Stefano Vilardo ad Alpe Cucco (Ficuzza) insieme a me e a Santo Lombino. 2004
Stefano Vilardo, pur avendo compiuto 93 anni, è ancora lucido e molto più vivo ed attivo di tanti giovani d'oggi. Così, mentre ancora stamattina conversava appassionatamente con me intorno alle tristi cronache dei nostri giorni, dopo avermi parlato di altri due suoi libri in corso di stampa, mi ha mostrato un prezioso libretto pubblicato questa estate da una piccola casa editrice nissena, di cui potete leggere di seguito la recensione che ne ha fatto Tano Gullo.
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Stefano Vilardo torna bambino e riscopre le fiabe siciliane "Specchio dell'Isola corrotta"
TANO GULLODraghi, "maare", mostri mutanti, orchi, re buoni e re cattivi, regine, principesse, fate matrigne, formule magiche, supereroi e "fetentoni". Una fantastica arca di Noè affollata da personaggi creati nei secoli dalle narrazioni orali. Buoni e malvagi, fessi e arguti, che a cavallo tra Ottocento e Novecento sono stati riportati alla luce dai pionieri della demopsicologia, antropologia in nuce. I medici Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino, il primo a Palermo l'altro a Borgetto, per la loro professione entrano ed escono dalle case, così tra una visita e l'altra allungano le orecchie per ascoltare "cunti", proverbi e apologhi. Poi a sera passano il tempo a trascriverli in dialetto e spesso a tradurli in italiano. Un hobby che fa il miracolo di conservare intatta la memoria popolare, che affida a queste storielle un forte significato etico. Lo stesso fanno a Mineo lo scrittore Luigi Capuana e nel Ragusano il "barone dei villani" Serafino Amabile Guastella, autore di quelle "Parità morali", una raccolta di storie che esprimono una sorta di codice civile ed etico del mondo contadino e delle altre classi subalterne.
Negli anni questo patrimonio etnologico, da un lato non è stato più alimentato da nuovi racconti — il che si spiega con il declino della tradizione rurale, incapace ormai di produrre " cultura" — e dall'altro finisce nel dimenticatoio, soppiantato da nuovi mostri — stavolta senza "morale" — che catturano l'attenzione delle nuove generazioni: il vampiro Twilight, gli zombie di "Walkingdead", i mostri di "Sleeoy Hallow", gli alieni di "X Files". Tra l'altro il dominio della televisione prima e di Internet poi — e durante — contribuisce a stendere una coltre di polvere su questi preziosi reperti del nostro passato. E dire che Italo Calvino nel secolo scorso aveva dato gran peso agli autori siciliani nella sua raccolta di "Fiabe Italiane" pubblicata nel 1956 da Einaudi e l'anno scorso la Donzelli ha ristampato le trecento favole "raccolte dal Pitrè" in due volumi.
Quest'attenzione, rivolta per lo più agli studiosi e al lettore nostalgico, non impedisce al virus dell'effimero, infestante dei nostri tempi, di continuare la sua incessante opera di demolizione. Ora Stefano Vilardo, il grande vecchio della letteratura isolana, tira fuori il fanciullino che è in lui e traduce, ricreandoli, quattordici racconti di Salomone Marino nel libro "Si conta e si racconta..." nella collana "L'immagine rovesciata" curata da Sergio Mangiavillano per le Edizioni Lussografica. «Da bambino — racconta Vilardo — per addormentarmi mia sorella mi raccontava intrecci di mostri, terrorizzato mi acciambellavo nella nicchia che mi ero scavato nella lana del materasso e aspettavo che i personaggi evocati mi saltassero addosso. Poi sfinito dalla lunga attesa mi addormentavo di un sonno pesante popolato di mostri e di giganti, di orchi e mammodraghi».
