L'Italia uscì
profondamente segnata dalla Grande Guerra. Anche lo sport cambiò
natura, diventando di massa e nazionale, tanto da diventare poi uno
dei canali privilegiati della fascistizzazione della società.
Pasquale Coccia
Atleti, nazionalismo e
Grande Guerra
Con Felice Fabrizio, che
ha pubblicato Corpi per la Patria, le attività motorie nel
lungo Risorgimento (1784–1915), approfondiamo il tema del
rapporto tra sport, nazionalismo e Grande Guerra. Una versione
più ampia dell’intervista è pubblicata sul sito
(www.ilmanifesto.info).
Qual è il
rapporto tra lo sport e la Grande Guerra?
Se uno studente chiedesse
da dove iniziare a studiare la storia dello sport italiana,
direi dalla Grande Guerra, perché rappresenta lo sbocco inevitabile
di cento anni anni di attività motorie, consente di capire quello
che accade prima. Se adottiamo la datazione tradizionale la Grande
Guerra è un evento importante del Novecento, ma tra i tanti,
se invece adottiamo la datazione del secolo breve oppure del lungo
Risorgimento, la Grande Guerra rappresenta un tornante fondamentale,
è la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, anche
sul piano sportivo. Prima della Grande Guerra vi era il legame
strettissimo tra lo sport e la preparazione alle armi e tra
lo sport e il nazionalismo. Fin dalla nascita le attività
motorie, in particolare la ginnastica e il tiro a segno,
sono poste al servizio della Patria, della Nazione e sono
funzionali all’addestramento militare fino agli anni ’80
dell’Ottocento, quando entra in gioco lo sport, che con gli
ambienti militari c’entra poco perché è fine a se
stesso, ha una componente più ludica, si fa sport per fare sport,
senza una motivazione secondaria, anche se questo è vero fino
a un certo punto. Questa impostazione va spegnendosi, man mano
che ci si allontana dal progetto post unitario risorgimentale di
nazionalizzazione delle masse, dove il poligono di tiro, il club
alpino, diventano un luogo di formazione di un’identità collettiva
condivisa.
Cosa succede con il
nuovo secolo?
Riprende con maggiore
vigore e nuovi contenuti, quando entra in gioco il nazionalismo,
che ribalta gran parte dei paradigmi precedenti, trasforma il
patriottismo, la difesa dei confini in volontà di potenza, in
aggressività, in imperialismo. Dà l’idea di un’Italia fiera
delle sue conquiste rispetto all’Italietta giolittiana, frustrata,
grigia, mediocre, incapace di portare anche sul piano della cultura,
dello sport, i progressi che si stanno registrando in campo
economico e sociale, che pur se circoscritti ad alcune aree sono
innegabili. Il nazionalismo usa un repertorio ideologico e un
lessico che sono tipici del fascismo. Gli stilemi, le formule, sono
gli stessi, il posto al sole, la grande patria, la terza Italia, la
guerra come banco di prova dei migliori, lo sport come palestra
dell’ardore volontaristico, disprezzo del pericolo, lo spirito di
sacrificio che arriva fino alla sublimazione dell’eroismo e della
morte in battaglia, sono tutte problematiche che vengono lanciate dai
grandi vati, D’Annunzio, i futuristi, Corradini, Oriani,
Papini, e che lo sport, la stampa sportiva, gli intellettuali di
terzo ordine, che si occupano di sport, riprendono, organizzano in
parole d’ordine che cominciano a circolare, si amplificano
durante la guerra di Libia, che viene considerata il primo banco di
prova dell’efficienza dello sport italiano.
Qual è l’obiettivo?
Le conclusioni che si
ricavano sono che gli sportivi sono i soldati migliori, quindi
bisogna incentivare lo sport per creare un esercito agguerrito, un
concetto che si ritroverà nel fascismo e nel nazismo, il cui
retroterra culturale è rappresentato proprio da questo periodo.
