23 novembre 2015

IN MEMORIA DI ANTONINO UCCELLO

Antonino Uccello (1922-1979)


Ho conosciuto Antonino Uccello al Centro Studi e Iniziative di Partinico nell'agosto del 1975. Io ero approdato al Centro, diretto da Danilo Dolci,  qualche mese prima, appena laureato in storia e filosofia con una tesi su Antonio Gramsci. Il fondatore della Casa-Museo di Palazzolo Acreide (SR) ogni agosto veniva da noi a tenere un Seminario. Quell'anno il tema era: MUSICA POPOLARE, FOLK E PROFITTO. Fresco com'ero della lettura delle note sul FOLCLORE scritte dal  grande pensatore sardo nei suoi QUADERNI DEL CARCERE, trovai una documentatissima conferma dell'interpretazione gramsciana del folclore nel ricco, artigianale lavoro di ricerca di Antonino Uccello. Legammo immediatamente e alla fine del seminario volle conoscere il mio paese natale, Marineo,  per vedere LA DIMOSTRANZA che proprio quell'anno, con la regia di Accursio Di Leo, veniva riproposta. Ricordo ancora la sua delusione: "QUESTA NON E' CULTURA POPOLARE. Questa è roba scritta da parrini!". La sua delusione si stemperò solo quando incontrò mia madre che regalò ad Antonino antiche ricette di dolci pubblicate l'anno successivo nel libro PANI E DOLCI DI SICILIA, Sellerio 1976.
Mi piace ricordarlo oggi con questa testimonianza dell'archeologo Giuseppe Voza, raccolta in un bellissimo libro del nipote del Maestro che ho avuto il piacere di recensire quando uscì  Cfr: http://cesim-marineo.blogspot.it/2012/06/per-antonino-uccello.html
fv



Uno dei motivi per cui, fra tutti i Paesi della Provincia, Palazzolo Acreide è al vertice della graduatoria del mio personale indice di gradimento, è certamente dovuto al fatto che l’ho sempre collegata ad Antonino Uccello e alla sua Casa museo. Lo conobbi alla fine degli anni Sessanta (del Novecento) quando, giovane archeologo della gloriosa Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale, sotto la guida del Maestro Bernabò Brea, conducevo delle campagne di scavo sul suolo urbano dell’antica Acre. Furono anni di felici esperienze scientifiche e di grandi, prolungate occasioni di conoscenza di un territorio ricco non solo di ragguardevoli testimonianze del passato, ma, soprattutto, di un tessuto umano depositario di un bagaglio enorme di tradizioni e saperi, ma anche dotato di singolare vitalità e simpatia. Antonino Uccello ne era l’esempio tipico e rappresentativo, uomo che nutrì profondo amore per la sua terra di cui conosceva, possedeva tutti i grandi, silenziosi, antichi travagli della vita, del lavoro, i modi antichi, ma sempre vivi del pensare, del fare, del dire. Profondo conoscitore non solo della sua terra ma anche dei suoi uomini ebbe sempre vivo il desiderio della scoperta, senza mai mostrare atteggiamenti di accademica sapienza, cosa che, unita al tratto gentile e umano di sua natura, gli consentiva di accedere più facilmente non tanto agli oggetti della cultura materiale, scopo non secondario delle sue ricerche, quanto alle confidenze, ai racconti, ai canti, ai ‘segreti’ del lavoro, in ambienti umani per loro natura distanti e silenziosi. Egli veniva a trovarmi sovente sullo scavo, accompagnato dalla signora Anna e lo ebbi spesso come attento e silenzioso testimone delle mie esperienze, desideroso di conoscere i modi del ricercare nel lavoro altrui. Ebbi, così, modo di apprezzare lo spessore del pensatore, dell’uomo portatore di ideali scientifici, umani, sociali. A questi ultimi era particolarmente attento: egli era costantemente preoccupato dal fenomeno di sottovalutazione, di dispersione e distruzione di quel delicato patrimonio fatto di oggetti, di tradizioni, di usi, di credenze, di gusto, espressioni insostituibili del mondo contadino entrato in crisi dagli anni Cinquanta in poi quando si verificò un profondo cambiamento nella vita e nella storia del nostro Paese. Fu allora che Antonino Uccello incominciò a farsi carico di un’operazione di raccolta e salvaguardia di ogni possibile testimonianza relativa ala mondo rurale e artigianale in Sicilia e, in particolare, nel mondo Ibleo. Testimonianze che egli, nei suoi studi e nelle sue presentazioni, non esibì mai come raccolte di collezioni, ma come strumenti ed espressioni di un particolare modo di lavorare, di produrre, di creare. Cosa che si coglie soprattutto nell'interesse di Antonino Uccello per quello che si definisce patrimonio culturale immateriale: le voci, i canti, i suoni, espressioni della sensibilità, dell’anima umana, insostituibili strumenti di riconoscimento della identità di una comunità. Questo modo di concepire e di essere attento nella raccolta di testimonianze del passato non poteva non comportare nella mente di Antonino Uccello un pensiero costante: quello di proporre le proprie raccolte in una maniera nuova, viva, attiva. Nacque così l’idea della Casa museo alla cui creazione Egli si dedicò con grande e appassionato lavoro. E alla Casa museo devo uno dei ricordi che più mi legano a lui. L’uomo che aveva raccolto tutto quanto poteva da un territorio di cui conosceva profondamente le radici culturali, storiche, sociali, passava ora a mostrare quanto aveva acquisito, con uno straordinario lavoro di recupero sistematico, a riproporre, come per magia, i momenti e le attività del mondo rurale e artigianale usando sapientemente e appropriatamente gli oggetti raccolti. Faceva così vivere e trasmetteva con gli oggetti saperi, tradizioni, usi, religione, gusto artistico di un mondo che la società andava spegnendo sotto l’onda del consumismo. Le sue mostre furono sempre momenti di comunicazione irripetibili. Ricordo con particolare emozione quando, approssimandosi alla fine, mi pregò vivamente di interessarmi personalmente all'acquisizione all'Ente Pubblico che rappresentavo, le sue collezioni, preoccupato com'era che andassero disperse e non potessero più continuare a svolgere le funzioni per cui le aveva raccolte per tutta la sua vita. Nel 1983 riuscimmo ad assolvere all'impegno preso in quell'occasione assicurando alla Pubblica Amministrazione la Casa museo e le collezioni Uccello, consci di aver reso omaggio a chi è rimasto un raro esempio di Uomo, di Studioso, di Maestro.

 Testimonianza  tratta dal libro di Paolo Morale Uccello, Le rotte di Icaro

Nessun commento:

Posta un commento