09 novembre 2015

CRIMINE ORGANIZZATO E STATO



Non si tratta del solito libro sulla mafia infarcito di luoghi comuni. Questo è uno studio serio dello storico Francesco Benigno che mostra, in modo documentato,  le radici ottocentesche di mafia e camorra e il loro intreccio con i poteri dello Stato in funzione di controllo sociale.

C'era una volta in Italia la mafia prima della mafia
di Attilio Bolzoni 

Per comprendere sino in fondo le nostre mafie non basta tornare indietro di un secolo e mezzo e, anno dopo anno o patto o dopo patto, rintracciare le loro radici. Si può anche partire da prima e riscriverla sottosopra la storia dell'intreccio fra Stato e criminalità, prima di Garibaldi e dell'Unità, prima di quando siamo sempre stati abituati a fare.

L'Italia si stava faticosamente formando e già esistevano quelle che, cambiando di volta in volta vestito, si sarebbero trascinate fino a oggi: le "classi pericolose". Lo storico Francesco Benigno si avventura in un'esplorazione fra gli avi dei boss e dei loro complici in un saggio, La mala setta, alle origini di mafia e camorra 1859-1878 , che non solo ci obbliga «a riunire ciò che è stato artificialmente separato, vale a dire l'indagine sulla camorra a quella sulla mafia», ma — secondo l'autore — tutto ciò che è accaduto in Sicilia o in Campania ancora prima del 1861, «non può essere studiato indipendentemente da ciò che succedeva nel resto del Paese».
Già dalle prime pagine, rileggendo attentamente le pratiche poliziesche e giudiziarie del tempo, ci si accorge che il potere ha sempre usato i suoi sgherri contro ribelli e disubbidienti, "alta polizia" e "intendenti" in epoca borbonica "co-gestivano" l'ordine pubblico utilizzando "soggetti pericolosi" per salvaguardare l'integrità del regime. Così pure in epoca liberale, durante il fascismo e anche dopo. Ce l'avete presente Catania o Palermo fra il 1960 e il 1970? Forse credete che prefetti e questori si affidassero solo alle forze di polizia ufficiali per "garantire" la sicurezza nelle loro città?
Scrive Benigno: «Lo sviluppo del crimine organizzato e la crescente popolarità di mafia e camorra considerate alla stregua di sette segrete, è strettamente legato alla lotta dello Stato contro gli eversori, repubblicani prima e socialisti internazionali poi».

L'indagine dell'autore della Mala setta — palermitano che insegna Metodologia della ricerca storica all'Università di Teramo — viene sviluppata girovagando anche per l'Europa settecentesca e ottocentesca, analizzando sistemi di spionaggio, infiltrazione e provocazione delle varie polizie politiche ai danni di gruppi di oppositori o più in generale della pubblica opinione, destabilizzazione e disinformazione.

Un po' come è avvenuto in Italia anche nella stagione del terrorismo nero e rosso. E in quella più recente delle mafie. Poi si torna inevitabilmente dalle solite parti, Napoli e Palermo, camorra e mafia, "accoltellatori", "pugnalatori", miti e leggende, Beati Paoli e garibaldini. Avvalendosi di fonti sbirresche e atti governativi (e seguendo un filo sostenuto da preziosi riferimenti letterari), il libro di Benigno affronta in modo sicuramente inedito la questione del crimine organizzato nella seconda metà del XIX secolo per approdare, naturalmente, quasi alla cronaca. Nella nostra società i criminali non rappresentano "un popolo a parte" sempre uguale a se stesso, non ci sono loro e — divisi, lontani — ci siamo noi. E soprattutto quelle "classi pericolose", sempre servono al potere.

La repubblica – 31 ottobre 2015

Francesco Benigno
La Mala setta, alle origini di mafia e camorra 1859-1878
Einaudi, 2015
35 euro



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