Tra l’inizio del ’14 e le radiose giornate di maggio tutte
le componenti della società italiana si dividono tra i favorevoli
all’interventismo e i sostenitori del neutralismo.
Anche il mondo
sportivo?
Il mondo sportivo si
presenta unanime, compatto, come un blocco granitico, favorevole
all’intervento in guerra, compresi i cattolici, che mantengono
una posizione ambigua, sfumata, ma alla fine si schierano per
l’interventismo. Fanno eccezione i giovani socialisti, che da
tempo avevano capito che lo sport era una componente importante del
nazionalismo, avevano ben chiara la deriva che stava prendendo
l’Italia, ma non partecipavano alla vita sportiva, perché la
ripudiavano, perciò restarono inascoltati. Se non si comprende
questo passaggio non si capisce il motivo dell’autentica
mobilitazione delle forze sportive, nell’imminenza del conflitto.
In questo periodo converge tutto quello che era stato costruito in
precedenza, è come se sfilasse in parata tutto il mondo
sportivo italiano, ci sono i veterani, le società ginnastiche,
le società di tiro a segno, le società alpinistiche ed
escursionistiche, a partire dal Cai, tutte estremamente
nazionalistiche. Ci sono i nuovi arrivati i battaglioni
volontari creati dai nazionalisti, la Lega Navale. Siamo abituati
a vedere i volontari degli automobilisti e dei
ciclisti, ma non sono i soli, ci sono i volontari
motociclisti, aeronautici, aviatori, aerospazieri, quelli dei palloni
e dei dirigibili, alpini, sciatori, sono piccoli gruppi, ma
presenti sul territorio nazionale, spaziano abbastanza. Si pensi alla
Lega navale italiana che era nazionalista e imperialista fin
dalle origini, presente un po’ ovunque, ha un suo pubblico di
ascolto, fa pubblicazioni e promuove conferenze. Vi sono anche
i battaglioni studenteschi, a Milano si costituisce la
federazione studentesca Sursum Corda, che li raggruppa nel 1909.
Tutte queste componenti sono minoritarie, ma sono visibili
e chiassose. Nel maggio 1915 sfilano in corteo, si fanno
sentire, reclamano, e quindi sembrano molto più numerosi
e rappresentativi di quello che non sono. Sono componenti che
contribuiscono a dar vita alla crociata di gare popolari che
comprendono tiro a segno, concorsi ginnastici militari, corsi di
preparazione pre-militare, gare a gruppi di marcia e di
tiro, molto partecipati. Nel 1915 a Milano alla gara popolare di
tiro a segno partecipano 1500 tiratori.
Qual’era la
componente sociale di questi gruppi?
E’ di due tipi, una
prevalentemente studentesca, di origine borghese, la componente colta
era considerata dal nazionalismo la parte sana. Per i nazionalisti
c’è il mondo delle ombre e il mondo dei corpi. Il primo è il
mondo della politica, dell’Italia rinunciataria, il mondo dei corpi
è quello dei giovani desiderosi di mettersi in gioco e di
battersi per i valori della Grande Italia.
Qual è il ruolo
della stampa sportiva?
