18 dicembre 2015

E' ancora tutta da scrivere la storia di Gelli e della P2





Qualcosa davvero stona nel coro unanime ascoltato in occasione della morte di Licio Gelli, proveniente da un paese con i più alti tassi di corruzione dell'Occidente, governato e amministrato da una classe politica dedita ad ogni genere di intrallazzi. Proprio perchè la condanna unanime del materassaio di Arezzo non diventi la generale autoassoluzione della casta, non possiamo che apprezzare quanto scrive Massimo Teodori, voce fuori del coro, già autore di una convincente relazione di minoranza nella Commissione di inchiesta sulla P2. Perchè fare  davvero chiarezza sul passato è l'unico modo di evitare che il passato si ripeta  e magari anche in forme peggiori.

Massimo Teodori
Un esame storico meditato sul ruolo eversivo della P2

Non giova alla storia d’Italia e alla salute della democrazia continuare a rappresentare Gelli con una vulgata che lo dipinge come burattino della Cia, sponsor di tutte le stragi degli anni Settanta, grande complottista pronto a ribaltare l’Italia con il Piano di rinascita democratica, e depositario dei misteri irrisolti. La natura eversiva della P2 è stata tutt’altro. Ha svuotato il potere politico, economico, militare e giornalistico ufficiale, ed ha rafforzato il potere della sua consorteria che portava a termine le operazioni inconfessabili del mondo istituzionale oltre che i propri interessi.

L’agenzia dei servizi sporchi targata Gelli non avrebbe potuto dominare un’area così variegata se non avesse agito di conserva con una parte tutt’altro che secondaria del ceto dirigente. La genialità del Gran Maestro fu quella di mettere insieme le lobby nere nei diversi settori e farle reagire in un unico disegno di potere di gruppo insieme a Umberto Ortolani, fiduciario della Democrazia cristiana e gentiluomo della Santa Sede, e ad alcune «direzioni strategiche» di settore senza che necessariamente  fossero coinvolte tutte le persone iscritte nella famosa lista.
L’arma regina di Gelli fu il ricatto ai potenti. Ma i ricatti non hanno effetto se non colpiscono un personale ricattabile come quello che allora occupava i vertici militari e dei servizi, dell’economia e della finanza, dell’informazione e della politica. I referenti nei partiti furono resi noti, a cominciare dall’onorevole Andreotti il cui nome ricorre spesso nella documentazione della commissione d’inchiesta parlamentare.

A trentacinque anni dalla scoperta della P2, il cui merito va ai magistrati milanesi Colombo e Turone che indagavano su Sindona, è arrivato il momento di lasciare ai demagoghi e ai giustizialisti il culto della leggenda che addossa alla formula magica della P (tanto da inventare, dopo la P2, le P3, P4 eccetera) tutti i mali oscuri d’Italia. E di passare a un più meditato esame storico basato sui fatti e non sulle facili demonizzazioni.
il Corriere della sera - 17 dicembre 2015

Nessun commento:

Posta un commento