Ritratto del dio
nordico, famoso per i suoi inganni, legato per punizione alle rocce
come il Prometeo dei Greci.
Alessandro Zironi
Il nemico di Odino
astuto e un po’ codardo che partorì un cavallo
Oramai alle
soglie della fine del periodo aureo della cultura islandese, nel XIII
secolo, un erudito dell’isola dei ghiacci, Snorri Sturluson, pensa
che sia giunto il tempo di salvare la memoria del passato pagano.
Scrive un’opera, Edda , per gli studiosi Edda in prosa . È una
sorta di manuale per decodificare metri poetici, ma anche
un’esemplificazione di miti e metafore che fanno riferimento a un
patrimonio culturale la cui conoscenza, alla metà del secolo XIII,
stava tramontando. Per noi, lettori del XXI secolo, l’ Edda di
Snorri è diventata la guida per poter decifrare una cultura immensa,
sepolta dal tempo.
Qui troviamo raccolti i racconti mitologici con protagoniste le divinità nordiche, fra cui Loki. Ad esempio, Hár, nome con cui si cela Odino, spiega al suo interlocutore chi è Loki: un dio che infama, ordisce inganni, vergogna di dèi e uomini; forte, bello, ma di carattere malvagio, incostante, astuto e ingannatore; mette in difficoltà gli altri dèi, però sa anche trarli d’impiccio. Certo, diremmo noi, un ritratto non proprio lusinghiero, ma allo stesso tempo ambivalente: di bell’aspetto e vigoroso, ma parimenti perfido e con un’arguzia votata al male.
Loki è un dio
difficilmente imprigionabile in un mondo in cui gli esseri divini
hanno solitamente precise e nette caratteristiche. Già a partire dal
suo nome, di etimologia incerta: forse rinvia all’antico nordico
log , «fiamma», oppure potrebbe essere una variante di Loptr/Loftr,
nome con cui viene anche nominato. Loptr è legato a lopt , «aria»,
oppure Loki rimanda alla forma svedese medievale locke , «ragno».
Tutte queste proposte hanno in sé un po’ di verità, ma nessuna permette di ingabbiare il dio. Forse a maggiore aiuto giungono le kenningar , forme metaforiche proprie della poesia medievale antico nordica, in cui due nomi, appartenenti a campi semantici differenti, sono uniti per offrirne un altro quale soluzione. Ad esempio Loki è la soluzione della kenning «padre della cinghia dell’oceano», ovvero padre di Miðgarðsormr, alla lettera «il serpente della terra di mezzo», il terribile rettile che giace negli abissi abbracciando con le sue spire tutta la Terra.
Loki è detto anche il «padre del lupo», cioè
del mostruoso lupo Fenrir, che alla fine dei tempi ingoierà Odino; o
ancora «il fardello delle braccia di Sigyn» ovverosia «marito di
Sigyn», una liaison che è stata molto rappresentata anche nella
pittura ottocentesca e ha offerto spunto a numerose riscritture
contemporanee, specie fumetti e manga.
Proprio il rapporto fra Loki e Sigyn permette di decifrare con maggior facilità alcuni aspetti del dio. Loki viene legato a tre massi di pietra con le viscere dei suoi due figli generati con la moglie: sopra di lui viene posto un serpente che gocciola veleno sul suo capo; la moglie Sigyn regge un catino per raccogliere il siero letale, ma quando il bacile è colmo ed ella si allontana per svuotarlo, gocce di veleno cadono sul volto di Loki e questi si scuote provocando terremoti. Questa la pena di Loki sino ai Ragnarök, «destini degli dèi», cioè la fine dei tempi.