Quando la guerra viene
dichiarata provoca un’ondata di entusiasmo. La stampa sportiva
gioca un ruolo fondamentale, raccoglie le parole d’ordine, le
istanze, le suggestioni, le rielabora, le riorganizza e le
riporta in maniera martellante. La Gazzetta dello Sport, che da
sempre è militarista, nazionalista, rafforza queste sue
tendenze nell’imminenza della guerra, infatti il 24 maggio del
1915, il titolo di prima pagina è: “Per l’Italia contro
l’Austria, hip, hip, hurrà”. I contenuti che si leggono
sono: finalmente siamo in guerra, abbiamo lavorato fin dal 1896 per
questo obiettivo e le nostre istanze, i nostri sogni si
sono realizzati. Nei primi 15 giorni di guerra La Gazzetta dello
Sport pubblica una serie di editoriali che battono su questo
concetto: abbiamo temprato sulla fucina ardente dello sport la
gioventù da buttare in battaglia, siamo orgogliosi di questo.La
Gazzetta dello Sport riceve un riconoscimento ufficiale dal
ministero della Guerra, che nel 1915 sottolinea le benemerenze del
quotidiano sportivo nel lavoro di preparazione materiale
e soprattutto spirituale alla guerra. L’altro aspetto su cui
insiste laGazzetta dello Sport è che gli sportivi sono la
parte migliore del paese e ci si aspetta da loro un’adesione
entusiastica. Infatti gli sportivi saranno i primi a entrare
in guerra, si arruoleranno come volontari e si batteranno da
eroi. Contrariamente a quello che avverrà nella seconda guerra
mondiale, dove è accentuato l’imboscamento, infatti i morti
si contano sulle dita di una mano, nella Grande Guerra il contributo
offerto dagli sportivi anonimi e dai campioni è notevole,
i calciatori in particolare, l’Inter e il Milan vengono
letteralmente falcidiati. Tutti gli sport hanno perdite di campioni,
l’atletica leggera, il ciclismo, il canottaggio, i ginnasti
soprattutto, Giuseppe Sinigaglia, il più grande sportivo dei primi
quindici anni del ‘900 muore in battaglia.
E i volontari?
L’ entusiasmo iniziale
si spegne a poco a poco, i volontari italiani ruotano
intorno a cifre bassissime, rispetto a quelli dell’esercito
austriaco. Nel primo anno di guerra si contano 160 mila volontari
e dagli alti comandi militari sono considerati d’impaccio,
perché indisciplinati, politicizzati, sono mal visti e odiati
dai commilitoni, perché li ritengono responsabili della guerra. Una
delle canzoni di allora recitava: “ La colpa è dei vigliacchi
studenti, son d’impiccio e la guerra han voluto”.
I volontari vengono dispersi nei vari reparti perché si teme
che insieme facciano pasticci. Gli unici che riescono a mantenersi
compatti sono i volontari ciclisti milanesi, che in realtà sono
i futuristi, si rendono utili perché partecipano ad azioni di
pattugliamento e di guerra. Marinetti partecipa a due o tre
azioni di guerra, poi si sposta tra un fronte e l’altro, va
a Roma, a Milano per sostenere la propaganda. La guerra
è un po’ strana, da una parte è di massa e dall’altra
aristocratica, D’Annunzio fa la sua guerra privata da trasvolatore
di Vienna, Marinetti fa la sua guerra privata, i volontari fanno
la loro guerra privata, anche gli arditi, dopo aver ricevuto una
severissimo addestramento sportivo.
La guerra chi la fa?
La fanno gli altri,
i poveracci. Non è la guerra che si aspettavano gli
sportivi, soda e in campo aperto, grandi attacchi, una guerra di
cavalleria, si trovano di fronte una guerra grigia, anonima, statica,
è una gigantesca guerra industriale di distruzione di massa,
dove la famosa arma-uomo, termine assai caro alla Gazzetta dello
Sport, cede innanzi a una mitragliatrice che ne ammazza
parecchi. Alla fine del 1915 gli alti comandi smantellano tutti
i corpi volontari che vengono assegnati all’esercito regolare.
Questa operazione è un’altra gigantesca delusione, tutto l’
entusiasmo, lo slancio promozionale, l’ardore volontario
giovanilistico si spezza, va in mille pezzi.
Tra le truppe alleate
ci sono gli sportivi?
L’altro aspetto
è rappresentato dallo schock provocato dal contatto con le
truppe alleate. Arrivano in ritardo, nel 1917, ma il confronto
è impietoso. Gli inglesi sono autentici sportivi, gli italiani
sono cresciuti al teatro delle marionette, dalla ginnastica
collettiva al tiro al bersaglio, che non hanno nessun rapporto con la
guerra, alla scherma fino all’equitazione che in guerra non servono
a niente, tra gli sportivi si registra una grossa frustrazione.
