20 dicembre 2015

IL NATALE PRIMA DEL CRISTIANESIMO




La festività del 25 dicembre ha una lunga storia, prima di celebrare la nascita di Cristo fu giornata consacrata al dio Mitra, Sol Invictus.

Guido Araldo
A proposito del Natale …

Miti e culti antichi s’intrecciano a Natale! Primo fra tutti il culto del dio Mitra, di chiara derivazione solare, connesso al grande astro fonte di vita, ai suoi cicli, alla sua annuale rinascita nei giorni del solstizio d’inverno: culto diffusissimo tanto nell’Impero Persiano, dove ebbe origine, quanto nell’Impero Romano, dove conobbe una stagione di grande successo in età imperiale.

Si può affermare, senza tema di smentite, che il culto di Mitra accompagnò il cristianesimo per più di tre secoli finché, alla fine, scomparve. Le cause di questa “dissoluzione” sono note: ancora una volta stanno nel carattere esoterico (limitato agli iniziati) del culto di Mitra; mentre il cristianesimo, per quanto presentasse l’iniziazione del battesimo, denotava un carattere essoterico, aperto a tutti: dal sapiente all’ignorante, dallo schiavo al padrone, senza distinzione di razza, sesso e cultura.

Il culto del dio Mitra aveva origini antichissime: la sua comparsa sulla scena religiosa e culturale dell’Oriente può essere datata a quattordici secoli prima della nascita di Gesù; citato in un trattato tra Ittiti e Hurriti. Nei testi sacri dei Veda indiani, più antichi ancora, Mitra è simbolo dell’onestà, dell’amicizia e della lealtà: qualità positive, che lo rendevano un dio particolarmente gradito. E Mitra fu anche una delle maggiori divinità dello zoroastrismo.

Esemplare il parallelismo tra il culto di Mitra e il culto cristiano che, per certi versi, si modellò su di esso: Mitra nasce da una vergine al solstizio d’inverno e, guarda caso, la sua nascita veniva festeggiata il 25 dicembre.

Quando Ipparco da Nicea (vissuto tra il 185 e il 125 avanti Cristo) appurò la “precessione degli equinozi”, fu attribuito a Mitra il potere di generare questo fenomeno astronomico. Anche Mitra, identificato in epoca imperiale con il “sol invictus”, moriva per poi rinascere dopo tre giorni: il 22 dicembre il sole sembra davvero sul punto di “morire”, per poi rinascere lentamente tre giorni successivi, il 25 dicembre, quando le giornate ricominciano ad allungarsi.

In merito al sol invictus, più precisamente al Deus Sol Invictus (“Dio Sole mai sconfitto”), fu l’imperatore Eliogabolo (Sesto Vario Avito Bassiano) a imporlo a Roma come culto imperiale durante il suo regno, nell’anno 220 dopo Cristo. Tale decisione non costituiva una novità per i Romani: in tutto l’impero, da molto tempo, al 25 dicembre era commemorato il sol indigens, il sole nativo; il sole che rinasce al termine delle feste dei Brumalia e dei Saturnali.

Per volere del giovane imperatore soprannominato Eliogabalo, poiché sommo sacerdote del dio sole per diritto ereditario, il culto del Sol Invictus si sovrappose e s’integrò al Sol Indiges. La stessa parola Eliogabalo, di origine siriana, deriverebbe dall’abbinamento di due parole: “el” (dio) e “gabal” (montagna); “il dio che si manifesta sulla cima della montagna”. A quell’epoca, all’inizio del III secolo, l’adorazione del sole era cresciuta a dismisura in tutto l’impero romano, e il giovanissimo Eliogabalo sfruttò la popolarità che gli derivava dal fatto d’essere sommo sacerdote del culto solare: non si lasciò sfuggire l’occasione di coniugare politica e religione.

Fu in un simile contesto che il dio siriaco el-gabal divenne “Deus sol invictus”, accentuando le caratteristiche indigene (latine) del sol indigens che andava a sostituire il dio Giove tradizionale, padre delle divinità olimpiche, ormai ridotto a mera favola. Una trasformazione che avvenne senza drammi, senza cesure: quasi una naturale lievitazione attestante l’estrema fluidità culturale dell’epoca, che costituì anche l’humus necessario alla crescita e all’affermazione del cristianesimo.

