La festività del 25
dicembre ha una lunga storia, prima di celebrare la nascita di Cristo
fu giornata consacrata al dio Mitra, Sol Invictus.
Guido Araldo
A proposito del Natale
…
Miti e culti antichi
s’intrecciano a Natale! Primo fra tutti il culto del dio Mitra, di
chiara derivazione solare, connesso al grande astro fonte di vita, ai
suoi cicli, alla sua annuale rinascita nei giorni del solstizio
d’inverno: culto diffusissimo tanto nell’Impero Persiano, dove
ebbe origine, quanto nell’Impero Romano, dove conobbe una stagione
di grande successo in età imperiale.
Si può affermare, senza
tema di smentite, che il culto di Mitra accompagnò il cristianesimo
per più di tre secoli finché, alla fine, scomparve. Le cause di
questa “dissoluzione” sono note: ancora una volta stanno nel
carattere esoterico (limitato agli iniziati) del culto di Mitra;
mentre il cristianesimo, per quanto presentasse l’iniziazione del
battesimo, denotava un carattere essoterico, aperto a tutti: dal
sapiente all’ignorante, dallo schiavo al padrone, senza distinzione
di razza, sesso e cultura.
Il culto del dio Mitra
aveva origini antichissime: la sua comparsa sulla scena religiosa e
culturale dell’Oriente può essere datata a quattordici secoli
prima della nascita di Gesù; citato in un trattato tra Ittiti e
Hurriti. Nei testi sacri dei Veda indiani, più antichi ancora, Mitra
è simbolo dell’onestà, dell’amicizia e della lealtà: qualità
positive, che lo rendevano un dio particolarmente gradito. E Mitra fu
anche una delle maggiori divinità dello zoroastrismo.
Esemplare il parallelismo
tra il culto di Mitra e il culto cristiano che, per certi versi, si
modellò su di esso: Mitra nasce da una vergine al solstizio
d’inverno e, guarda caso, la sua nascita veniva festeggiata il 25
dicembre.
Quando Ipparco da Nicea
(vissuto tra il 185 e il 125 avanti Cristo) appurò la “precessione
degli equinozi”, fu attribuito a Mitra il potere di generare questo
fenomeno astronomico. Anche Mitra, identificato in epoca imperiale
con il “sol invictus”, moriva per poi rinascere dopo tre giorni:
il 22 dicembre il sole sembra davvero sul punto di “morire”, per
poi rinascere lentamente tre giorni successivi, il 25 dicembre,
quando le giornate ricominciano ad allungarsi.
In merito al sol
invictus, più precisamente al Deus Sol Invictus (“Dio Sole mai
sconfitto”), fu l’imperatore Eliogabolo (Sesto Vario Avito
Bassiano) a imporlo a Roma come culto imperiale durante il suo regno,
nell’anno 220 dopo Cristo. Tale decisione non costituiva una novità
per i Romani: in tutto l’impero, da molto tempo, al 25 dicembre era
commemorato il sol indigens, il sole nativo; il sole che rinasce al
termine delle feste dei Brumalia e dei Saturnali.
Per volere del giovane
imperatore soprannominato Eliogabalo, poiché sommo sacerdote del dio
sole per diritto ereditario, il culto del Sol Invictus si sovrappose
e s’integrò al Sol Indiges. La stessa parola Eliogabalo, di
origine siriana, deriverebbe dall’abbinamento di due parole: “el”
(dio) e “gabal” (montagna); “il dio che si manifesta sulla cima
della montagna”. A quell’epoca, all’inizio del III secolo,
l’adorazione del sole era cresciuta a dismisura in tutto l’impero
romano, e il giovanissimo Eliogabalo sfruttò la popolarità che gli
derivava dal fatto d’essere sommo sacerdote del culto solare: non
si lasciò sfuggire l’occasione di coniugare politica e religione.
Fu in un simile contesto
che il dio siriaco el-gabal divenne “Deus sol invictus”,
accentuando le caratteristiche indigene (latine) del sol indigens che
andava a sostituire il dio Giove tradizionale, padre delle divinità
olimpiche, ormai ridotto a mera favola. Una trasformazione che
avvenne senza drammi, senza cesure: quasi una naturale lievitazione
attestante l’estrema fluidità culturale dell’epoca, che costituì
anche l’humus necessario alla crescita e all’affermazione del
cristianesimo.
