A. Glucksman e J. P. Sartre
Dallo
stalinismo all'atlantismo, passando per il maoismo. Il percorso di
André Glucksman descrive bene l'ascesa e poi il declino di una
sinistra incapace di trovare una prospettiva seria di cambiamento nel ricco Occidente.
Anna Maria Merlo
André Glucksmann,
l’opinion maker lanciato contro le miserie del mondo
A volte il caso offre dei
simboli: André Glucksmann, filosofo e militante
dell’anti-totalitarismo, è morto a 78 anni nella notte
del 9 novembre, 77 anni dopo la Notte dei Cristalli e i
primi pogrom contro gli ebrei in Germania, e 26 anni dopo
a caduta del Muro di Berlino. Di «famiglia emigrata, ebrea
e resistente», come aveva scritto nella sua autobiografia Une
rage d’enfant (2006), era nato a Boulogne-Billancourt, il
primo «francese» della famiglia (la madre era austriaca, i genitori
si erano conosciuti a Gerusalemme, il padre ucciso dai nazisti),
aveva studiato a Lione, «nello stesso liceo di Kaled Kelkal»,
cioè dell’estremista islamico che aveva tentato di mettere una
bomba sul treno Lione-Parigi, per dire che non esiste un determinismo
delle origini, ma che è «responsabilità di tutti agire contro il
male» Nel romanzo autobiografico ha ricordato di aver sempre provato
profonda indignazione verso le «miserie del mondo».
La biografia di André
Glucksmann, Glucks per gli amici, è la storia di indignazioni
successive, gridate sui tetti, dall’intellettuale-militante, che
ieri alla radio FranceInter un perfido biografo ha sottolineato che
sarà maggiormente ricordato per le sue iniziative militanti che per
i suoi scritti di filosofo, via via scivolati in forme di
editoriali giornalistici.
La sua biografia è anche
la realizzazione della scelta di «affermazione dell’incertezza»,
il «vero lavoro della ragione», con cambiamenti di posizione che
hanno sollevato forti polemiche e tante critiche. In gioventù
aveva militato nel Pcf, poi laureato in filosofia dopo aver
frequentato Normale Sup a Saint-Cloud, diventa assistente alla
Sorbona del liberale Raymond Aron, praticamente l’unico
intellettuale di destra del momento di un certo peso.
Glucksmann partecipa
attivamente al Maggio francese, rompe con il Pcf «revisionista» per
entrare nella Gauche prolétarienne, i «Mao» che difendevano la
Rivoluzione culturale cinese, e fa da intermediario tra
i giovani militanti e intellettuali come Jean-Paul Sartre
o Michel Foucault.
La rottura definitiva con
la tradizione hegeliana-marxista è segnata dal suo libro più
noto, La Cuisinière et le Mangeur d’hommes, réflexions sur
l’Etat, le marxisme et les camps de concentration, pubblicato nel
’75 dopo la scoperta dei gulag sovietici grazie alla lettura di
Arcipelago Gulag di Soljenitsyn, che lo aveva sconvolto, pubblicato
in Francia a fine ’73, ma di cui Glucksmann, che conosceva
bene l’Urss, era già venuto a conoscenza. Riflessioni riprese
poi inMaîtres penseurs.
Sono gli anni dei
Nouveaux Philosophes, con Bernard-Henri Lévy, quando questi giovani
filosofi moltiplicano le apparizioni in tv, curando anche in modo
estremo l’aspetto fisico, camicia bianca aperta per BHL, folti
capelli tagliati «à la Jeanne d’Arc» per il secondo.
I francesi scoprono
i Nouveaux Philosophes alla trasmissione letteraria
Apostrophes di Bernard Pivot negli anni Settanta. Glucksmann è abile
in tv, «non si controlla più, del resto fa apposta a non più
controllarsi – scrive Jean Daniel del NouvelObs – passa il tempo
a rimettersi indietro la frangia che ricade ogni volta
sull’intensità obliqua e romantica dei suoi occhi verdi».
Per l’amico Pascal Bruckner, André Glucksmann è stato colui
che «ha dato il colpo di grazia definitivo all’ideologia comunista
in Francia».
Nel ’78, Glucksmann
realizza l’impossibile: riunisce i due grandi rivali, Sartre
e Aron, per andare all’Eliseo e chiedere all’allora
presidente, Valéry Giscard d’Estaing, di accogliere i boat
people vietnamiti. Allora la Francia ha accolto 300mila rifugiati,
mentre oggi chiude le frontiere. Nel 2013, in uno degli ultimi
interventi pubblici, Glucksmann ha ancora denunciato il trattamento
a cui sono sottoposti i Rom nella Francia.
La lotta contro tutti
i totalitarismi non è però solo sostegno ai boat people
o a Soljenitsyn, ma è stata per Glucksmann anche un
avvicinamento a posizioni chiaramente conservatrici. Come
difensore dei diritti dell’uomo arriva su posizioni vicine ai
neo-cons statunitensi. «Un pensatore capace di pensare contro se
stesso – ha detto di lui ieri il suo amico Romain Goupil –
accettando di prendere rischi, di sbagliarsi, di non aver sempre
ragione e di dirlo». Gluksmann è favorevole
all’intervento in Jugoslavia contro la Serbia nel ’99, se la
prende allora con i pacifisti, accusati di essere «viaggiatori
senza bagaglio, nati da un passato sconosciuto e da genitori
trasparenti», come scrive ne La force du vertige.
L’atlantismo di quel periodo sembra non essere sottoposto al vaglio della ragione critica: Gluksmann sostiene le guerre in Iraq, in Libia, lancia appelli per l’intervento in Siria. Se in politica estera si avvicina ai Bush, in politica interna nel 2007 sostiene la candidatura di Nicolas Sarkozy all’Eliseo (contro Ségolène Royal). Ma quando Sarkozy abbandona la difesa dei ceceni per avvicinarsi a Putin e vendergli le fregate militari, Gluksmann prende le distanze.
Ieri, Sarkozy ha
ricordato che Glucksmann aveva insegnato che «l’ideologia non può
sempre mettere il bavaglio al pensiero e la filosofia non poteva
servire da garanzia a sistemi politici inumani». Il presidente
François Hollande ha preferito insistere sulla persona, che «portava
in sé tutti i drammi del XX secolo», «sempre attenta
e all’ascolto della sofferenza dei popoli».
Daniel Cohn-Bendit
ricorda l’amico: «ci siamo incontrati nel ’68 e non ci
siamo mai più lasciati. Con André non siamo sempre stati d’accordo,
ma ci siamo sempre ritrovati sull’anti-totalitarismo. Quando ha
rotto con il maoismo, io che ero libertario gli ho detto: benvenuti
nel club». Bernard Henri-Lévy ha sottolineato che Glucksmann
«sapeva che si può essere soli ad aver ragione».
il Manifesto - 11 novembre 2015
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