Fatema Mernissi
Fatema Mernissi ci ha lasciate, e ora siamo più sole (nel Mediterraneo)
di Paola Caridi
Non è in lutto solo la cultura araba, né solo quella marocchina. Non è in lutto solo la cultura delle donne, il femminismo mediterraneo. È in lutto la cultura libera. Fatema Mernissi ci ha lasciate, oggi, a 75 anni. Era nata a Fez, nel raffinatissimo Marocco delle città imperiali, nel 1940.
Fatema Mernissi è stata un gigante. Sociologa, studiosa raffinata, era dentro le comunità, e guardava con occhio lucidissimo a ciò che succedeva nella società, nella piazza, nelle strade, nelle famiglie. Apparteneva a una generazione-ponte. Una generazione che aveva vissuto il colonialismo e la lotta contro i colonizzatori, aveva studiato in Marocco, in Europa e negli Stati Uniti. E non aveva mai perso la sua identità marocchina, araba. Non aveva sudditanze, nelle sue analisi, in virtù di quella che era la forza del suo intelletto e della sua cultura. Non aveva neanche paura dei giovani: la sua analisi sulla potenza della Rete, sociale e virtuale, di cui ha parlato in Karawan è la dimostrazione che l’intelligenza si misura sull’apertura e sulla libertà di pensiero.
Per quanto mi riguarda, mi sono innamorata dei suoi voli arditi, della sua ironia, del suo mettere assieme i miti con la contemporaneità. Ha ridato dignità a Shehrazade, ha bacchettato noi donne occidentali incatenate alla taglia 42, ha mostrato come si tratta la questione del velo senza cadere negli stereotipi e negli arroccamenti, ha descritto prima di tutti la grande potenzialità della rete tra i giovani arabi in termini sociologici. È stata una grande donna di cultura, e oggi abbiamo veramente perso un intelletto libero che ci avrebbe aiutato a capire i nostri giorni duri e difficili.
Testo tratto da http://www.invisiblearabs.com/
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Fatema Mernissi, L’harem e l‘Occidente,
ed. Giunti, Firenze, 2000, pp. 190, ISBN 88-09-01806-0, Euro 12,50
ed. Giunti, Firenze, 2000, pp. 190, ISBN 88-09-01806-0, Euro 12,50
Cosa pensano gli Occidentali dell’harem?
Quale idea di donna è comunemente associata a quell’esotico luogo
orientale? A queste domande, cariche di valenze culturali e politiche,
risponde la sociologa marocchina Fatema Mernissi nel suo libro L’harem
e l’Occidente, che smonta progressivamente il sogno tutto occidentale
di una comunità di donne avvenenti, succubi e devote, sempre
a disposizione del loro uomo-padrone, che ha solo l’imbarazzo della
scelta per soddisfare tutti i suoi desideri. Nulla di più distante
dalla cultura musulmana, che riconosce invece al gentil sesso grandi
doti di intelligenza e coraggio, unite a un profondo senso di libertà.
Il racconto della donna il cui vestito
di piume le consente di volare e di liberarsi quindi dei vincoli matrimoniali,
con i quali il marito ha creduto di legarla a sé per sempre,
riprende l’immagine dell’originaria dea-madre Ishtar, che sceglie i
propri partners liberamente, distinguendo in tal modo la maternità
dalla fedeltà coniugale. Sarebbe proprio l’incontrollabile e
minaccioso potere delle donne, libere di autodeterminarsi, a spiegare
l’origine di uno spazio delimitato da alte mura, quale appunto si configura
l’harem, a loro destinato esclusivamente al fine di circoscriverne il
raggio d’azione. Evidenti le implicazioni politiche di una simile segregazione,
che mette in scacco un possibile ruolo pubblico della donna, costretta
al velo fuori dell’harem.
