Domenica
27 dicembre alle ore 16,30 al Castello di Mezzojuso, verrà presentato
il catalogo delle opere dell'artista mezzojusaro Giuseppe Mandalà, detto
Celestino.
Il volume, pubblicato dall'Associazione Culturale "Prospettive", è curato da Giuseppe Di Miceli.
Contiene
testi di Vincenzo Cuttitta, Roberto Lopes, Anna Maria Ruta, Nicola
Figlia e una testimonianza delle figlie dell'artista, Simona, Rossana e
Sira Mandalà.
Anticipiamo il testo di Nicola Figlia, inviatoci gentilmente dal caro amico Pino Di Miceli.
Anticipiamo il testo di Nicola Figlia, inviatoci gentilmente dal caro amico Pino Di Miceli.
VI PRESENTO IL PITTORE MANDALÀ
di Nicola Figlia
“Ragazzi, vi presento il pittore
Mandalà”, ci disse, fiero dell’amico, il maestro Santino Gebbia, con noi
ragazzini in piedi. Così lo conobbi.
Fino alla retrospettiva del 1971
le opere che costituivano la sua pittura erano per me i due pannelli esposti
alla Madonna dei Miracoli, il panorama di Mezzojuso che vedevo quando andavo
dal calzolaio mastro Antonino Cuttitta, un ritratto di mucca da lui proposto e
realizzato in affresco sulla facciata di una stalla, il paesaggio donato al
Comune di Mezzojuso.
Poi lo conoscevo attraverso gli
aneddoti che si raccontavano: le lunghe escursioni per campagne e montagne, il
lavoro estivo per potersi pagare gli studi, la puntualità nel sanare i debiti e
la corsa vinta da lui contro un’ignara corriera proveniente da Palermo, nel
tratto Villafrati, Mezzojuso, sfruttando le scorciatoie.
Conosceva tutti, sempre in giro a
dialogare con la gente, proponeva o gli proponevano temi pittorici. Tutti
avrebbero voluto possedere una sua opera.
Il pagamento per quei tempi non
era sempre in forma di denaro, anzi, spesso in forma di baratto celato, si
dice, “disobbligo” da una delle parti.
Ogni sindaco che si è succeduto
al comune di Mezzojuso avrebbe voluto organizzare una sua antologica, ma la
difficoltà era recuperare le opere.
Solo con il lavoro certosino del
professore Pino Di Miceli, una ricerca quasi porta a porta, oggi si ha la
possibilità di conoscerle quasi tutte.
Legato all’ambiente, Mandalà si
pone di fronte ad esso per scrutarlo e leggerlo.
È dotato di capacità
tecnico-espressive per poter interpretare l’oggetto realtà attraverso una
osservazione acuta ed equilibrata. E la realtà ti sfida nel dialogo e chiede
rispetto.
Utilizzava diversi tipi di
supporto: tela, compensato, muro, suppellettili e diversi tipi di tecniche:
olio, affresco, china, acquarello.
Per i ritratti, spesso di amici,
predilige la posa frontale o di profilo, scelta che lo aiuta a cogliere la
fisionomia e i lineamenti essenziali: dal vero devi risolvere i problemi che il
modello ti pone: per questo sono irripetibili. Non sempre rifiniti sono risolti
in maniera diversa: con contrasti luminosi, pennellate materiche e sciolte, con
morbidi chiaroscuri, con colori puri per poi arrivare alla vitalità del
personaggio e al suo lato psicologico.
Il segno è vivo e scattante nelle
scene di campagna: la pennellata corposa, fresca, pulita, costruttiva, conserva
gli effetti chiaroscurali e si adegua al movimento e ai gesti dei personaggi.
Negli angoli di paesaggio urbano
la linea, luce e l’ombra costruiscono il sistema dei piani e dello spazio. In
qualcuno la luce è scomposta e risente della lezione cubista.
Nel paesaggio naturale il colore
si libera, diventa linea, forma, luce, impressione, espressione o costruisce
con stesure morbide e sensuali.
Il momento più alto del suo
operare in rapporto con l’ambiente è nei due pannelli del miracolo de La guarigione del lebbroso, dove il suo
immaginario coincide con quello della gente. In questo racconto, che richiede
uno schema compositivo complesso e articolato, inserisce alcuni ritratti,
compreso il suo, di compaesani come utilizzo interpretativo dei ruoli.
Maggiore cura realistica hanno le
nature morte realizzate con un colore fresco e luminoso.
Ma Mandalà non sempre si contenta
di essere complementare all’ambiente e fedele all’osservazione. Quando si
allenta questo rapporto con il reale sceglie temi simbolico-universali letti
attraverso il formalismo sintetico e volumetrico appreso dal suo maestro
Alessandro Manzo, che lo avvicina al primitivismo dei pittori italiani del
tempo: Sironi, Rosai, Campigli e soprattutto Carrà, mentre lo sfiorano Guttuso,
Picasso, l’astrattismo o l’informale.
Le figure si isolano con le loro
pose nello spazio preferibilmente bidimensionale, sia nei bassorilievi (sbalzi)
che nella pittura, raramente inserite in uno spazio contenitore, o sono rette
da una linea costruttiva e dinamica che movimenta la figura dall’interno
(bizantinismo?).
Il sintetismo formale continua
anche quando affida le sue composizioni al colore; un colore puro acceso che
significa per se stesso, dunque simbolico e che diventa tarsia e spazio e
assume un sapore surreale e la figura umana diventa manichino animato, volume
ombra.
Concludendo, possiamo affermare
che Mandalà ha sentito il rumore dei chiodi degli scarponi, il solleone patito
dai mietitori, il calpestio dei muli, gli odori e i colori della natura. Ha
respirato con le narici e con gli occhi. Ciò gli ha permesso di raggiungere a
volte un alto livello di lirismo, tanto sognato e ammirato solo nei “classici”.
Ha indagato pure nel mondo delle forme al limite della stilizzazione. Cocciuto,
intraprendente e determinato per aver osato fare un (chiamiamolo) mestiere per
niente remunerativo per quei tempi e in questi luoghi, eppure lo sento soddisfatto
per esservi riuscito. Parte integrante dell’ambiente e della sua cultura,
esempio e punto di riferimento.
Nicola Figlia
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