Parla il curatore del
"Libro rosso" di Jung: "Nell'inconscio è nascosto il
sacro". Un pensiero che condividiamo.
Silvia Ronchey
Non dobbiamo avere
paura dei nostri sogni
"Le religioni non
sono in sé negative. Non sono d'accordo né con Marx né con Freud.
Sono più vicino a Jung". Quando Sonu Shamdasani risente le
parole usate dal vecchio amico e maestro James Hillman nel rispondere
alla domanda se la violenza del terrorismo islamico fosse realmente
legata alla religione, ha un attimo di esitazione. Probabilmente
perché la sua mente va al lavoro di una vita, la cura del "Libro
rosso" del fondatore della psicologia analitica, smisurato
percorso iniziatico tra gli abissi e le illuminazioni dell'animo
umano.
"Secondo Jung
- spiega, mentre sta arrivando in Italia per partecipare al
festival L'arte della felicità a Napoli - riafferrare la
possibilità dell'esperienza religiosa attraverso la psicologia era
un recupero di significato che rispondeva alla perdita di senso
prodotta dalla laicizzazione".
Una perdita avvenuta in quale momento della storia?
"Con l'illuminismo,
che vedeva come estrema conseguenza negativa dell'apoteosi del
razionalismo. Jung cercava di salvare gli sviluppi positivi della
scienza e della tecnologia e insieme di mitigarne l'impatto negativo,
soprattutto nel senso della perdita di significato delle vite
individuali".
Ma Jung nel suo studio aveva un busto di Voltaire.
Ma Jung nel suo studio aveva un busto di Voltaire.
"Sì. Diciamo che
cercava di esplorare i misteri senza perdere la testa. Cioè di
mantenere un'attitudine scettica nel suo essere aperto al possibile".
Il pensiero di Jung era un pensiero laico o un pensiero religioso?
"Jung è in origine
una persona dall'orientamento religioso che intorno al volgere del
secolo sperimenta un'autentica conversione al pensiero scientifico
moderno. Ma intorno al 1912-1913 ha una prima crisi. Si accorge di
avere smarrito il senso della vita e cerca di recuperarlo in un lungo
viaggio di esplorazione di sé. Tenta di orientarsi nella tradizione
in cui è cresciuto e di tornare quindi a Cristo, ma in maniera
empirica, il che a sua volta lo apre ad altre tradizioni, come il
buddhismo e l'induismo. Vuole cogliere l'esperienza sotto le forme
storico-culturali, capire se vi siano elementi comuni per tentare un
processo di trasformazione attraverso cui il senso potente
dell'esperienza individuale si incorpori in specifiche forme
tradizionali".
Dopo l'egemonia del binomio Marx-Freud nel XX secolo, il XXI vede un rinnovato interesse per le religioni: non solo induismo e buddhismo ma anche sufismo, ad esempio e anche cristianesimo. Nonché per il pensiero dei mistici, i diversi rituali e forme di preghiera, meditazione, yoga, e poi lo studio dei simboli, l'alchimia, la magia, l'occultismo e in generale l'esoterismo. In questo incessante revival di ciò che Hillman considerava una deriva New Age ci sono tutti gli elementi presenti negli scritti di Jung.
"Jung afferma che il
comparativismo storico- religioso non è solo di interesse erudito ma
parla alle forme, alle strutture che sono onnipresenti negli
individui: corrisponde all'esperienza collettiva delle persone. Ecco
la connessione diretta con la prassi psicoterapeutica: Jung constata
paralleli indubitabili quanto inconsapevoli tra le forme presenti nei
sogni e nelle fantasie dei pazienti e le tradizioni esoteriche".
Jung oggi è di moda, mentre la giovane generazione sembra trascurare Freud. Crede che questo abbia a che fare con il diffuso ritorno dell'interesse religioso?
"Assolutamente sì.
È curioso che Jung sia letto come un autore contemporaneo e Freud
come un autore storico che non parla più alle inquietudini
contemporanee".
Il "Libro rosso" è diventato una specie di bibbia della nuova generazione. Perché?
"Il Libro rosso
racconta come Jung è diventato Jung. Ciò che più ha toccato i
lettori è stato il senso di assertività che comunica, incoraggiando
ciascuno ad affrontare la propria esperienza, a scorgere il valore di
questa impresa, a comprendere che per quanto folli possano essere
sogni e fantasie rientrano comunque nel registro umano e c'è qualcun
altro che ne ha avute di simili e si è preso la briga e ha avuto la
pazienza di cercare di capirle. Ha dato ai lettori la sensazione di
non essere soli. Quindi, a mio parere, il suo successo non riguarda
né la psicologia di Jung né una sua particolare cosmologia. Il
senso è che vale la pena appoggiarsi alla propria esperienza per
spingersi più avanti in una qualsiasi iconografia interiore adatta
alla propria vita".
Oggi l'occidente sta assorbendo sempre più il buddhismo, anche nel cristianesimo.
Jung mette spesso in relazione le due religioni e in particolare, nelle Memorie, c'è un confronto intrinsecamente gerarchico: "Nel cristianesimo c'è più sofferenza, nel buddhismo più visione e azione. Entrambe le vie sono giuste, ma il Buddha è l'essere umano più completo".
"Quello che le
religioni a un certo momento gli fanno capire, è che esistono
aspetti vitali di cui nel cristianesimo contemporaneo si è smarrita
la presenza. Aspetti che Jung cerca di reintegrare. Non è quindi
semplicemente una questione di gerarchia. Bisogna chiedersi: cos'è
che gli abitanti di quello che allora si chiamava occidente potevano
imparare dalle altre tradizioni? Non si trattava semplicemente di
adottarle, ma di scorgervi ciò che poteva essere riportato indietro
e compreso, ad esempio, dal cristianesimo. La cosa più importante
per Jung era questo viaggio di ritorno".
È un viaggio di ritorno non solo nello spazio ma anche nel tempo: riportare l'oriente nell'occidente e il passato nel presente.
È un viaggio di ritorno non solo nello spazio ma anche nel tempo: riportare l'oriente nell'occidente e il passato nel presente.
"Sì, e ci aiuta ad
affrontare un altro grande problema di oggi: come convivere con
popoli che hanno diverse visioni del mondo, credenze, forme
politiche. Qualunque percorso possa promuovere uno spirito di mutua
comprensione e tolleranza è fondamentale, e lo è tanto più quando
si arriva alle materie di fede e a ciò che Paul Tillich ha chiamato
la "cura ultima", cioè la ricerca dell'essere, la
riconnessione col fondamento ".
Ma è fondamentale anche la laicità della psicologia. Non crede che l'approccio psicologico, per cui l'esperienza religiosa è espressione di un processo psichico, sia ancora più utile al nostro mondo?
"Certo, ma occorre
studiare anche il laicismo e anche la psicologia come particolari
ontologie o visioni del mondo".
Secondo lei nel nuovo quadro contemporaneo prevale la laicizzazione dell'esperienza religiosa o il ritorno alla religiosità, anche se in qualche modo ibrida e sincretistica?
"Credo che i due
aspetti siano inscindibili:la psicologia junghiana rende possibile un
nuovo approccio alla questione religiosa nell'età moderna. O almeno
è ciò che Jung sperava".
Un nuovo immanentismo?
Un nuovo immanentismo?
"Sì. È questo che
Jung cercava di promuovere ".
(Le illustrazioni sono tratte da Il libro rosso)
La repubblica – 16
novembre 2015
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