Prima che la televisione monopolizzasse ogni spazio e ogni ora delle famiglie, era frequente trascorrere le serate ammaliati dai "cunti" — a Palermo c'erano dei professionisti che a pagamento raccontavano e nei paesi c'era sempre qualcuno investito da amici e parenti da una sorta di laurea in narrazione — in compagnia di lupi mannari e di ogni sorta di antieroi tenebrosi dotati dei più svariati poteri. «I bambini — dice l'autore — hanno bisogno dei mostri e delle paure che essi scatenano, perché fortificano, fanno crescere, rappresentano la loro iniziazione di vita. Non lo sostengo io ma grandi studiosi, come gli psicanalisti Lella Ravasi Bellocchio e Jan-Uwe Rogge, dell'Università di Tubinga».
Per quanto riguarda gli adulti i "cunti" inscenano la morale dei vinti, dei reietti, dei dannati della terra, che cercano nei sogni, impossibili rivalse. A detta di Vilardo è però «una morale estremamente claudicante, da dove innocentemente affiora il sentire mafioso, o peggio, da "Beati Paoli", di buona parte della gente del Sud per lunghissimo tempo angariata, vessata, dissanguata da insaziabili mignatte venute da paesi lontani e da una classe dirigente pavida, inetta a da spregevoli politicanti irrimediabilmente corrotti». Ammirevole capacità di indignazione del novantaduenne scrittore di Delia.
E ora le favole. Ci soffermiamo su due, che, in maniera diversa, sono emblematiche di alcuni malesseri dei nostri tempi: la malinconia che nulla fa godere e la gelosia che tutto avvampa distruggendolo. Nei tempi antichi Amore, un uomo bellissimo come Dio lo poté fare, è ambito da tutte le donne. «Successe allora che una fanciulla, di nome Gelosia, si innamorò pazzamente di Amore e si mise in testa di volerlo a ogni costo. Ma... c'era il ma. Gelosia era brutta come una coltellata. Stizzosa, capricciosa, e, per di più aveva ottant'anni passati». Così un giorno lui le sferra un calcio, le sputa in faccia. «Stai lontano da me», le urla. Quella risentita risponde «Giacché sono strega stai attento a te». E d'allora Gelosia non lascia più Amore.
Mentre Amore contrasta con Gelosia, il re di Franza, pieno di ricchezze, non riesce a godere di niente perché malato di malinconia. Su consiglio dei medici si mette in viaggio per i quattro mondi affinché distraendosi possa guarire. Cammina e cammina incontra un sacco di gente che campa felice alla faccia delle difficoltà e degli stenti quotidiani. Vuole capire il segreto, allora si traveste con stracci e una barba finta per non farsi riconoscere dai sudditi.
Finirà per persuadersi che il segreto del buon vivere sta nell'osservanza dei proverbi e decide di farseli insegnare dagli antichi per farne il pilastro della sua vita. «Il proverbio può tutto», fa scrivere nella facciata del palazzo reale. E da allora in poi tutti vissero felici e contenti. Ah, dimenticavo. E noi? Eccoci qui a battere i denti.
Tano Gullo
La Repubblica Palermo 4 luglio 2015 ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Ricevo da una cara amica, tramite fb, questo acuto e stimolante commento:
RispondiEliminaForse non piacerà quel che scrivo, ma facciamo attenzione a quel che si veicola attraverso una cosa apparentemente ingenua e innocua come una favola. Forse, e sottolineo forse, in un mondo in cui la figura femminile ha visto e vede ancora tanta violenza, al punto da costringere a coniare termini come "femminicidio" e riempire le cronache nquotidiane, ecco, forse bisogna cercare nuove soluzioni narrative per presentare schemi antichi. Non necessariamente una donna - chiamarla Gelosia, non salva- cui le si "sferra un calcio, le (si) sputa in faccia", come se ciò fosse permesso all'uomo,solo perché donna brutta e vecchia, stizzosa e capricciosa, (tutta una serie di connotazioni che gravano sulla figura femminile) contro un ragazzo (anche qui chiamarlo Amore non salva) per contro bellissimo e ambito da tutte le donne. Tutte le favole nascondono di tali trappole, e confermano vecchi schemi mentali, logore abitudini. Per quel che ci è possibile, un rinnovamento del modo di pensare passa anche attraverso questi canali.
Filomena Shedir Di Paola