12 novembre 2015

GIACOMO BALLA TRA REALISMO E FUTURISMO


Elisa con i veli (1907)

In mostra l'opera di Giacomo Balla.  pittore del movimento ma anche capace di grande introspezione nei ritratti femminili.

Lea Mattarella

Giacomo Balla. Il viaggio andata e ritorno fra realismo e futurismo


Proprio un secolo fa Giacomo Balla e Fortunato Depero scrivevano il Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo. Erano passati sei anni da quello del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti a cui ne erano seguiti ben due dedicati alla pittura e poi, via via, un po’ a tutto il resto: scultura, teatro, danza ecc. Si sa, l’avanguardia italiana si è mossa per proclami.

La Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversolo (Parma), ricorda e celebra la ricostruzione futurista del 1915, la cui idea principale era quella di rifondare il mondo “rallegrandolo”, con una mostra, curata da Elena Gigli e da Stefano Roffi, aperta fino all’8 dicembre, dedicata all’intero e variegato percorso artistico di Giacomo Balla. Qui ogni sala è intitolata agli aggettivi a cui, con enfasi, il manifesto fa riferimento per rinnovare il mondo. L’artista torinese viene così declinato in opere che ne mostrano il lato astratto, dinamico, trasparentissimo, coloratissimo e luminosissimo, trasformabile, autonomo, drammatico, volatile, scoppiante.

In ognuna di queste sezioni si trovano testimonianze che possono essere ricondotte a ogni momento della carriera di Balla, divisa sostanzialmente in tre grandi fasi: il realismo e il divisionismo iniziale, il futurismo e, infine, il ritorno alla figura.

Per comprendere la divisione per temi dell’esposizione, ecco l’interpretazione che i due curatori danno del termine volatile, raccontandolo al femminile. E va subito detto che, come scrive Antonio Carnevale in catalogo (Silvana Editoriale), qui «ci si addentra in un territorio intimo e poetico: si penetra un “lessico familiare” che attraverso le opere si fa racconto sentimentale; le stagioni della vita assumono i contorni di sacrifici, entusiasmi, dolori, soddisfazioni, attese, nella costante condivisione con le presenze della moglie e delle figlie».
    Il dubbio (1907-1908)

Sono in effetti Elisa, Luce e Elica le sue modelle privilegiate. La prima compare in un’opera bellissima del 1904 Elisa sulla porta , dove è evidente che l’interesse per la fotografia di Balla risale a prima della sua infatuazione futurista per il movimento e lo studio della cronofotografia di Muybridge e la fotodinamica di Anton Giulio Bragaglia. D’altra parte Balla era figlio di un appassionato fotografo dilettante. Il taglio di questo pastello e carboncino su carta decentra la figura, tutta spostata sulla sinistra, ed è costruito con un evidente effetto di controluce. Monocroma, quasi completamente in bianco e nero, tranne che per il particolare della porta quasi dipinta di sole, quest’opera ci pone davanti la figura di Elisa come un vero e proprio interlocutore, non solo per la grande dimensione ma anche per la scansione dello spazio che invita chi guarda a entrare nel quadro.

Certamente volatile è la protagonista di un altro dipinto affascinante, Il dubbio , che raffigura una fanciulla di spalle mentre si gira lentamente verso lo spettatore con uno sguardo carico di interrogativi. Più tardi il pittore schiarisce la tavolozza.

Elisa con i veli del 1907 è un esempio di come questo avvenga in virtù della pennellata filamentosa e carica di luce tipica del Divisionismo di cui l’artista si appropria. Si comprende come tutto questo possa condurlo alle “linee forza” futuriste, a quella stagione in cui gli artisti che aderiscono al movimento dichiarano con enfasi: «Noi ci proclamiamo signori della luce».

Tutto era nato con la visita al suo studio romano di due pittori più giovani, Umberto Boccioni e Gino Severini. Insieme a loro, e con Carrà e Russolo, nel 1910 l’artista firma il manifesto della pittura futurista. Balla ha 39 anni, ma si lancia con entusiasmo nella nuova avventura. La velocità e il movimento lo conducono verso l’astrazione. In mostra ci sono i suoi studi sui voli di rondine dove è la forma stessa dell’uccello a indirizzarlo verso l’eliminazione della figura. Tanto più rapido è il suo movimento, tanto più la percezione che ne abbiamo diventa astratta. E se, come sosteneva Marinetti, «un automobile ruggente che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Nike di Samotracia », Balla lo mostra sulla tela.
    Forze di paesaggio + cocomero (1917-1918)

Per lui la velocità è ripetizione, il movimento una sequenza di immagini che si susseguono uguali l’una accanto all’altra. Boccioni invece cerca una «forma unica nella continuità dello spazio » e rifiuta la reiterazione della medesima forma. Entrambi però sono convinti che «tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente», come sostengono nel loro manifesto tecnico.

Per Balla il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi: nascono così le Trasformazioni e le idee che sorgono in forme circolari, come fossero elementi naturali, presenti in mostra. Nel 1915 il pittore si convince che tutto questo non può limitarsi al quadro e alla scultura ma deve invadere ogni angolo della vita. «Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare complessi plastici che metteremo in moto», dichiara con Depero.

Ecco fiori futuristi di legno colorato, abiti trasformabili, cappelli, borse, persino stampelle. Tutto reinventato. Poi lo vediamo tornare alla figura in quegli autoritratti in cui, però, del Futurismo è rimasta la libertà della parola: si chiamano Auto ballarioso, Autocaffè, Autoghigno come in un gioco che continua.


La Repubblica – 1 novembre 2015

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