Per certi versi la
vicenda del giovane imperatore, che morì assassinato all’età di
diciannove anni, ripropose una riedizione dei fasti del faraone
eretico Akhenaton, che 1500 anni prima aveva introdotto il culto di
un unico dio nella Storia, focalizzato sul culto del dio sole. Per la
verità, sussisteva una differenza sostanziale, enorme: il “Sol
Invictus” di Eliogabalo non fu imposto come unico dio, com’era
accaduto in Egitto e come accadrà con Jaweh in un popolo errante nel
deserto. Soltanto un primus inter pares nel vasto pantheon delle
divinità greche e romane. La grande ricorrenza annuale del Sol
Invictus rese il solstizio d’inverno la festività più importante
a Roma e in tutto l’impero, accentuando quei festeggiamenti
popolari che gli abitanti del grande impero già conoscevano con il
sol indigens.
L’apologeta cristiano
Epifanio di Salamina (315-403) annota che in Egitto i pagani
celebravano al solstizio d’inverno il trionfo della luce sulle
tenebre e che il dio sole era chiamato Aion, con palese riferimento
al dio Aton introdotto dalla caduca riforma religiosa del monoteista
Amenophi IV, noto come Akhenaton. Riforma religiosa importantissima
nella storia dell’umanità, poiché fu ripresa da Mosè che
l’adattò per il suo popolo in fuga dall’Egitto.
L’apologeta Epifanio di
Salamina riferisce inoltre che nel culto di Aion, il dio nasce da una
vergine di nome Kore, che in greco significa semplicemente fanciulla:
lo stesso soprannome attributo dai Greci alla dea Persefone
(Proserpina nella tradizione latina).
Un’analoga
testimonianza relativa al culto egizio del dio sole, secoli dopo, è
riferita da Cosma di Gerusalemme. In seguito alla riforma religiosa
dell’imperatore Eliogabalo, per nulla drammatica nell’eterogenea
galassia dei culti romani, pienamente in sintonia con il clima di
millenaria tolleranza religiosa tipica di Greci, Romani, Etruschi,
gli attributi del Sol Invictus traslarono nel culto del dio Mitra,
divinità inequivocabilmente solare. Con l’andare degli anni,
progressivamente, queste due divinità finirono per fondersi: sia
Mitra che il Sol Invictus erano rappresentati nelle sembianze di un
giovane senza barba, con caratteristiche molto simili, se non
identiche.
Pochi anni dopo
l’imperatore Lucio Domizio Aureliano intravide nel culto del Sol
Invictus - Mitra una possibilità di coesione tra i popoli eterogenei
del suo grande impero: il culto del dio Sole era presente in tutte le
province del grande Impero Romano, tanto in Oriente quanto in
Occidente. Fu allora che l’imperatore introdusse per la prima volta
il nome “Natale”, il 25 dicembre dell’anno 274, trasformando il
sol invisctus nel Dies Natalis Solis Invicti: “il giorno della
nascita del Sole Invincibile” ordinando grandi festeggiamenti non
soltanto a Roma, ma in tutto l’impero. E proprio in
quell’occasione, il 25 dicembre 274, l’imperatore Aureliano si
pose sul capo la corona dorata con i raggi del sole, rievocando in
tal modo i fasti di Alessandro Magno che si era atteggiato a figlio
di Ammon-Ra. Una delle più belle raffigurazioni dell’imperatore
Aureliano con in testa la corona del sole si trova tuttora nell’oasi
siriaca di Palmira.
Tutto questo accrebbe
ulteriormente la popolarità già enorme della festa corrispondente
al solstizio d’inverno, che peraltro concludeva i festeggiamenti
dei Brumalia e dei Saturnali, anticipatori del solstizio, nei giorni
in cui la traversata del carro solare in cielo è sempre più breve e
la sua luce sembra affievolirsi. Da quel 25 dicembre 274
l’identificazione con il sole costituì uno dei più importanti
attributi dell’imperatore in carica, al quale non si sottrasse
neppure Costantino, che s’identificò non soltanto nel ruolo antico
di sommo pontefice romano, ma anche in quello di “compagno del Deus
Solis Invicti”.
Pure lui, similmente agli
imperatori che lo avevano preceduto, fece coniare monete d’oro in
cui la sua immagine era abbinata al Sole, con la scritta “soli
invicto comiti” (al compagno dio Sole). Fu sempre l’imperatore
Costantino a stabilire, con un decreto del 7 marzo 321, che il primo
giorno della settimana, consacrato al dio Sole, sarebbe stato un
giorno di riposo, adeguandosi alla cultura ebraica che vedeva nel
sabato il settimo giorno di riposo, interamente dedicato a Dio.
Fu così che l’antico
calendario romano, cui erano ignote le settimane, fu totalmente
rivoluzionato: non più calende, pridie, none e idi! Al giorno
consacrato al sole, seguivano i giorni che presero i nomi dai sei
pianeti all’epoca noti: la Luna (lunedì), Marte (martedì),
Mercurio (mercoledì), Giove (giovedì), Venere (venerdì) e Saturno,
soltanto in seguito trasformato in sabato, per adeguamento alle
tradizioni ebraiche. Ma nella remota regione della Britannia rimase
Saturno, che si evolse in Saturday! Fu un passo importante per il
pieno riconoscimento del cristianesimo, che traeva origine dalla
tradizione giudaica.
