18 novembre 2015

M. GUALTIERI, Caino


CAINO
Prologo
(al pubblico)

Guardami –
Io
con dita di ingegno e di brace
ho appeso al sangue le popolazioni
in navate di gelo
ho spinto rotto e sepolto
gli inermi della terra

ho vinto tante di quelle volte

facilmente ho battuto
ho stretto ho colpito forte
ho atterrito ho acceso
con ira improvvisa
tinto d’un fosco
la primavera di tutti

nel precipizio di un furore senz’argine
impossibile da barricare
ho tinto l’istante d’un sanguigno
somigliante al mio

quando gonfiava vicino a me, in me
uno strano scuro animale
in spinte
dalle profondità
in risalita furibonda
da un ignoto di me
da un buio di me
da oscure regioni dal fondo di me
da un dentro del dentro di me –
sua massa d’ombra gonfiava
gonfiava d’una marea potente
fino al trabocco dal petto
in una peste
in uno sbattere contro altra carne
e mutilarla e penarla

in un silenzio
dove l’ultimo gemito si raggruma
in freddo fratello
e apre un tacere che non smetterà.

Non smetterà di morire
questa vita
che passa da una carne a quell’altra
non smetterà questa bestia
la sua risalita dal petto.

Nasce ora, in questa notte
Un altro più simile a me.
Nasce continuamente.
E io questa notte.
In quest’ora.
Per lui e per me. Ho pietà.






CAINO

Guardami –
Non prometto niente di buono.
Sono messo qui a dirti qualche cosa
che non capisci bene –

Io sono la prima profezia.
La profezia che porto nella carne
è questa : calpesterai ciò che ami.
Molto vicino, intorno
e dentro di te – ciò che ti fa vivo
lo massacrerai.

La profezia è questa :
ti butterai in un agire furioso
fino alla rovina.

Dopo non so. Non so.
Non so cos’altro covi.

Io sono Caino. Non sono l’antenato
non abito un passato favoloso
non sono la pagina di un libro
io non sono il reietto
il primo mal riuscito che s’accantona e si perde
una manovra sbagliata della creazione
io non sono
una patologia malata.

Non sono la favola stantia
di due fratelli nello scenario vuoto
del principio. Io vivo adesso
dentro ogni umano, e lo strattono
fino all’insolenza, fino al delitto
a volte.

Sono il tuo infecondo, il secco, la desolata riva
da cui guardi la terra fertile degli altri,
il loro stare bene e te ne duoli, ti rodi,
la più sterile riva
su cui piombi stremato, a volte.

Sono io il mistero
del male che ti attrae
e con cui ti batti. Sempre.

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