Non si tratta del solito libro sulla mafia infarcito di luoghi comuni. Questo è uno studio serio dello storico Francesco
Benigno che mostra, in modo documentato, le radici ottocentesche di mafia e camorra e il loro intreccio con i poteri dello Stato in funzione
di controllo sociale.
di Attilio Bolzoni
Per comprendere sino in
fondo le nostre mafie non basta tornare indietro di un secolo e mezzo
e, anno dopo anno o patto o dopo patto, rintracciare le loro radici.
Si può anche partire da prima e riscriverla sottosopra la storia
dell'intreccio fra Stato e criminalità, prima di Garibaldi e
dell'Unità, prima di quando siamo sempre stati abituati a fare.
L'Italia si stava
faticosamente formando e già esistevano quelle che, cambiando di
volta in volta vestito, si sarebbero trascinate fino a oggi: le
"classi pericolose". Lo storico Francesco Benigno si
avventura in un'esplorazione fra gli avi dei boss e dei loro complici
in un saggio, La mala setta, alle origini di mafia e camorra
1859-1878 , che non solo ci obbliga «a riunire ciò che è stato
artificialmente separato, vale a dire l'indagine sulla camorra a
quella sulla mafia», ma — secondo l'autore — tutto ciò che è
accaduto in Sicilia o in Campania ancora prima del 1861, «non può
essere studiato indipendentemente da ciò che succedeva nel resto del
Paese».
Già dalle prime pagine,
rileggendo attentamente le pratiche poliziesche e giudiziarie del
tempo, ci si accorge che il potere ha sempre usato i suoi sgherri
contro ribelli e disubbidienti, "alta polizia" e
"intendenti" in epoca borbonica "co-gestivano"
l'ordine pubblico utilizzando "soggetti pericolosi" per
salvaguardare l'integrità del regime. Così pure in epoca liberale,
durante il fascismo e anche dopo. Ce l'avete presente Catania o
Palermo fra il 1960 e il 1970? Forse credete che prefetti e questori
si affidassero solo alle forze di polizia ufficiali per "garantire"
la sicurezza nelle loro città?
Scrive Benigno: «Lo
sviluppo del crimine organizzato e la crescente popolarità di mafia
e camorra considerate alla stregua di sette segrete, è strettamente
legato alla lotta dello Stato contro gli eversori, repubblicani prima
e socialisti internazionali poi».
L'indagine dell'autore
della Mala setta — palermitano che insegna Metodologia della
ricerca storica all'Università di Teramo — viene sviluppata
girovagando anche per l'Europa settecentesca e ottocentesca,
analizzando sistemi di spionaggio, infiltrazione e provocazione delle
varie polizie politiche ai danni di gruppi di oppositori o più in
generale della pubblica opinione, destabilizzazione e
disinformazione.
Un po' come è avvenuto
in Italia anche nella stagione del terrorismo nero e rosso. E in
quella più recente delle mafie. Poi si torna inevitabilmente dalle
solite parti, Napoli e Palermo, camorra e mafia, "accoltellatori",
"pugnalatori", miti e leggende, Beati Paoli e garibaldini.
Avvalendosi di fonti sbirresche e atti governativi (e seguendo un
filo sostenuto da preziosi riferimenti letterari), il libro di
Benigno affronta in modo sicuramente inedito la questione del crimine
organizzato nella seconda metà del XIX secolo per approdare,
naturalmente, quasi alla cronaca. Nella nostra società i criminali
non rappresentano "un popolo a parte" sempre uguale a se
stesso, non ci sono loro e — divisi, lontani — ci siamo noi. E
soprattutto quelle "classi pericolose", sempre servono al
potere.
La repubblica – 31
ottobre 2015
Francesco Benigno
La Mala setta, alle
origini di mafia e camorra 1859-1878
Einaudi, 2015
35 euro
Nessun commento:
Posta un commento