Per certi versi la vicenda del giovane imperatore, che morì assassinato all’età di diciannove anni, ripropose una riedizione dei fasti del faraone eretico Akhenaton, che 1500 anni prima aveva introdotto il culto di un unico dio nella Storia, focalizzato sul culto del dio sole. Per la verità, sussisteva una differenza sostanziale, enorme: il “Sol Invictus” di Eliogabalo non fu imposto come unico dio, com’era accaduto in Egitto e come accadrà con Jaweh in un popolo errante nel deserto. Soltanto un primus inter pares nel vasto pantheon delle divinità greche e romane. La grande ricorrenza annuale del Sol Invictus rese il solstizio d’inverno la festività più importante a Roma e in tutto l’impero, accentuando quei festeggiamenti popolari che gli abitanti del grande impero già conoscevano con il sol indigens.

L’apologeta cristiano Epifanio di Salamina (315-403) annota che in Egitto i pagani celebravano al solstizio d’inverno il trionfo della luce sulle tenebre e che il dio sole era chiamato Aion, con palese riferimento al dio Aton introdotto dalla caduca riforma religiosa del monoteista Amenophi IV, noto come Akhenaton. Riforma religiosa importantissima nella storia dell’umanità, poiché fu ripresa da Mosè che l’adattò per il suo popolo in fuga dall’Egitto.

L’apologeta Epifanio di Salamina riferisce inoltre che nel culto di Aion, il dio nasce da una vergine di nome Kore, che in greco significa semplicemente fanciulla: lo stesso soprannome attributo dai Greci alla dea Persefone (Proserpina nella tradizione latina).

Un’analoga testimonianza relativa al culto egizio del dio sole, secoli dopo, è riferita da Cosma di Gerusalemme. In seguito alla riforma religiosa dell’imperatore Eliogabalo, per nulla drammatica nell’eterogenea galassia dei culti romani, pienamente in sintonia con il clima di millenaria tolleranza religiosa tipica di Greci, Romani, Etruschi, gli attributi del Sol Invictus traslarono nel culto del dio Mitra, divinità inequivocabilmente solare. Con l’andare degli anni, progressivamente, queste due divinità finirono per fondersi: sia Mitra che il Sol Invictus erano rappresentati nelle sembianze di un giovane senza barba, con caratteristiche molto simili, se non identiche.

Pochi anni dopo l’imperatore Lucio Domizio Aureliano intravide nel culto del Sol Invictus - Mitra una possibilità di coesione tra i popoli eterogenei del suo grande impero: il culto del dio Sole era presente in tutte le province del grande Impero Romano, tanto in Oriente quanto in Occidente. Fu allora che l’imperatore introdusse per la prima volta il nome “Natale”, il 25 dicembre dell’anno 274, trasformando il sol invisctus nel Dies Natalis Solis Invicti: “il giorno della nascita del Sole Invincibile” ordinando grandi festeggiamenti non soltanto a Roma, ma in tutto l’impero. E proprio in quell’occasione, il 25 dicembre 274, l’imperatore Aureliano si pose sul capo la corona dorata con i raggi del sole, rievocando in tal modo i fasti di Alessandro Magno che si era atteggiato a figlio di Ammon-Ra. Una delle più belle raffigurazioni dell’imperatore Aureliano con in testa la corona del sole si trova tuttora nell’oasi siriaca di Palmira.

Tutto questo accrebbe ulteriormente la popolarità già enorme della festa corrispondente al solstizio d’inverno, che peraltro concludeva i festeggiamenti dei Brumalia e dei Saturnali, anticipatori del solstizio, nei giorni in cui la traversata del carro solare in cielo è sempre più breve e la sua luce sembra affievolirsi. Da quel 25 dicembre 274 l’identificazione con il sole costituì uno dei più importanti attributi dell’imperatore in carica, al quale non si sottrasse neppure Costantino, che s’identificò non soltanto nel ruolo antico di sommo pontefice romano, ma anche in quello di “compagno del Deus Solis Invicti”.

Pure lui, similmente agli imperatori che lo avevano preceduto, fece coniare monete d’oro in cui la sua immagine era abbinata al Sole, con la scritta “soli invicto comiti” (al compagno dio Sole). Fu sempre l’imperatore Costantino a stabilire, con un decreto del 7 marzo 321, che il primo giorno della settimana, consacrato al dio Sole, sarebbe stato un giorno di riposo, adeguandosi alla cultura ebraica che vedeva nel sabato il settimo giorno di riposo, interamente dedicato a Dio.