Si istituisce così un regime
di ineguaglianza, all’interno del quale è difficile immaginare
obbedienza e abnegazione. La poligamia istituzionalizzata non fu accolta
pacificamente dalle donne musulmane, e infatti non poche furono le regine
che uccisero il proprio marito, pur di evitargli di unirsi ad un’altra
consorte.
D’altra parte è sufficiente interrogare
la tradizione letteraria e iconografica dell’Islam per verificare la
presenza di modelli di comportamento femminile ben lontani da quelli
immaginati in Occidente. Fatema Mernissi ci guida in questo viaggio
alla scoperta del ruolo riconosciuto alla donna nella cultura musulmana,
attraverso la storia di due eroine del mondo islamico, Shahrazad, protagonista
delle Mille e una notte e Shirin, vera e propria icona delle
miniature orientali.
Shahrazad accetta, come è noto,
di sposare un re crudele, che per vendicare il tradimento della prima
moglie, dopo averla messa a morte, ha deciso di iterare i suoi crimini
per punire l’infido genere femminile: dopo la prima notte di nozze,
tutte le sue spose seguono il triste destino della prima. Facendo ricorso
alla sua sconfinata cultura, unica arma delle donne recluse nell’harem,
Shahrazad riesce ad opporre alla logica maschile della forza la magia
della parola, lucida e ammaliante a un tempo, con cui tesse nella notte
trame di racconti avvincenti, che inducono il re a differire di giorno
in giorno l’esecuzione. L’arte del narrare contiene in sé un’evidente
funzione civilizzatrice, che, notte dopo notte, cambierà lentamente
il re, fino alla sospensione della crudele legge, scaturita dall’odio.
E proprio per aver sconfitto l’ordine della violenza, Shahrazad è
considerata il "simbolo dei diritti umani nell’Oriente moderno"
(p. 49). Tale definizione è altresì sufficiente a comprendere
la connotazione politica dell’eroina che, mediante il dialogo e l’ascolto,
sconfigge il regime cieco della forza dispotica maschile.
La narrazione è riconosciuta,
quindi, come un’arte tutta femminile ("chi narrava le storie nella
famiglia era la nonna piuttosto che il nonno", p. 49) e propria
della tradizione orale, la stessa che ha consentito la trasmissione
delle storie delle Mille e una notte al riparo delle élite
maschili al potere, che controllavano piuttosto i testi scritti, attribuendo
poco significato a quanto le masse di illetterati continuavano a tramandarsi
oralmente. La legge come trascrizione della verità, fissata mediante
la scrittura nel Corano e tale da istituire le gerarchie di potere,
si contrappone quindi al racconto, frutto dell’immaginazione ogni volta
all’opera nella trasmissione orale, tipica delle fasce più deboli
della popolazione e, al loro interno, del mondo femminile. La carica
eversiva di quest’ultimo è testimoniata dalla stessa nonna della
Mernissi, la quale stravolge, nella narrazione orale, proprio la storia
della donna dal vestito di piume, a favore della libertà e dell’autodeterminazione
della donna. Nuovamente è in gioco la dimensione politica e la
giusta rivendicazione di un ruolo pubblico, quello che Shahrazad ha
inaugurato e che le donne del mondo musulmano oggi si apprestano a riconquistare:
basti pensare che in Egitto la presenza femminile nel mondo accademico
è maggiore che in Francia e in Canada.
Shirin è l’equivalente di Shahrazad
nella pittura musulmana. L’iconografia tradizionale la ritrae a caccia,
al bagno, e sempre comunque col suo cavallo, che le consente di viaggiare,
muovendosi liberamente verso terre sconosciute, alla ricerca di un amore
che si configura come superamento di una linea di confine. "Nella
psiche musulmana, amare è imparare a superare una linea di confine,
per raccogliere la sfida della differenza" (p. 144). Il cavallo
di Shirin rappresenta metaforicamente la possibilità di superare
i confini mediante l’intelligenza e la cultura, che consentono di viaggiare
con la mente, come fa Shahrazad.