Qual’è la
differenza con gli inglesi?
L’attività sportiva
degli inglesi è gestita al fronte dall’Ymca (Young Men’s
Christian Association, un’organizzazione cristiana ecumenica, ndr),
non era funzionale alla vita militare, era rivolta al mondo
giovanile, praticavano principalmente il basket. L’Ymca non era
riuscita a sfondare in Europa tra i paesi cattolici, perciò
utilizza la prima guerra mondiale come testa d’ariete, mette
a disposizione dei militari attrezzature sportive da campo, per
trovare occasione di inserirsi nell’esercito. l’Ymca in realtà
non riuscirà nei suoi intenti per due motivi, primo a causa
della battaglia ferocissima che gli farà il fronte cattolico e poi
l’arrivo del fascismo, che vive, percepisce l’Ymca come qualcosa
di internazionalistico e tipicamente anglosassone, quindi da
bocciare.
Dopo la guerra?
Il movimento sportivo
italiano esce a pezzi, l’attività sportiva si è completamente
bloccata. Tra il 1915 e il 1916 si dibatte se troncare
l’attività o continuare, naturalmente si continua ma con le
vecchie glorie e i ragazzini. Il movimento sportivo da una parte
è pieno di rancore perché non è stato riconosciuto il
suo ruolo fondamentale, e dall’alta è pieno di
aspettative, vuole passare alla cassa per riscuotere il dovuto. Gli
esponenti del movimento sportivo sostengono questa tesi: ci siamo
battuti, siamo stati gli unici a non avere momenti di
incertezza, abbiamo pagato con il sangue il nostro impegno, adesso
vogliamo il nostro riconoscimento.
Qual è?
Che lo sport sia portato
al centro della vita nazionale, sia preso in considerazione dal mondo
politico, dal mondo della scuola, dal mondo militare. L’altra cosa
che reclama è una rivoluzione radicale degli assetti
organizzativi, che sono in mano a uomini di sport vecchi,
a persone che dirigono strutture burocratiche inefficienti,
perciò chiedono svecchiamento, razionalizzazione e snellimento.
Però anche le leve della politica sono sempre in mano ai grandi
vecchi, il mondo politico è impegnato in tutt’altre faccende.
Al governo ci sono i soliti, Nitti e Giolitti. Il mondo
sportivo non ottiene nulla, neppure quello che sarebbe stato lecito,
come la revisione dell’educazione fisica scolastica, che era basata
su sistemi ottocenteschi, su personale vecchio, frustrato,
emarginato. L’altra questione riguarda l’istruzione premilitare
da trasformare in un itinerario ginnico-sportivo, che dalla scuola si
estendesse alle società sportive e all’esercito. Il movimento
sportivo non ottiene nulla, perché da una parte il potere resta in
mano ai soliti vecchi con equilibri difficili da scalfire, dall’altra
c’è una grande confusione e finisce per prevalere l’interesse
ideologico e di partito. Per esempio l’istruzione premilitare
è un cavallo di battaglia di tutti i partiti politici,
vogliono una ferma breve, in realtà si fanno decine di commissioni,
si scrivono interminabili relazioni, si litiga ma alla fine non si fa
nulla. Quello che fa di più è Ivanoe Bonomi, come presidente
del consiglio e ministro della guerra, presenta un progetto
organico che prevede scuole con il sostegno dell’iniziativa
privata, istruzione premilitare, istruzione militare vera e propria.
La durata dei ministeri è di sei mesi, i ministri della
guerra che si succedono sono 12 in quattro anni. Il movimento
sportivo cerca altri interlocutori, il mondo politico è in mano
a vecchie caste, i nazionalisti contano poco o nulla,
i socialisti continuano nella loro politica antimilitarista,
antinazionalista, perché fanno parte di un movimento internazionale.
Il mondo sportivo
a chi si rivolge?
