Giorgio Colli, Nietzsche e la nascita della filosofia
Ci sono libri che finiscono per identificarsi nella loro copertina con tale potenza che sembra impossibile pensarli in un’altra veste. Sono casi rarissimi. I motivi restano spesso insondabili. Generalmente è l’assenza di immagini e un colore dominante: qualcosa che si fonde con il contenuto del libro, il suo valore, la capacità di restare. Perché è il tempo a dettare legge. E difficilmente all’inizio si potrebbero far previsioni. Esattamente quarant’anni fa, per esempio, nessuno avrebbe immaginato che La nascita della filosofia, il piccolo volumetto Adelphi, giallo, percorso da righe nere, il nome del suo autore in corsivo, fosse destinato a diventare da sé, fisicamente, una specie di talismano. Non poteva sperarlo nemmeno Giorgio Colli, che pure, mentre si rigirava il libro in mano, non dissimulò l’orgoglio nel constatare la riuscita somiglianza con quell’altro volumetto della Piccola Biblioteca Adelphi, anch’esso giallo, il nome dell’autore in corsivo: Friedrich Nietzsche, e il titolo su due righe: La nascita della tragedia.
Dell’opera di Nietzsche del resto era lui stesso a curare la completa revisione assieme a Mazzino Montinari – lavoro che avrebbe rappresentato una pietra miliare per tutti gli studiosi del filosofo tedesco. Il mondo di Colli, tuttavia, affondava le sue radici in territori assai più lontani. Gli stessi che Nietzsche aveva coltivato nella sua giovinezza, sviluppando una formazione filologica e una conoscenza dei testi greci antichi e soprattutto arcaici. Così proprio in quei territori, ora, Colli si ritrovava accanto al maestro: due edizioni dai titoli simili e dalla veste identica, due visioni del mondo che s’intrecciavano e dialogavano, uno sforzo titanico destinato a fare epoca.
“La follia è la matrice della sapienza”. Così si chiude il primo capitolo de La nascita della filosofia. Secondo Colli, infatti, non a Talete si deve guardare per risalire alle origini, come ha sempre ribadito la tradizione a partire da Aristotele, ma molto prima. Si deve scendere nelle profondità sacre dell’arcaismo e guardare con occhi nuovi a quelle divinità che Nietzsche prese come paradigmi per spiegare l’origine della tragedia: Apollo e Dioniso. Solo che per Colli, diversamente dal maestro, Apollo non è chiarezza, ragione, plasticità nella sua contrapposizione a Dioniso che è oscurità, ebbrezza, irrazionale. Le due divinità non sono contrapposte.
Lo stesso Apollo ha in sé un elemento di “terribilità e di ferocia” e le parole con cui manifesta la conoscenza all’uomo (soprattutto a Delfi, dove ha sede l’oracolo di Apollo capace di mostrare agli uomini una via per giungere alla verità) sono ambigue, oscure, allusive. Il labirinto è la forma in cui il logos si mostra nella sua enigmaticità, forma apollinea al servizio di Dioniso (l’animale-dio chiuso nel labirinto di Cnosso). Apollo e Dioniso s’intrecciano, si sovrappongono. L’uomo deve scendere nel labirinto della propria animalità, deve usare il filo del logos per non perdersi, benché quello stesso filo si aggrovigli nell’enigma. L’enigma è la sfida del dio all’uomo. Una sfida per la sapienza: “un pericolo mortale da cui possono salvarsi, ma senza tracotanza, soltanto il sapiente e l’eroe”.