La sfida della differenza è sottesa
anche alla lotta per il riconoscimento del pluralismo negli stati musulmani,
ed è per tale motivo che Fatema Mernissi giunge a collegare la
questione politica, della trasformazione dei regimi islamici in moderne
democrazie, alla battaglia del femminismo. "Qualsiasi riflessione
sulla modernità come chance di liberarsi dalla violenza dispotica
assunse la forma, nel mondo musulmano, di una necessaria presa di posizione
dei filosofi a favore delle donne" (p. 46). L’eterosessualità
costringe a confrontarsi con l’altro da sé, ed è solo
a partire dal riconoscimento e dall’ascolto della prima differenza che
costituisce il genere umano, quella tra i sessi, che sarà possibile
aprirsi al pluralismo e conseguire gli esiti più avanzati delle
moderne democrazie occidentali. Ne è un esempio emblematico la
Turchia, in cui Atatürk fu artefice di una grande svolta innovativa,
che prese le mosse proprio da importanti riforme femministe, quali l’abolizione
della poligamia, nel 1926, e il riconoscimento alle donne del diritto
al voto politico, nel 1934. Dunque il tema dell’incontro eterosessuale
si intreccia alla questione politica, e il mondo islamico offre elementi
importanti di riflessione su questo snodo, a partire dalla concezione
della donna libera, intelligente, capace di autodeterminazione e di
ascolto dell’altro.
E tuttavia l’Occidente continua ad associare
all’harem l’immagine di odalische belle e lascive, dimenticando che,
nella tradizione musulmana, ben altre sono le caratteristiche del fascino
femminile, sostanzialmente legato al potere incontrollabile, alla forza
di volontà, alla cultura. Niente è più intrigante
nell’harem della sfida intellettuale tra uomo e donna. "Essere
intellettualmente sfidati dalle donne - sostiene l’autrice - dava agli
uomini un brivido sensuale" (p. 106). Perché il solo tratto
che invece ossessiona gli occidentali è quello della bellezza
inevitabilmente legata al sesso e alla passività? La Mernissi
inizia, con questa domanda, un’analisi originale dell’immaginario maschile
occidentale, che viene indagato a partire dalla filosofia di Kant, attraverso
i quadri di Ingres e Matisse, per poi approdare al mito contemporaneo
della linea perfetta, o meglio della taglia 42. Secondo l’autrice, l’autorevole
filosofo tedesco, nelle sue Osservazioni sul sentimento del Bello
e del Sublime, associando la bellezza al femminile e il sublime
alla razionalità propria del maschile, realizzerebbe una cesura,
tale da rendere inconciliabili bellezza e intelligenza. "Se l’intelligenza
è monopolio maschile, le donne che osano appropriarsene saranno
private della loro femminilità" (p. 97). Ne deriva l’impossibilità
per la donna di avere fascino grazie alla sua cultura e alle sue doti
intellettive, e la conseguente esaltazione della bellezza, ridotta a
mera esteriorità. "La donna ideale di Kant è senza
parole" (p. 79): questo il filo rosso che guida la Mernissi alla
scoperta di celebri immagini di odalische, ritratte da Ingres e Matisse
secondo una mentalità tutta occidentale, che traduce la bellezza
in nudità silenziosa e passiva. Tuttavia, negli stessi anni in
cui Matisse dipingeva, i Giovani Turchi rivoluzionavano il mondo musulmano
mettendo al bando gli harem e riconoscendo alla donna diritti pari a
quelli che, fino ad allora, erano rimasti esclusivo appannaggio maschile.
Ma se tutto ciò non ha inciso minimante sull’idea occidentale
dell’harem, ancor oggi popolato di odalische seminude, allora si può
concludere "che l’immagine sia l’arma principale usata dagli occidentali
per dominare le donne" (p. 153). I quadri di Matisse, infatti,
hanno potuto più dei dati storici, e consentono agli occidentali
di continuare a sognare donne che non sono mai esistite, perpetrando
modelli puramente fantastici.
