Un saggio di Giulio
Guidorizzi indaga sul ruolo e sull’importanza che le pratiche
magiche avevano nel mondo antico. In età classica c’era la
convinzione che dietro la realtà vi fosse una trama segreta fatta di
affinità e di corrispondenze.
Maurizio Bettini
Quegli incantesimi che
interpretano l’universo
Plinio il Vecchio non fu
solo il grande erudito della “Naturalis historia” e lo scienziato
coraggioso che morì per osservare da vicino l’eruzione del 79 d.
C.: fu anche un uomo di grande saggezza. Dobbiamo a lui infatti una
delle osservazioni più interessanti che siano state fatte a
proposito della magia: «Presi uno a uno, i più dotti rifiutano di
credere al potere degli incantesimi e delle parole potenti: ma la
vita presa nel suo complesso ad ogni momento vi presta fede, e non se
ne accorge».
Da un lato dunque sta il
pensiero razionale, il quale rifiuta la possibilità che formule,
scongiuri o gesti rituali possano produrre effetti sulla realtà che
ci circonda; dall’altro sta invece la “vita” – di cui anche
gli stessi “dotti” partecipano – la quale continua a prestar
fede a cose del genere anche e soprattutto quando “non se ne
accorge”.
Per venire all’oggi,
della credenza sulla magia partecipano tanto la ragazza che telefona
al mago televisivo perché riporti a lei l’innamorato, quanto il
broker di borsa che al mattino sfoglia l’oroscopo. E che dire di
quel celebre fisico che teneva un ferro di cavallo in laboratorio? Di
fronte allo stupore di un collega, commentò così: «Mi dicono che
funziona anche se non ci si crede». È la vita, che “crede” e
non se ne accorge.
Nel mondo antico, comunque, la vitalità della magia fu particolarmente vasta e pervasiva. Documenti della sua presenza li troviamo un po’ ovunque: se la poesia greca e romana parla di filtri e incantamenti d’amore, le Metamorfosi di Apuleio e il Satyricon di Petronio offrono percorsi perturbanti attraverso gli spazi, reali ma anche mentali, della magia: uomini sgozzati eppure tenuti in vita dalle arti malefiche, streghe-donnole che rubano i lineamenti ai cadaveri prima del funerale, lupi mannari che orinano attorno alle tombe, donne che si ungono di misteriose pomate ed escono volando dalla finestra, come uccelli.
Anche i trattati di
agricoltura contengono sorprese interessanti. Vi si incontra per
esempio l’incantesimo usato per sanare le lussazioni, che prevedeva
l’applicazione all’arto di una canna tagliata in due e,
soprattutto, l’ossessiva ripetizione di queste misteriose parole:
«Moetas vaeta daries dardaries asiadarides una petes». Oppure il
rimedio usato contro la grandine, quando «contrapponendo alla nube
uno specchio se ne raccoglie l’immagine e in questo modo, sia che
la nube si veda brutta, sia che si ritragga di fronte a ciò che
crede un’altra nube, si riesce a scacciarla».
Ma la magia antica non sta solo nella letteratura. Nelle tombe, nelle fondamenta degli edifici, nei pozzi, si sono trovate laminette di piombo – chiamate tabellae defixionis, letteralmente “tavolette di inchiodamento” – che scagliano maledizioni contro rivali in amore, ladri, avversari in tribunale, persino competitori nelle gare sportive.
«Come il morto che è qui sepolto non può né parlare, né dissertare, così Rhodine che (è) con Marco Licinio Fausto, morta sia, né possa parlare né dissertare», sentenzia una defixio amatoria del I secolo a. C. Opera di una donna che contendeva a Rhodine l’amore di Fausto. Possiamo persino penetrare nei laboratori della magia, in particolare quella di tradizione ellenistica, per carpire i suoi segreti. Nel 1852, infatti, Jean D’Anastasi, console svedese al Cairo, comprò un’intera raccolta di papiri magici trovati (o almeno così fu detto) in una tomba vicino a Tebe. Con tutta probabilità essi costituivano la biblioteca di lavoro di un mago, una raccolta di formule che fu sepolta con lui per assicurargli (forse) la possibilità di esercitare anche nell’aldilà. La lettura di questi testi è davvero impressionante. Vi si dettagliano parole, ingredienti, rituali propri di ciascun processo magico a seconda dei diversi scopi che esso si prefigge: l’unico spazio lasciato in bianco (alla maniera di un modulo prestampato ad uso burocratico) è quello destinato a contenere il nome della malcapitata vittima.