Fu così che l’antico calendario romano, cui erano ignote le settimane, fu totalmente rivoluzionato: non più calende, pridie, none e idi! Al giorno consacrato al sole, seguivano i giorni che presero i nomi dai sei pianeti all’epoca noti: la Luna (lunedì), Marte (martedì), Mercurio (mercoledì), Giove (giovedì), Venere (venerdì) e Saturno, soltanto in seguito trasformato in sabato, per adeguamento alle tradizioni ebraiche. Ma nella remota regione della Britannia rimase Saturno, che si evolse in Saturday! Fu un passo importante per il pieno riconoscimento del cristianesimo, che traeva origine dalla tradizione giudaica.
    Cristo Sol Invictus

Costantino, però, agiva ancora nel clima di tolleranza tipico della romanità e, prima ancora, dell’ellenismo; infatti emise il seguente decreto: “Io, imperatore Costantino, stabilisco che tutti i giudici e la plebe cittadina si riposino nel venerabile giorno del sole. Che si fermino tutti i negozi degli artigiani, ma nelle campagne sia lecito ai contadini ottemperare ai lavori dei campi, poiché accade di frequente che si debba provvedere alla mietitura o alla sistemazione delle vigne affinché non vada perduto il momento opportuno per tali lavori, l’occasione migliore concessa dal cielo.”.

Per certi versi, l’identificazione del giorno della “nascita del Redentore cristiano”, con il “dies natilis solis invicti” fu straordinariamente rapida. Un processo che si realizzò regnante ancora Costantino, che fu indotto, per motivi meramente politici, ad essere sempre più accondiscendente verso il clero cristiano in rapida espansione nelle principali città dell’impero, dopo che era emerso dalle catacombe.

Nove anni dopo il decreto che introduceva la novità del giorno festivo settimanale consacrato al dio sole, un nuovo decreto imperiale riconosceva ufficialmente legittima la sovrapposizione del “Natale di Betlemme” al “Dies Natalis Solis Invicti”. In ambito ecclesiastico tale passaggio fu accettato e ratificato nel 337 da papa Giulio I. Così, in tal modo, la festività cristiana del Natale andò a sovrapporsi al culto imperiale del Solis Invictis Dies Natalis e a combaciare con la nascita del dio Mitra, diventando una delle più importanti feste cristiane nella parte Occidentale dell’Impero Romano.

Sul finire del secolo Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, annotava non senza disappunto che: “la natività di Cristo è stata fissata definitivamente a Roma nel giorno del 25 dicembre”, mentre nella parte Orientale dell’Impero veniva festeggiata il 6 gennaio, sganciata dal solstizio, come accade ancora oggi.

Pochi decenni ancora e il 27 febbraio 380 l’imperatore Teodosio, che Santa Romana Chiesa ha voluto “grande” nonostante sia stato tra gli imperatori più sanguinari della storia, emetteva a Tessalonica (Salonicco) l’editto del totale trionfo del nuovo culto giunto dalla Palestina e decretava, su ispirazione di sant’Ambrogio di Milano, la fine della civiltà classica, vietando anche le Olimpiadi considerate una manifestazione pagana. A questo punto l’unica religione di stato era il cristianesimo e tutti gli altri culti erano proibiti, banditi.

Altri tre anni, e un nuovo editto di Teodosio sostituiva la festa del “dies solis”, giorno del sole collocato all’inizio di ogni settimana, con il “dies dominicus”: giorno del Signore, ben presto trasferito alla fine della settimana. Come Dio si era riposato nel settimo giorno della Genesi, così ogni abitante dell’impero si sarebbe riposato, rispettando e onorando quel giorno sacro. Inizialmente giorno di riposo per le liti giuridiche, per gli affari, per la riscossione dei debiti; poi esteso a tutte le attività umane.

In quel decreto, in calce, c’era una novità, una specie di post scriptum che esulava dalla mentalità classica romana: non si trattava più di un invito, ma di un ordine perentorio che andava ottemperato. Sarebbe stato considerato sacrilego e pertanto trattato come tale, con le conseguenze che ne derivavano, chi lo avesse ignorato. Anche in questo caso un editto recepito nella grande isola della Britannia, sempre più remota a Roma, dove la festa del settimo giorno continuò ad essere la festa del sole: Sunday! Forse mai nessun editto, decreto o legge generò una rivoluzione tanto radicale!


Teologi, biblisti e padri della Chiesa si adoperarono con estrema celerità ed efficacia a cancellare qualsiasi riferimento pagano nelle feste cristiane, attribuendole ai “sacri testi ebraici” e, soprattutto, ai santi evangeli. Un simile atteggiamento riguardò soprattutto la festività della Natività, il Natale: il “Sol invictus”, l’antico “Sol indigens”, il dies natalis solis invicti” non esistevano più! Se menzionati, si urlava alla bestemmia e s’implorava l’anatema. Malgrado tanto zelo e fervore, nelle grotte Vaticane, proprio sotto la basilica di San Pietro, è ancora visibile un bellissimo mosaico raffigurante Cristo nelle sembianze del “Deus Solis”, databile all’incirca all’anno 250.

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