Cristo Sol Invictus
Costantino, però, agiva
ancora nel clima di tolleranza tipico della romanità e, prima
ancora, dell’ellenismo; infatti emise il seguente decreto: “Io,
imperatore Costantino, stabilisco che tutti i giudici e la plebe
cittadina si riposino nel venerabile giorno del sole. Che si fermino
tutti i negozi degli artigiani, ma nelle campagne sia lecito ai
contadini ottemperare ai lavori dei campi, poiché accade di
frequente che si debba provvedere alla mietitura o alla sistemazione
delle vigne affinché non vada perduto il momento opportuno per tali
lavori, l’occasione migliore concessa dal cielo.”.
Per certi versi,
l’identificazione del giorno della “nascita del Redentore
cristiano”, con il “dies natilis solis invicti” fu
straordinariamente rapida. Un processo che si realizzò regnante
ancora Costantino, che fu indotto, per motivi meramente politici, ad
essere sempre più accondiscendente verso il clero cristiano in
rapida espansione nelle principali città dell’impero, dopo che era
emerso dalle catacombe.
Nove anni dopo il decreto
che introduceva la novità del giorno festivo settimanale consacrato
al dio sole, un nuovo decreto imperiale riconosceva ufficialmente
legittima la sovrapposizione del “Natale di Betlemme” al “Dies
Natalis Solis Invicti”. In ambito ecclesiastico tale passaggio fu
accettato e ratificato nel 337 da papa Giulio I. Così, in tal modo,
la festività cristiana del Natale andò a sovrapporsi al culto
imperiale del Solis Invictis Dies Natalis e a combaciare con la
nascita del dio Mitra, diventando una delle più importanti feste
cristiane nella parte Occidentale dell’Impero Romano.
Sul finire del secolo
Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, annotava non senza
disappunto che: “la natività di Cristo è stata fissata
definitivamente a Roma nel giorno del 25 dicembre”, mentre nella
parte Orientale dell’Impero veniva festeggiata il 6 gennaio,
sganciata dal solstizio, come accade ancora oggi.
Pochi decenni ancora e il
27 febbraio 380 l’imperatore Teodosio, che Santa Romana Chiesa ha
voluto “grande” nonostante sia stato tra gli imperatori più
sanguinari della storia, emetteva a Tessalonica (Salonicco) l’editto
del totale trionfo del nuovo culto giunto dalla Palestina e
decretava, su ispirazione di sant’Ambrogio di Milano, la fine della
civiltà classica, vietando anche le Olimpiadi considerate una
manifestazione pagana. A questo punto l’unica religione di stato
era il cristianesimo e tutti gli altri culti erano proibiti, banditi.
Altri tre anni, e un
nuovo editto di Teodosio sostituiva la festa del “dies solis”,
giorno del sole collocato all’inizio di ogni settimana, con il
“dies dominicus”: giorno del Signore, ben presto trasferito alla
fine della settimana. Come Dio si era riposato nel settimo giorno
della Genesi, così ogni abitante dell’impero si sarebbe riposato,
rispettando e onorando quel giorno sacro. Inizialmente giorno di
riposo per le liti giuridiche, per gli affari, per la riscossione dei
debiti; poi esteso a tutte le attività umane.
In quel decreto, in
calce, c’era una novità, una specie di post scriptum che esulava
dalla mentalità classica romana: non si trattava più di un invito,
ma di un ordine perentorio che andava ottemperato. Sarebbe stato
considerato sacrilego e pertanto trattato come tale, con le
conseguenze che ne derivavano, chi lo avesse ignorato. Anche in
questo caso un editto recepito nella grande isola della Britannia,
sempre più remota a Roma, dove la festa del settimo giorno continuò
ad essere la festa del sole: Sunday! Forse mai nessun editto, decreto
o legge generò una rivoluzione tanto radicale!
Teologi, biblisti e padri
della Chiesa si adoperarono con estrema celerità ed efficacia a
cancellare qualsiasi riferimento pagano nelle feste cristiane,
attribuendole ai “sacri testi ebraici” e, soprattutto, ai santi
evangeli. Un simile atteggiamento riguardò soprattutto la festività
della Natività, il Natale: il “Sol invictus”, l’antico “Sol
indigens”, il dies natalis solis invicti” non esistevano più! Se
menzionati, si urlava alla bestemmia e s’implorava l’anatema.
Malgrado tanto zelo e fervore, nelle grotte Vaticane, proprio sotto
la basilica di San Pietro, è ancora visibile un bellissimo mosaico
raffigurante Cristo nelle sembianze del “Deus Solis”, databile
all’incirca all’anno 250.
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