Poeta siriano, conoscito in Occidente col nome ADONIS
Intervista con uno dei più importanti poeti arabi contemporanei.
Adonis
Islam violento è la sua natura?
Intervista di Elisabetta Rosaspina
Parigi Meglio forse, in questo caso, cominciare dalla fine: «L’Isis sarà annientato, ne sono sicuro» afferma di buon umore Adonis, nome d’arte di uno dei maggiori poeti siriani viventi, Ali Ahmad Sa’id, 85 anni, mentre congeda al telefono un giornalista portoghese. Il suo ultimo saggio, un colloquio con Houria Abdelouahed su Violenza e Islam, che in Italia uscirà il 3 dicembre per i tipi di Guanda, è tra i più venduti in Francia, dopo gli attentati di due settimane fa. Nel suo appartamento straripante di libri e carte, a La Défense, il quartiere d’affari di Parigi dove Abdelhamid Abaaoud, la mente degli attentati del 13 novembre, si sarebbe fatto esplodere con un complice, se non fosse stato scovato in tempo dai reparti speciali francesi e ucciso a Saint-Denis, il telefonino di Adonis squilla spesso: «Sì, sostengo la politica della Russia, sicuro! — risponde ancora, con vigore, all’ultima domanda del suo interlocutore da Lisbona —. Sostengo la Russia, perché colpisce l’Isis».
La Russia, però, appoggia Bashar al-Assad, signor Adonis. E quando le è stato consegnato il premio Remarque, in Germania, si sono levate molte voci contrarie, anche sul «Corriere della Sera», a causa delle sue considerazioni sulla legittimità di quel dittatore.
«Ma io non ho mai
sostenuto Assad! Mi sono battuto contro il partito di Baath e i
baathisti dal 1956. Sono quasi sessant’anni. E l’anno dopo ho
dovuto lasciare la Siria. Molti di quelli che adesso mi accusano,
invece, sono stati funzionali in tutti questi anni ad Assad, lo hanno
frequentato per ragioni di interesse. Io, invece, non l’ho mai
conosciuto né incontrato. Ho detto soltanto che il problema non è
la persona, quanto il sistema, la mentalità, la cultura. L’Occidente
vuole imporre un presidente alla Siria, decidere al posto dei
siriani. Io credo che sia il popolo a dover scegliere, a dire sì o
no. Un presidente non può essere imposto dall’esterno. Spetta al
popolo, attraverso libere elezioni».
Le ultime davvero libere, in Siria, risalgono al 1963.
«Ragione di più. Io
sono contro il regime e a favore della democrazia. Ma la politica
occidentale si è dimostrata poco perspicace nei Paesi arabi. Mossa
principalmente da interessi economici e commerciali. Ma non solo. Che
cosa rappresentano, per l’Europa, Paesi come l’Arabia Saudita, il
Qatar, a parte il gas e il petrolio, per riservare loro tanto
appoggio?».
Amicizie pericolose?
«Europa e Stati Uniti
non s’interessano agli esseri umani nei Paesi arabi. Questo
potrebbe voler dire che l’Occidente detesta i musulmani, li
utilizza e basta. Però io non sono un politico e non voglio parlare
di politica».
Politica e cultura non c’entrano fra loro?
«La politica dovrebbe
fare parte della cultura. Ma, sfortunatamente, ora è la cultura che
fa parte della politica. Così purtroppo si deformano a vicenda.
Perché se è la politica a regnare, la cultura si trasforma in
ideologia e opportunismo».
«Violenza e Islam», il titolo del suo libro, indica che la violenza è connaturata in questa fede?
«Esiste anche in altre
religioni, certamente: il filosofo René Girard, da poco scomparso,
era l’autore più importante su questo tema. Ma oggi il problema è
con l’Islam, nel nome del quale Isis e compagni perpetrano i loro
attacchi. Nel seno dell’Islam c’è l’Islam, mentre il
Cristianesimo comprende varie confessioni, cattolica, protestante,
ortodossa. Nell’Islam esiste l’ortodossia dei sunniti, che
accettano soltanto una lettura letterale del Corano. Senza
interpretazioni metaforiche o simboliche. Per questo non c’è
spazio per arte e poesia tra gli ortodossi, c’è soltanto la
giurisprudenza. La cultura del potere e della sua conservazione, a
qualunque costo. L’Islam nasce proprio come religione di conquista.
E, nelle conquiste, la violenza è inevitabile».
Il suo è un punto di vista assolutamente laico?
«Sì, parto da una
posizione totalmente laica, però io non sono contro le religioni
individuali. L’uomo ne ha bisogno, per gestire il suo rapporto con
l’aldilà. È un diritto e lo rispetto. Mi oppongo invece a una
religione istituzionalizzata, imposta politicamente e culturalmente a
un’intera società, come avviene in Iran, in Arabia Saudita, in
Marocco, negli Stati teocratici. La teocrazia è l’esatto opposto
della democrazia, che esige il riconoscimento della diversità, la
pluralità, la libertà di fede e di pensiero. Bisogna lottare perché
la religione diventi una questione personale, che impegna soltanto il
credente. Una società che non riconosce il diritto a non credere o
che ingabbia le donne e le tratta come schiave non è una società
umana».
Da dove spunta l’Isis?
«Prima ancora, gli
americani hanno creato Al Qaeda e poi, con la caduta di Saddam
Hussein in Iraq, alcuni Paesi arabi hanno finanziato e armato i
jihadisti. Ma neanche gli Stati Uniti sono del tutto estranei».
Sempre colpa
dell’Occidente?
«Mi colpisce che gli
occidentali, a cominciare dagli americani, siano stati in silenzio di
fronte alla devastazione dell’Iraq e della Siria, due Paesi che
sono all’origine della nostra civiltà. L’errore è di
identificare i popoli con i loro regimi e abbandonarli al saccheggio
e alla barbarie dei terroristi. Lo stesso sta accadendo ora in Yemen,
e non parliamo della Libia. Senza dimenticare la Turchia e il suo
ruolo criminale. La comunità internazionale si è svegliata soltanto
ora, dopo quanto accaduto a Parigi. Con 10 anni di ritardo».
Non è solo per una questione di fede che ora l’Europa è sotto attacco, vero?
«Naturalmente. Ci sono
ragioni economiche, sociali, perfino psicologiche. Ma dietro i
kamikaze c’è gente ben organizzata e ben pagata. L’Isis è
diventato uno Stato, con un budget più importante di quello di molti
governi arabi. Alle sue spalle ci sono regimi ben noti a tutto il
mondo. L’Europa deve svegliarsi e fare la guerra a questa
organizzazione psicopatica finché non avrà sterminato i selvaggi.
Che non vanno confusi con i musulmani: aggredire una donna in metrò
perché velata, come è successo, è un tragico errore. Le donne
vanno aiutate a strapparsi il velo, a trovare un lavoro. Perché una
donna che trova lavoro è una donna libera» .
Il Corriere della sera –
30 novembre 2015
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