Ai fascisti, che si
mostrano più sensibili a queste tematiche, rivendicano la
continuità con i temi, la fraseologia, i concetti di cui
abbiamo detto prima. I fascisti si mostrano disponibili a dare
ascolto a queste istanze, a raccoglierle e a
valorizzarle. In effetti non perdono tempo, subito dopo la marcia su
Roma, la presa del potere, i fascisti battono su questi
concetti: la nazione militare voluta dai nazionalisti è fallita,
la marcia su Roma ha dimostrato che la vera nazione in armi è quella
fascista, abbiamo fatto quello che in Italia in cento anni nessuno
è riuscito a fare. Abbiamo radunato le persone, le abbiamo
armate e portate a Roma, questa è la vera nazione in
armi, quella del fascismo. La stampa sportiva si occupa subito dello
sport fascista, nel 1919 in una delle prime riunioni del direttivo
del fascio di combattimento, all’odg c’è la creazione di società
sportive. Da una parte c’è il fascismo repressivo dall’altra
un’incredibile capacità di costruire il consenso attraverso un
reticolo di associazioni che intercettano bisogni reali, diffusi, non
c’è categoria sociale che sfugga a questa operazione, lo
sport è una di queste, sotto questo punto di vista vi è una
notevole lungimiranza da parte del fascismo. I fascisti
capiscono prima degli altri che lo sport può essere utilizzato per
quello che per altri era stato solo un’illusione: costruire la
potenza nazionale, avere prestigio a livello internazionale,
utilizzare lo sport per il rafforzamento della coesione e del
consenso interno.
In che modo lo fa?
Il fascismo raccoglie una
serie di compagni di strada, nazionalisti, giornalisti, dirigenti
sportivi, frustrati, tutti in cerca di visibilità. A poco
a poco, al di là dell’uso strumentale dello sport, realizza
tutto quanto era stato programmato, lo sport nell’esercito, lo
sport femminile, la costruzione degli impianti sportivi, lo sport
nelle scuole, la creazione dell’Enef, che sottrae l’educazione
fisica e sportiva alle scuole per assegnarla ai privati, non era
un progetto campato in aria, visto quello che aveva prodotto la
ginnastica scolastica. Il progetto fallisce per mancata trasparenza
nell’uso dei finanziamenti e di persone competenti. L’Enef
diventa una macchina mangiasoldi, per due anni la sede nazionale è a
Milano, si propone di costruire lo stadio, dove oggi c’è il campo
di atletica Giuriati, vicino al Politecnico, dilapida ingenti
finanziamenti e realizza solo la metà delle opere. La cosa
incredibile è che una struttura come il campo di calcio, che
aveva una funzione formativa per i giovani sia finita in mano
a grandi industriali, infatti nel comitato direttivo c’era
Edoardo Bianchi, Leopoldo Pirelli, che non avevano spirito
missionario, a loro interessava gestire lo stadio, fare grandi
incassi. Ma al di là di queste mancanze, il fascismo realizza il suo
piano. Il partito fascista è l’unico che in questa fase con
propri istituti si dedica esclusivamente allo sport, è l’unico
partito che a Milano costituisce una commissione sportiva, un
gruppo di competenza, che si occupa non solo di problemi
organizzativi, ma anche ideologici e detta la linea al partito.
Cattolici, comunisti
e socialisti che fanno?
Il partito Popolare non
si occupa di sport, c’è un accordo tra Don Sturzo e l’Azione
Cattolica secondo cui il partito popolare non può creare circoli
giovanili, perché tutto resti nelle mani dell’Azione Cattolica.
