattava della scoperta dell' Asia da
parte degli studiosi europei a partire dal 1800. Ora, bisogna
ricordare che Schopenhauer, quando ebbe finito di leggere in una
traduzione illeggibile le Upanishad, uno dei grandi libri
della tradizione indiana, annunciò che con la scoperta dell'Oriente
ci sarebbe stato in Europa un secondo Rinascimento. Ma quella
profezia non si avverò. Nei decenni successivi si capì il
sanscrito, si decifrarono i geroglifici, eccetera, ma la tragedia fu
che non ci furono dei filosofi come quelli che leggevano Platone
tradotto dal Ficino per il suo valore filosofico e spirituale, ma
soltanto dei filologi, dei tecnici della parola. Solo oggi, per
fortuna, l'atmosfera sta cambiando. Abbiamo sempre più artisti e
filosofi che si interessano dell'Asia".
Poi insiste sul concetto
di magia, qualche cosa di diverso e di più vasto di ciò che
per magia comunemente s' intende. Per Pico, per Ficino, per Cusano,
la "magia" è un' "energia spirituale" che è un
"modo di essere nel mondo" e che dischiude un universo
simbolico più vasto di quello definito dalla filosofia platonica ed
aristotelica. E in fondo, con questi due concetti, quello di una
profonda unità dei diversi mondi simbolici, e quello di una storia
delle religioni filologicamente accurata (le fonti di Eliade sono
sempre molto sicure e minuziosamente accertate) ma anche intensamente
vissuta, è detto tutto: è detto perché Eliade ha potuto scrivere
un numero sterminato di studi scientifici e insieme molti romanzi, è
detto perché è uno storico delle religioni così diverso da altri,
per esempio dal suo grande amico Georges Dumèzil. È detto l' ethos
e il pathos della sua ricerca.
Poi c' è la
"conversazione", ci sono le domande. Per esempio: il primo
Rinascimento non era stato anche un tentativo di vedere il
Cristianesimo come un arricchimento di tutte le filosofie precedenti?
Oppure: Marsilio Ficino cercò di conciliare il Cristianesimo col
paganesimo; dunque il predecessore di Cristo sarebbe Socrate? Oppure:
il neoplatonismo ficiniano non era una novità; già la patristica
(per esempio il sistema agostiniano) era neoplatonica; dunque, in che
modo il neplatonismo rinascimentale muta la struttura di fondo del
Cristianesimo?... Ma le risposte sono un po' generiche e ripetitive.
Alla domanda precisa di uno studente: quali sono le fonti
dell'interpretazione della mitologia da parte degli alchimisti
rinascimentali?, non c' è nessuna risposta. Il vecchio esploratore
di miti non se la sente di inoltrarsi in discussioni tecniche e
filologiche. Forse il vecchio viaggiatore è soddisfatto della meta
raggiunta.
"la Repubblica", 22 giugno 1984