“Colli dionisificò Apollo e apollineò Dioniso. Fu questa la principale rivoluzione de La nascita della filosofia proprio rispetto a La nascita della tragedia. Sulla correlazione fra i due libri non c’è da dubitare”. Angelo Tonelli, discepolo di Colli, studioso del mondo antico, spiega ogni cosa. Ha appena dato alle stampe un libro importante (Eleusis e Orfismo, Feltrinelli, pp. 639, euro 14), raccolta e interpretazione di tutto ciò che resta sulle arcaiche sorgenti greche della sapienza. Il segno che su di lui ha lasciato Colli è evidente. “Seguii le sue lezioni universitarie più divulgative, proprio negli anni in cui pubblicò questo libriccino rivoluzionario. Lottava contro la storia della filosofia pur di immergersi invece in un corpo a corpo esistenziale con i testi antichi. Era la sfida che Edipo accettava e vinceva con la Sfinge e il suo enigma. Un momento in cui ci si gioca la vita perché l’enigma è l’enigma della vita. Il suo modo di studiare e insegnare la sapienza arcaica lo lasciò isolato tra gli studiosi di allora. Prevalevano due scuole, l’ermeneutica marxista e quella strutturalista. Colli per loro era il diavolo. Lui se ne fregava. Snobbato, snobbava. Era caratterizzato da un elemento aristocratico che lo allontanava da tutto. Del resto lui deteneva invece un potere editoriale. Aveva tradotto Platone, Aristotele, Kant, curava l’edizione di Nietzsche. Dell’accademia rifiutava le regole e credeva piuttosto nel rapporto con gli studenti, e soprattutto nello scambio di conoscenza puramente orale con alcuni eletti. Con loro, dopo la lezione, se ne andava al treno e lì offriva da bere. Champagne”.
L’oralità ne La nascita della filosofia segna il discrimine oltre il quale si passa dall’epoca dei sapienti a quella dei filosofi. Sapiente è chi è in contatto con la verità. Filosofo chi cerca la sapienza, così come racconta la stessa etimologia del termine (philein amare, desiderare; sophia sapienza). Dalla sfida dell’enigma dominata dal dio (l’oracolo e chi interpreta l’oracolo; la Sfinge e l’uomo che deve sciogliere l’enigma pena la morte), si passa a uomini che combattono per la sapienza, un agone da cui il dio è assente ma in cui permane lo sfondo religioso perché il prezzo resta la vita. Infine l’agonismo diventa semplicemente umano: due individui che lottano per conquistare il titolo di sapiente. Ma questa lotta che s’incarna nella sfida dialettica mantiene un’aura sapienziale solo finché perdura la sua dimensione orale. Quando Platone la mette per iscritto essa diventa un pallido surrogato, mancante di immediatezza e vitalità. Niente più “esaltazione misterica che la ragione tenta di esprimere in qualche modo attraverso la mediazione dell’enigma”, ma raffinatezza letteraria, logica, retorica, filosofia. La morte definitiva dell’epoca sapienziale però arriva per mano di Aristotele. “L’emozionalità, a un tempo dialettica e retorica, che ancora vibra in Platone, è destinata a disseccarsi in un breve volgere di tempo, a sedimentarsi e cristallizzarsi nello spirito sistematico”.
Finita l’epoca dei sapienti, quella dei filosofi dura fino ai nostri tempi. “Corrompendosi definitivamente nella storia della filosofia” dice Tonelli, ritornando sulla dimensione che Colli tentò di privilegiare fino alla sua morte “Una morte da sapiente. Un ictus fulminante all’ora del tè, mentre lavorava su Eraclito, quel terzo volume de La sapienza greca che sarebbe uscito postumo. Io dovevo laurearmi con lui. Ho cercato di non dimenticare la via. Nei miei lavori ho accentuato l’aspetto esperienziale della sapienza greca. Di Empedocle vedo più il meditante orientale che il sapiente. Nello stato di coscienza che in Eraclito è rappresentato dall’unità degli opposti vedo qualcosa che troviamo nel taoismo. Insomma ho messo più in evidenza i contatti con le tradizioni orientali”. Difficile dire cosa ne penserebbe Colli. Una cosa è certa. Al di là di ciò che si raggiunge, quel che importa è scavare nel passato con tutta la nostra anima, mettendo in gioco tutte le nostre potenzialità. “Memoria, vita, dio sono la conquista misterica contro l’oblio e la morte”. Memoria, ossia Mnemosyne. In una celebre laminetta orfica che Colli amava si dice così dell’iniziato che brama l’estasi misterica: “Sono riarso di sete e muoio: ma datemi, presto, la fredda acqua che sgorga dalla palude di Mnemosyne”.
Articolo pubblicato giovedì, 24 dicembre 2015, da http://www.minimaetmoralia.it/
Il pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica, che ringraziamo.
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