22 dicembre 2015

ORLANDO E' FURIOSO DA 500 ANNI


Quando il desiderio diventa follia. L'Orlando furioso ha 500 anni (e se li porta bene).

Mimmo Paladino

Orlando è furioso da 500 anni
La prima volta che l’ho letto è stato a scuola, con tutta la noia del caso. Poi questo enorme affresco della fantasia torna a catturare la mia attenzione quando mi viene chiesto di illustrarlo. È il 2011, la Treccani mi propone di disegnare le tavole che arricchiscono la prestigiosa riedizione di quindici grandi classici della letteratura italiana, tra i quali l’ Orlando furioso di Ludovico Ariosto.

Angelica che fugge, l’ippogrifo, il castello di Atlante, la maga Alcina e sua sorella Morgana: la forza figurativa del poema non può non ispirarmi. A livello immaginifico, mi appartiene. E mi colpisce la libertà di entrare e uscire dalla trama, partire da qualunque episodio, seguirlo e scoprire che si tratta del frammento di un universo totale. Tanto da non avere un personaggio o una scena preferiti, avvertendoli tutti — mentre appaiono, scompaiono e riappaiono nel racconto — alla pari, dentro un’unica immensa narrazione.

La stessa sensazione di poter iniziare, andarmene e poi tornare a immergermi da ciascun angolo del libro l’ho avuta con il Don Chisciotte di Cervantes e l’ Ulisse di Joyce , e mi piace, visto che per me l’arte è soggetto di libertà e deve garantire altrettanta libertà di fruizione.

Anche la mia lettura del Furioso allora è senza vincoli. Non vado a guardare le opere che già altri artisti hanno ideato ispirandosi al poema, né le illustrazioni che fin dalle edizioni del Cinquecento lo hanno accompagnato. Mi muovo come un rabdomante, scelgo l’evocazione e seguo le intuizioni che si scatenano di fronte alle ottave dell’Ariosto, consapevole di dovere entrare nella memoria di tutti, senza però dimenticare le acquisizioni della contemporaneità. Decido di non creare a mia volta illustrazioni, piuttosto interpretazioni grafiche che possano aggiungere alle parole la mia visione da pittore, di artista prestato alla letteratura.

Per i canti XXIII-XXIV, ad esempio, a cavallo dei quali si consuma la follia di Orlando, il campione della cristianità impazzito per amore, scelgo di giocare sull’architettura della parola. Un volto, poi spade e drappi dispersi su un fondo bianco, ma anche lettere scomposte. Voglio rappresentare l’essenza stessa della scrittura, dipingere l’autore come un prestigiatore di caratteri.

Di questi ultimi, inoltre, cerco di trasmettere la materialità, che non deve mai essere persa: dal mio punto di vista, infatti, non esiste il pensiero puro e, così come la pittura ha bisogno di un supporto, anche la letteratura vive di parole stampate. Una circostanza tanto più vera allora, nel 1516, all’epoca della prima stesura del poema, quando Gutenberg aveva inventato la stampa a caratteri mobili da poco più di sessant’anni.

Anche il mago Atlante è il mio mago Atlante. Verde, sembra ricoperto di alghe. D’altra parte, parlando da artista e lasciando a critici e filologi il loro mestiere, a me le storie del Furioso fanno subito venire in mente leggende mediterranee che appartengono alle mie radici culturali. E non posso non pensare altrettanto in fretta al teatro dei pupi siciliano.

È una caratteristica che adoro del poema di Ariosto: la capacità di essere estremamente colto e di contenere, insieme, una dimensione popolare che è stata in grado di trasmettersi, nel tempo, a diverse forme e livelli di espressione artistica. L’alto e il basso che si mescolano — grazie anche all’ironia di alcune scene — sono forse tra i motivi che hanno permesso al Furioso di resistere al tempo e di far sembrare ancora oggi pochissimi i cinquecento anni che ci separano da quella prima edizione. Si pensi solo ad Angelica, l’oggetto del desiderio per eccellenza, la cui uscita di scena dal poema avviene con un ruzzolone («celò il viso bello, / levò le gambe et uscì de l’arcione, / e si trovò riversa in sul sabbione»).

Ci si può persino identificare. Anche la follia di Orlando per amore potrebbe essere quella di ciascuno di noi. E allora accade che un poema profondamente figlio della sua epoca sia allo stesso tempo universale. Miracoli dell’arte, non solo letteraria, quando diventa capolavoro.


Il Corriere della sera – 20 dicembre 2015

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