L’attenzione spasmodica alla bellezza
fisica rappresenta una vera e propria trappola per la donna occidentale,
che è costretta a percepire l’età come una svalutazione
e a dedicare quindi le sue energie migliori alla cura della propria
immagine, senza poter mai vincere, naturalmente, la sfida contro il
tempo. "Gli atteggiamenti degli occidentali sono decisamente più
pericolosi e sottili di quelli musulmani perché l’arma usata
contro la donna è il tempo" (p. 173). La taglia 42 si rivela,
in conclusione, come il confine di un harem tutto occidentale, quello
della bellezza, appunto, che finisce per rendere schiave proprio le
donne considerate più emancipate e moderne, mentre, lontano dai
riflettori maschili, le sorelle musulmane continuano decise il loro
cammino di liberazione.
Indice
-
Storia della donna dal vestito di piume
-
L’harem in Occidente
-
Niente di nuovo sul fronte dell’harem occidentale
-
Sharazad in Oriente: la mente di una donna come la più potente arma erotica
-
Shahrazad va in Occidente
-
In Occidente, le donne intelligenti sono brutte
-
L’harem di Jacques: mute bellezze senza veli
-
Il mio harem arabo: Harun ar Rashid, il Califfo sexy
-
Maglis: il piacere come sacro rituale
-
Nell’intimità di un harem europeo: Monsieur Ingres
-
Donne sexy nelle miniature musulmane: l’agguerrita Shririn a caccia d’amore
-
L’hobby della principessa Nur Giahan: cacciare tigri!
-
L’harem della donna occidentale: la taglia 42
(Stefania Astarita)
Nel capitolo finale del libro L'Harem e l'Occidente ( 2000 ), considerato il suo capolavoro, la sociologa Fatema Mernissi espone una sua idea molto provocatoria secondo la quale se le donne musulmane hanno il dovere di indossare il velo, quelle occidentali vivono oppresse dall'obbligo di "entrare" nella taglia 42, imposto dai "profeti della moda". Ecco il simpatico dialogo, riportato dalla Mernissi, che ha avuto luogo tra lei e la commessa:
"La commessa aggiunse un giudizio condiscendente che suonò per me come la fatwa di un imam:
- Lei è troppo grossa!
- Troppo grossa rispetto a cosa?
- Rispetto alla taglia 42. Le taglie 40 e 42 sono la norma. Le taglie anomale come quella di cui lei ha bisogno si possono comprare in negozi specializzati. All'improvviso in quel tranquillo negozio americano in cui ero entrata così trionfalmente nel mio legittimo status di consumatrice sovrana, pronta a spendere il proprio denaro, mi sentii ferocemente attaccata:
- E chi decide la norma? Chi lo dice che tutte devono avere la taglia 42?
- La norma è dappertutto, mia cara, su tutte le riviste, in televisione, nelle pubblicità. Non puoi sfuggire. C'è Calvin Klein, Ralph Laurent, Gianni Versace, Giorgio Armani, Mario Valentino (...) Da che parte del mondo viene lei?
- Vengo da un paese dove non c'è una taglia per gli abiti delle donne. Io compro la mia stoffa e la sarta o il sarto mi fanno la gonna di seta o di pelle che voglio. Non devo fare altro che prendere le mie misure ogni volta che ci vado. Nè la sarta nè io sappiamo esattamente la misura della gonna nuova. Lo scopriamo insieme mentre la si fa. A nessuno interessa la mia taglia in Marocco fintanto che pago le tasse per tempo. Attualmente non so proprio quale sia la mia taglia, a dire il vero. (...)"
La Mernissi nota in questa occasione che "l'Occidente è l'unica parte del mondo dove la moda della donna è affare dell'uomo".
Il problema sembra avere radici più profonde che affondano nella preservazione dell'egemonia maschile, in una società essenzialmente patriarcale.
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