I socialisti, si muovono tardi, creano delle cose interessanti
l’Ape ( Associazione proletaria escursionisti, ndr) l’Apef
(Associazione proletaria educazione fisica), e il
settimanale Sport e Proletariato, ma lo fanno nel momento
sbagliato, quando è troppo tardi, soprattutto la pubblicazione
del settimanale Sport e Proletariato, rappresenta
l’occasione perduta perché nei pochi mesi di vita parte con l’idea
di costituire la Federazione Sportiva Proletaria, ma non viene
realizzata. Ci aveva provato L’Ordine Nuovo di Gramsci,
che già nel ’22 aveva istituito una commissione sport a Torino
con i consigli di fabbrica, con l’intento di dar vita a un
organismo nazionale, che comprendesse anche Apef e Ape, poi
l’irruzione dei fascisti interrompe la pubblicazione de L’Ordine
Nuovo, come pure la devastazione della tipografia Ziboni che
stampava Sport e Proletariato, l’unica rivista che non
può riprendere le pubblicazioni per ordine di Finzi ministro degli
Interni e fratello del Finzi direttore della Gazzetta dello
Sport. L’altra occasione perduta è rappresentata dalla Cgil,
che avrebbe dovuto essere la punta di diamante in questo processo, ma
solo nel ’25 crea una Federazione culturale, ricreativa e sportiva,
di lì a poco da parte dei fascisti segue la devastazione della
Camera del Lavoro di Milano e anche la federazione culturale
e sportiva finisce.
I risultati sportivi
ci sono o è tutta propaganda?
Fino agli anni Trenta
i risultati non si vedono, tanto è vero che alle olimpiadi
del ’28 ad Amsterdam, quelle che agli occhi del fascismo avrebbero
dovuto rappresentare il primo banco di prova, sono fallimentari.
Bisogna aspettare le olimpiadi del ’32, ma i veri risultati si
sarebbero visti alle olimpiadi del ’40, quando la generazione
integralmente avviata dal fascismo sarebbe arrivata pronta per le
competizioni internazionali, se non ci fosse stata la guerra. Al di
là dei risultati di vertice, la promozione di massa c’è, si pensi
all’impiantistica sportiva avviata nel ’27, vengono costruiti
i famosi campi sportivi del Littorio, saranno stati anche
semplici campi di calcio, ma ci sono, prima non c’erano. Anche gli
impianti sportivi costruiti a Milano sovrastano di gran lunga
quelli che c’erano prima, e dopo non è che sia stato
fatto molto. Le scuole elementari costruite durante il fascismo
prevedevano una o due palestre e in alcuni casi anche la
piscina. C’è un’attenzione strumentale, ma c’è. Perciò non
si può capire quello che è accaduto prima e che
è accaduto dopo la Liberazione, se non si capisce il passaggio
fondamentale della prima guerra mondiale. Il vento del nazionalismo
che soffia prima della guerra rappresenta il terreno favorevole sul
quale si coltiva il fascismo anche nel rapporto con lo sport.
Dopo la Liberazione?
La mentalità
nazionalista, militarista, patriottica, permane nell’educazione
fisica e nello sport, anche dopo la Liberazione. Ho fatto
elementari, medie e superiori con insegnanti che avevano una
formazione fascista, soprattutto gli insegnanti di educazione fisica,
che erano quelli usciti dall’Accademia di Roma, una mentalità
durata fino agli anni ’60. Anche al Coni, sostanzialmente
sopravvive lo spirito fascista e la struttura resta la stessa,
il mondo che ruoto intorno alla Federazione ginnastica ancor oggi
è impregnata di questi valori. Dopo la Liberazione il Coni
è rimasto di destra, c’erano tutte le ragioni per
considerarlo tale, non bastava sostituire il presidente e nominare
Giulio Onesti.
La sinistra dopo la
Liberazione che ha fatto sul fronte sportivo?
Ha dato vita all’Uisp,
ma questa organizzazione sportiva ha dovuto superare grosse
diffidenze. Solo negli ’70 ha saputo creare un modello sportivo
alternativo rispetto a quello dominante. penso anche all’ente
cattolico Csi. Prima di quegli anni cosa c’era di alternativo?
L’Uisp si rifaceva allo sport popolare, ma non c’era nulla di
sostanziale.
Il Manifesto – 24
ottobre 2015
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