Elisa con i veli (1907)
In mostra
l'opera di Giacomo Balla. pittore del movimento ma anche capace di grande introspezione nei ritratti femminili.
Lea Mattarella
Giacomo Balla. Il viaggio andata e
ritorno fra realismo e futurismo
Proprio un secolo fa
Giacomo Balla e Fortunato Depero scrivevano il Manifesto della
ricostruzione futurista dell’universo. Erano passati sei anni da
quello del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti a cui ne erano
seguiti ben due dedicati alla pittura e poi, via via, un po’ a
tutto il resto: scultura, teatro, danza ecc. Si sa, l’avanguardia
italiana si è mossa per proclami.
La Fondazione Magnani
Rocca a Mamiano di Traversolo (Parma), ricorda e celebra la
ricostruzione futurista del 1915, la cui idea principale era quella
di rifondare il mondo “rallegrandolo”, con una mostra, curata da
Elena Gigli e da Stefano Roffi, aperta fino all’8 dicembre,
dedicata all’intero e variegato percorso artistico di Giacomo
Balla. Qui ogni sala è intitolata agli aggettivi a cui, con enfasi,
il manifesto fa riferimento per rinnovare il mondo. L’artista
torinese viene così declinato in opere che ne mostrano il lato
astratto, dinamico, trasparentissimo, coloratissimo e luminosissimo,
trasformabile, autonomo, drammatico, volatile, scoppiante.
In ognuna di queste
sezioni si trovano testimonianze che possono essere ricondotte a ogni
momento della carriera di Balla, divisa sostanzialmente in tre grandi
fasi: il realismo e il divisionismo iniziale, il futurismo e, infine,
il ritorno alla figura.
Per comprendere la
divisione per temi dell’esposizione, ecco l’interpretazione che i
due curatori danno del termine volatile, raccontandolo al femminile.
E va subito detto che, come scrive Antonio Carnevale in catalogo
(Silvana Editoriale), qui «ci si addentra in un territorio intimo e
poetico: si penetra un “lessico familiare” che attraverso le
opere si fa racconto sentimentale; le stagioni della vita assumono i
contorni di sacrifici, entusiasmi, dolori, soddisfazioni, attese,
nella costante condivisione con le presenze della moglie e delle
figlie».
Il dubbio (1907-1908)
Sono in effetti Elisa,
Luce e Elica le sue modelle privilegiate. La prima compare in
un’opera bellissima del 1904 Elisa sulla porta , dove è evidente
che l’interesse per la fotografia di Balla risale a prima della sua
infatuazione futurista per il movimento e lo studio della
cronofotografia di Muybridge e la fotodinamica di Anton Giulio
Bragaglia. D’altra parte Balla era figlio di un appassionato
fotografo dilettante. Il taglio di questo pastello e carboncino su
carta decentra la figura, tutta spostata sulla sinistra, ed è
costruito con un evidente effetto di controluce. Monocroma, quasi
completamente in bianco e nero, tranne che per il particolare della
porta quasi dipinta di sole, quest’opera ci pone davanti la figura
di Elisa come un vero e proprio interlocutore, non solo per la grande
dimensione ma anche per la scansione dello spazio che invita chi
guarda a entrare nel quadro.
Certamente volatile è la
protagonista di un altro dipinto affascinante, Il dubbio , che
raffigura una fanciulla di spalle mentre si gira lentamente verso lo
spettatore con uno sguardo carico di interrogativi. Più tardi il
pittore schiarisce la tavolozza.
Elisa con i veli del 1907
è un esempio di come questo avvenga in virtù della pennellata
filamentosa e carica di luce tipica del Divisionismo di cui l’artista
si appropria. Si comprende come tutto questo possa condurlo alle
“linee forza” futuriste, a quella stagione in cui gli artisti che
aderiscono al movimento dichiarano con enfasi: «Noi ci proclamiamo
signori della luce».
Tutto era nato con la
visita al suo studio romano di due pittori più giovani, Umberto
Boccioni e Gino Severini. Insieme a loro, e con Carrà e Russolo, nel
1910 l’artista firma il manifesto della pittura futurista. Balla ha
39 anni, ma si lancia con entusiasmo nella nuova avventura. La
velocità e il movimento lo conducono verso l’astrazione. In mostra
ci sono i suoi studi sui voli di rondine dove è la forma stessa
dell’uccello a indirizzarlo verso l’eliminazione della figura.
Tanto più rapido è il suo movimento, tanto più la percezione che
ne abbiamo diventa astratta. E se, come sosteneva Marinetti, «un
automobile ruggente che sembra correre sulla mitraglia, è più bello
della Nike di Samotracia », Balla lo mostra sulla tela.
Forze di paesaggio + cocomero (1917-1918)
Per lui la velocità è
ripetizione, il movimento una sequenza di immagini che si susseguono
uguali l’una accanto all’altra. Boccioni invece cerca una «forma
unica nella continuità dello spazio » e rifiuta la reiterazione
della medesima forma. Entrambi però sono convinti che «tutto si
muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile
davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente», come
sostengono nel loro manifesto tecnico.
Per Balla il moto e la
luce distruggono la materialità dei corpi: nascono così le
Trasformazioni e le idee che sorgono in forme circolari, come fossero
elementi naturali, presenti in mostra. Nel 1915 il pittore si
convince che tutto questo non può limitarsi al quadro e alla
scultura ma deve invadere ogni angolo della vita. «Troveremo degli
equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi
dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della
nostra ispirazione, per formare complessi plastici che metteremo in
moto», dichiara con Depero.
Ecco fiori futuristi di
legno colorato, abiti trasformabili, cappelli, borse, persino
stampelle. Tutto reinventato. Poi lo vediamo tornare alla figura in
quegli autoritratti in cui, però, del Futurismo è rimasta la
libertà della parola: si chiamano Auto ballarioso, Autocaffè,
Autoghigno come in un gioco che continua.
La Repubblica – 1
novembre 2015
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