Come orientarsi in un universo così vasto e complesso? Il lettore appassionato di credenze magiche e di storia della cultura, oggi ha a disposizione il bel volume di Giulio Guidorizzi, La trama segreta del mondo. La magia nel mondo antico, edito dal Mulino. La lettura di questo libro è appassionante, perché combina limpide pagine teoriche — e si sa bene quanto provocatorie siano, sul piano intellettuale, le credenze magiche — con una straordinaria sequenza di racconti, vicende, pratiche, aneddoti, che tutti in definitiva fanno capo a questa convinzione: che l’universo sia retto da una segreta trama di affinità e corrispondenze.
Per questo il mago, che
ne conosce l’esistenza e soprattutto possiede l’arte di
manipolarla, può produrre effetti mirabolanti sulla realtà che lo
circonda. «In linea generale», scrive l’autore nell’Introduzione,
«la magia presuppone che in certi momenti, e sotto l’influsso di
certi riti, il flusso dell’esperienza ordinaria si sfilacci per
dare spazio a un altro piano di realtà: è la fessura attraverso la
quale si penetra in un universo parallelo ma occulto».
Il pensiero positivo, se così vogliamo chiamarlo, ha tentato più volte di categorizzare l’esperienza magica per distinguerla, in primo luogo, dalla religione: impresa ardua, come ben mostra la sintesi di Guidorizzi, perché in questo campo le distinzioni sono legate a ciò che si intende per religione e, soprattutto, a quale tipo di soprannaturale si vuole riservare questa più nobile denominazione. Per gli antichi Egizi, ad esempio, la pratica della magia faceva strettamente parte della religione, così come è difficile negare che in Grecia l’intervento di divinità quali Afrodite o Hermes venga talora invocato in contesti che a noi appaiono decisamente magici. Né possiamo dimenticare che, se i cristiani definivano “maghi” taumaturghi come il noto Simone o Apollonio di Tiana — capace di guarire ciechi, storpi e paralitici, e persino di resuscitare i morti — anche Gesù fu ritenuto un “mago” da coloro che lo avversavano.
Ma infine, si può identificare il principio elementare, basilare, secondo cui agiscono i processi magici?
Se gli antichi ne individuavano la ragione nella “trama segreta” che teneva assieme l’universo, che cosa hanno detto i moderni rappresentanti del pensiero positivo? La descrizione più semplice, ma anche più comprensiva, di come funziona la magia, l’ha data George James Frazer, permettendo così ad altri studiosi di articolarla ulteriormente. Secondo questa interpretazione, la magia agisce secondo due assi principali: similarità da un lato, contatto dall’altro. Trafiggere con un ago la bambolina che “somiglia” al nemico da abbattere, opera attraverso la similarità: si costruisce infatti una “metafora” della vittima, e agendo su di essa, si pretende di annientarla.
Al contrario, gettare nel fuoco un ricciolo del nemico, perché anche lui possa ardere allo stesso modo, significa ricorrere al contatto, perché il ricciolo è parte del nemico, lo rappresenta per “metonimia”. Ecco che in questo modo la trama segreta del mondo sconfina nelle figure della retorica: a riprova del fatto che nell’universo, almeno in quello intellettuale, tutto si tiene.
La Repubblica – 29
dicembre 2015
Giulio Guidorizzi
La trama segreta del
mondo. La magia nell’antichità
Il Mulino, 2015
euro
16
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