Quello di Loki prigioniero è uno dei miti più recenti riferiti al dio che, al pari di altre narrazioni mitologiche nordiche, è forse influenzato dalla cultura classica (vedi il mito di Prometeo) e, ancor più, dal cristianesimo. Il dio legato non è episodio conosciuto al paganesimo germanico, ma deriva probabilmente da racconti cristiani in cui l’Anticristo è incatenato negli inferi, ove spezzerà le sue catene ai tempi del Giudizio Universale. Anche la motivazione della pena rispecchia vicende legate alla vita di Cristo: il dio Baldr, figlio di Odino, viene fatto uccidere da Loki (da qui discende la sua punizione eterna), mentre Baldr tornerà dal regno dei morti a reggere il mondo nuovo, sorto dopo i Ragnarök.
Il nostro Loki è pertanto un dio perfido, ingannatore, in continuo contrasto con gli altri dèi, verso i quali usa parole di scherno nel componimento poetico che porta il suo nome, la Lokasenna «l’invettiva di Loki», in cui ingiuria tutte le divinità, ma è a sua volta accusato da Odino di bisessualità avendo partorito figli. Tutti ricorderanno che anche Zeus genera Atena, ma Loki si spinge oltre, mettendo al mondo streghe, restando gravido dopo aver mangiato il cuore di una donna maligna; partorisce anche il cavallo a otto zampe, Sleipnir, che sarà poi di Odino, dopo essersi trasformato in giumenta e aver attratto uno stallone nei boschi. Con la gigantessa Angrboða darà alla luce il lupo Fenrir, il serpente cosmico Midgarðsorm e la dea Hel, custode del regno dei morti.
La doppia sessualità del dio rispecchia una ritualità religiosa pagana germanica piuttosto arcaica, già ricordata nel I secolo d. C. da Tacito nell’opera Germania , ove cita sacerdoti in abiti femminili. Nel mondo nordico tale pratica prende forma nel seiðr , rito dapprima religioso, poi magico-stregonesco, in cui uomini si cimentano in pose sessuali spiccatamente femminili. Da attività rituale (si dice che Odino stesso abbia praticato tali costumi) l’inversione sessuale e l’omosessualità divengono oggetto di repulsione in una società sempre più cristiana e perciò sono connesse a Loki, il dio malvagio.
Loki appartiene al Pantheon nordico sin da tempi remoti; radici profonde, in correlazione anche coi suoi natali: è figlio di un gigante, di una stirpe ctonia e malvagia, con cui egli si allea alla fine dei tempi partecipando allo scontro insieme ai giganti e a tutti gli esseri demoniaci contro gli dei. Morirà, Loki, nello scontro finale, nella lotta con il dio Heimdallr, il guardiano dell’ordine cosmico.
Denuncia la sua presenza
antica l’appartenenza a una triade divina che novera Odino e
Hoenir: ce ne resta traccia nel Haustlöng , uno dei poemi più
antichi che fanno riferimento al dio, composto dal poeta Þjóðólf
di Hvín, forse addirittura del IX secolo. Si tratta di un tipo di
componimenti tipici dell’epoca, ovverosia la descrizione di scene
riportate sbalzate su uno scudo. In una di queste Loki, insieme agli
atri due dei, trafigge con un palo un gigante trasformatosi in
aquila. Rimasto attaccato al palo, Loki, atterrito, è trascinato in
volo.
È il primo di tanti
esempi in cui egli è in preda alla paura. Le testimonianze più
tarde lo vedranno infatti protagonista di scene e avventure
buffonesche; al medesimo tempo è il primo esempio di Loki in
associazione con mutazioni in animali di cui egli stesso farà gran
uso (in giumenta, come detto, ma anche in pulce, mosca, falco,
salmone ecc.).
Loki appartiene a più mondi, quello dei giganti, degli dèi, degli animali; reca danno, ma allo stesso tempo aiuta le divinità; possiede un’astuzia votata per lo più al male, ma allo stesso tempo è codardo. Sono tutti aspetti necessari all’ordine cosmico, in cui il bene non può sussistere senza il male. Loki è perciò un dio essenziale della mitologia nordica: anche se non è mai stato venerato e non ci sono luoghi che ricordino il suo nome, ha sempre goduto di grande fortuna, sia nei miti medievali che nelle riletture contemporanee.
Il Corriere della sera –
27 dicembre 2015
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