L’America di Steinbeck
di Giorgio Gizzi
John Steinbeck nacque in California, a Salinas, all’inizio del secolo scorso: intorno al 1925 abbandonò studi universitari molto regolari alla Stanford University e si trasferì in quella New York in cui morì nel 1968, dopo tre matrimoni e molti libri, annoverabili tra i capolavori della letteratura americana del secolo scorso: Pian della Tortilla, Uomini e topi, Furore, La valle dell’Eden, solo per citarne alcuni.
Nel 1960, la sua popolarità era ad un livello molto basso: il suo nome era legato ai ricordi della grande depressione e chi voleva, nei doratissimi anni sessanta, ricordare quelle storie di miseria e disoccupazione?
Alcuni critici arrivarono a definire Steinbeck, in modo ingeneroso e dispregiativo, il “principe degli scrittori di second’ordine”. Inaspettato invece arrivò, a farli ricredere, il Nobel per la letteratura, nel 1962. E fu di nuovo l’onore.
Appena due anni prima, uno Steinbeck quasi sessantenne si era rimesso su strada con una roulotte, ribattezzata Ronzinante, come il cavallo di Don Chisciotte. Aveva scelto di lasciare il suo villaggio dorato ( nel quale si era come autorecluso ), di tradire l’uso e l’abitudine stanca della pesca al mattino, scegliendo di avere per solo compagno di viaggio un barboncino che obbedisce solo se gli si rivolge in francese, malato di prostata, ora presuntuoso ora schifiltoso, chiamato Charley. È a Charley che Steinbeck parla ogni sera dei suoi scrittori preferiti e di quanto visto nel corso della giornata. Le case mobili erano allora un’opzione molto presente nel grande paese americano e la roulotte di Steinbeck non era il mezzo snob di un eccentrico o di un ricco annoiato, ma un elemento capace di confondersi nel paesaggio.
Il viaggio lo porta per le strade d’America, le vene della nazione, lontano dai luoghi turistici comuni: Steinbeck scopre di non conoscere più il suo paese, di lavorare invece ormai a memoria. Passa dentro città fragorose di fabbriche ed impestate di traffico. Visita le montagne e si imbatte in insegne, accanto a corsi d’acqua, che offrono in vendita solo uova fresche. Sosta a Deer Isle, l’isola accucciata come un lattante sulla mammella del Maine, che come Avalon sembra scomparire quando non ci sei sopra.
Citiamo su tutti lo stupore che gli suscita la vista di Seattle:
In Viaggio con Charley Steinbeck scrive un passo molto citato che nessuno sa dover essergli attribuito: “non siamo noi a fare il viaggio; è il viaggio che fa noi”, manifesto indiscusso di tutti coloro che non vogliono essere, nei luoghi del mondo, dei turisti, ma dei veri viaggiatori, ed imparare a vedere davvero; ma il libro tutto è cosparso di pezzi di bravura narrativa che incantano e che avrebbero gemmato poi, nelle menti di altri.
Steinbeck racconta ad esempio di come il nome di un’oscura cittadina del North Dakota gli abbia sempre causato una risonanza interna; prendendo una cartina degli Stati Uniti e piegandola in due, margine orientale contro margine occidentale, e poi passando l’unghia sulla piega, al centro c’è questo posto, il cui nome va perso, a lungo andare, proprio per via della piegatura: è Fargo, a cui i fratelli Coen dedicarono nel 1996 un film indimenticabile.
Alla fine del suo andare, John Steinbeck si trova in fondo a Manhattan, in quella parte della sua New York dove “ogni sera è la corrida”, perso, è incapace di trovare la strada di casa. È solo grazie ad un agente di polizia che il “viaggiatore tornò a casa sua”.
Il libro di Steinbeck tuttavia attecchisce ed ispira; tanto da esser l’antesignano di molta letteratura di viaggio come Strade blu di William Least Heat Moon , il quale vent’anni più tardi circa percorrerà, fresco di divorzio e presosi un anno sabbatico, le strade meno battute d’America, raccontando di incontri casuali e persone stravaganti.
Ed ancora, pochi anni fa, l’olandese Geert Maak, riprodusse pari pari il viaggio di Steinbeck, tappa dopo tappa, al solo scopo di avere il polso di come fosse cambiata la nazione americana: trovò New Orleans ancora preda dell’uragano ed una Detroit cimiteriale, abbandonata dalle grandi fabbriche d’auto. Il suo percorso ha dato vita a un libro intenso: In America. Viaggi senza Steinbeck, pubblicato quest’anno da Ponte alle Grazie.
Il fondamentale In viaggio con Charley invece, al centro di questa nostra puntata di Viaggiare leggendo, risulta da una ventina d’anni almeno fuori catalogo.
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