Mario Dondero
Riprendo da https://georgiamada.wordpress.com/ il pezzo seguente, segnalando anche altri link dove si parla della foto di Mario Dondero che ha immortalato alcuni esponenti del cosiddetto Nouveau roman : Repubblica, Nuovi Argomenti, Perseè.fr (e QUI in pdf)
Testimoni Parigi, 16 ottobre 1959: Samuel Beckett e gli altri.
Il ricordo dell’autore dello scatto
Così misi in posa il Nuovo romanzo
Storia della foto che ci cambiò la vita
Come andò che mi riuscì di fare la fotografia che è diventata in seguito la photo du Nouveau roman? Una fotografia che è stata pubblicata e ripubblicata infinite volte e che ha persino ispirato uno spettacolo teatrale, messo in scena al festival di Avignone e poi, più tardi, a Parigi? La mattina del 16 ottobre 1959 il cielo era grigio sopra la Rue Bernard Palissy, nel cuore di Saint-Germain-des-Prés. Un cielo, per un fotografo, da 1/250, 5/6. Erano le dieci e trenta circa e io stazionavo davanti alle Editions de Minuit, al numero 7 della strada, facendo passare i minuti che mi separavano dal mio appuntamento con l’editore Jérôme Lindon. Non lo sapevo ancora, ma quel 16 ottobre sarebbe stato una data fatidica per me e un poco anche per la storia della letteratura. Quel giorno avrei scattato la famosa foto del Nouveau roman . Mentre aspettavo, alcuni uomini a me sconosciuti entravano alla spicciolata nella casa editrice. Guardai per qualche minuto le vetrine in cui si allineavano i volumi più recenti di Minuit, testi di Alain Robbe-Grillet, Michel Butor, di Samuel Beckett. Guardavo con curiosità quell’edificio che aveva ospitato per anni, anche sotto l’occupazione tedesca di Parigi, una maison close , un bordello. Dopo la Liberazione, le Editions de Minuit, casa editrice nata durante la Resistenza, si installò in quei locali. Minuit debuttò nella vita letteraria con un grande libro, Le silence de la mer ( Il silenzio del mare ) di Vercors.
Nel frattempo era giunta l’ora del mio appuntamento. Entrai e salii la stretta scala che conduceva all’ufficio dell’editore. Jérôme Lindon e sua figlia Irène, che imparava il mestiere di editore, officiavano all’ultimo piano. Quando vi giunsi, erano già arrivati alcuni degli scrittori che l’editore aveva convocato per una foto che li riunisse tutti. Il mio compito era quello di realizzare una foto degli scrittori che si dedicavano alla letteratura con un approccio completamente nuovo e distaccato dalla tradizione precedente. Nella loro scrittura il personaggio perdeva l’importanza tradizionale e i testi erano concentrati sulle caratteristiche della realtà, private dalla soggettività umana. Lo sguardo fotografico era quello privilegiato. Si è parlato anche di Ecole du regard per definire l’atteggiamento di quegli autori nei confronti del reale. In un noto articolo del 5 maggio 1957, apparso su «Le Monde», il termine era stato coniato da Emile Henriot.
Le Editions de Minuit annoveravano gran parte di quegli scrittori, tra i quali Alain Robbe-Grillet, Claude Simon, Nathalie Sarraute, Claude Mauriac, Robert Pinget, Claude Ollier, Michel Butor. La mia idea di quella fotografia, che avevo proposto a Lindon, aveva molto sedotto l’editore che con il suo prestigio non aveva avuto difficoltà a radunare la piccola assemblea. Il mio reportage doveva essere pubblicato, come infatti avvenne, da «L’llustrazione Italiana», allora diretta da Pietrino Bianchi, con un vivace redattore capo, Gaetano Tumiati. L’articolo che accompagnava le fotografie venne poi scritto da Giancarlo Marmori, con il quale avevamo selezionato gli scrittori da includere nel servizio. Claude Mauriac ha raccontato nel suo diario, Le temps immobile , come si svolse, quella mattina, la piccola cerimonia della foto di un gruppo eterogeneo di scrittori che neppure si conoscevano tra di loro.
Venni accolto molto cordialmente e presentato, per così dire, da Robbe-Grillet, che avevo conosciuto in precedenza, con una reale empatia. Per ragioni di spazio e di luce scendemmo in strada. Nel frattempo era arrivato anche Samuel Beckett e il gruppo era quasi al completo. Avremmo voluto includere Marguerite Duras, che invece non volle venire, forse perché stava passando a un altro editore oppure perché temeva l’occhio fotografico, lei che era stata bellissima. Mancavano ancora all’appello Michel Butor e Jean Cayrol, l’autore dello straordinario commento al film di Alain Resnais Notte e nebbia su Auschwitz. Non figurarono nella fotografia, ma li ripresi quando poi arrivarono, con altri scatti. Non ricordo di essere stato particolarmente emozionato, anche perché l’atmosfera era molto cordiale e lo stesso Beckett, che passava per essere terribilmente foto-fobico, fu invece molto amabile. Tuttavia mi incombeva la responsabilità di prendere la direzione delle operazioni e di comporre il gruppo. Scelsi di non comporre l’immagine. L’unica cosa che feci fu di chiedere ai presenti di non guardare il fotografo e di non mettersi in posa, ma di essere come un gruppo di persone colte casualmente, come fossero in attesa di qualcosa o di qualcuno. In effetti si aspettava l’arrivo degli ultimi due scrittori e, nella fotografia, si vede appunto Jérôme Lindon che guarda altrove: stava guardando se arrivasse in taxi Michel Butor. Su quella fotografia, in seguito, si sono scritti molti articoli, in particolare su «Le Nouvel Observateur», che, in un articolo memorabile, «vivisezionò» la foto e i suoi protagonisti, tra i quali due, Beckett e Simon, ebbero successivamente il premio Nobel. Claude Mauriac ha raccontato nei dettagli come andò la cosa. Scrive che «il giovane Mario Dondero scattò con allégresse et hâte (in fretta e allegramente) una ventina di fotografie». Quella foto è diventata così famosa grazie a Jérôme Lindon, al quale io diedi le fotografie, dopo averle pubblicate su «L’Illustrazione Italiana». Furono le Editions de Minuit a diffondere la fotografia, che poi è finita nei libri di scuola, alla televisione, ripetutamente pubblicata. La casa editrice rispettò anche i miei diritti sotto il profilo commerciale, nella suddivisione dei benefici che furono cospicui. Questa foto mi ha creato in Francia una speciale notorietà come fotografo letterario, cosa che in effetti non ho mai voluto essere, essendo sempre stato un fotografo onnivoro, curioso di tutte le realtà.
Mario Dondero
Corriere della sera, 24 agosto 2015, p. 30.
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